CREMISIO, Francesco
Francesco Cremisio (di Angelo Cremisio e Maria Casazza / Serravalle Scrivia 8 novembre 1917 / 4 aprile 1945, Bad Harzburg, Germania)
Militare dell’Aeronautica Militare, Deportato, Deceduto in prigionia
Il Sergente maggiore dell’Aeronautica militare, Cremisio Francesco, nato l’8 novembre 1917, a Serravalle, figlio di Angelo Cremisio e di Maria Casazza. Residente a Reggio Emilia, arruolato nell’Arma azzurra venne destinato al V Squadrone B ed assegnato all’aeroporto di Devoli, uno dei principali campi d’aviazione presenti in Albania.
Nel settembre 1943, nei giorni della proclamazione dell’Armistizio, anche la situazione degli avieri italiani di stanza nel paese delle aquile si rivelò particolarmente difficile. Nel volgere di poche ore i militari germanici, sebbene in significativa inferiorità numerica rispetto agli italiani, presero tempestivamente il controllo delle principali aviosuperifici del Paese, ove già erano allocati presidi tedeschi di contraerea.
In assenza di ordini superiori mancò una reazione organizzata da parte degli avieri ed i tedeschi bloccarono a terra gran parte dei velivoli italiani, impadronendosi con facilità di materiali ed infrastrutture, disarmando e progressivamente esautorando dalle loro mansioni i reparti dell’Aeronautica italiana. Dettagliata la ricostruzione dei tragici eventi che coinvolsero i soldati italiani in Albania, il saggio di Massimo Coltrinari, “La resistenza dei militari italiani all’estero. Albania“, pubblicato nel 1999, da “Rivista militare“, che ripercoriamo per estratti.
Il Comandante dell’Aeronautica italiana in Albania, il Generale di Brigata Armando Ferroni «…si recò in volo accompagnato dal Generale tedesco Gnam presso gli aeroporti di quasi tutta l’Albania. Appoggiò e sovraintese alla consegna ai tedeschi di tutti gli aeroporti visitati…». In un clima di crescente nervosismo, tra diffuse minacce e sopraffazioni, i nazisti fecero affiggere manifesti con i quali si invitava i soldati italiani a continuare la guerra al fianco dell’alleato tedesco. «…Invano venivano richiesti ordini e disposizioni più precise: gli ordini erano vaghi e tutti improntati a non creare incidenti con i tedeschi. Più che ordini sembravano raccomandazioni. Verso il 12 settembre scaduto il termine per l’arruolamento nelle file tedesche, arruolamento che ebbe uno scarso successo in quanto aderirono in pochi… Continuare a collaborare con i tedeschi npon con le armi in quanto per noi la guerra era finita ma mettendo a loro disposizione quei materiali di cui avessero bisogno per poi cedere loro tutto (aeroplani, autoveicoli, armi, materiali, ecc.). Successivamente noi saremmo stati rimpatriati dai tedeschi…». Di lì a poco invece sarebbero iniziati i rastrellamenti di quei soldati italiani che non risposero all’arruolamento coatto. Arresisi ai tedeschi, nella malriposta speranza di essere rimpatriati, oppure disarmati con la forza dai nazisti, non di rado privati del riferimento dei propri diretti superiori arbitrariamente passati per le armi, i prigionieri italiani furono costretti a lunghe inumane, umilianti marce verso i campi di raccolta dove gli attendevano i treni destinati ai lager di Germania e Polonia. Parte degli avieri di Devoli riuscì a disertare e si unì alla Resistenza albanese.
Secondo la documentazione presente nell’archivio dell’Albo caduti I.M.I. (Internati Militari Italiani), Francesco Cremisio venne fatto prigioniero il 9 settembre 1943, quindi condivise la sorte con i commilitoni che decisero di restare al proprio posto e di non unirsi ai tedeschi. I rastrellati di Devoli vennero fatti confluire sull’“Ital bivack” allestito nella città di Bitolj, nei pressi dello scalo ferroviario. Il campo controllato da tedeschi e bulgari, ospitava anche un comando italiano composto da militi della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e da ufficiali del Regio esercito collaborazionisti con compiti di propaganda e reclutamento tra i militari catturati. Da qui transitarono, tra il 15 settembre ed il 15 ottobre, circa 50/55 mila italiani provenienti dai vari presidi d’Albania. Coloro e furono la stragande maggioranza, che nonostante la fame, le privazioni e le violenze cui furono sottoposti e l’illusoria promessa del ritorno a casa, non aderirono al costituendo esercito della nascente Repubblica sociale italiana andarono incontro al loro tragico destino di deportati, un viaggio nell’orrore, spesso senza ritorno. L’aviere Cremisio, internato in Germania, in un primo tempo nello Stalag IX B a Fallingbostele e successivamente nello Stalag XI B, a Bad Orb, in Assia (nella foto in intestazione, tratta da www.pinterest.com). Impiegato nel campo di lavoro coatto presso l’Arbeitskommando 6143 di Braunschweig. Morì in prigionia il 4 aprile 1945, a Bad Harzburg, in Bassa Sassonia, stando agli atti dell’autorità militare italiana, per le conseguenze di un’incidente stradale, in circostanze non meglio definite, possibile ipotizzare durante il trasporto dal campo ad un luogo di lavoro forzato nel quale gli internati militari italiani vennero impiegati , oppure nel corso del trasferimento da un campo o sottocampo di prigionia ad un altro. Fu sepolto nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo. A Serravalle lasciò la moglie, Vanda Mattei.
Nella città albanese di Devoli si compì il tragico destino di un altro giovane serravallese, Carlo Divano, classe 1920, Alpino, vittima di un bombardamento nemico.
Fonti:
Immagine in evidenza gentilmente messa a disposizione da ANRP – Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro familiari (www.lessicobiograficoimi.it; www.alboimicaduti.it)
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