Pietro Borasi e il primo autogrill italiano
In un precedente racconto ho parlato dell’edificio, ormai dismesso, sito nei pressi del casello autostradale, noto ai vecchi Serravallesi come il Bar Borasi. Una costruzione più o meno a forma di parallelepipedo che si trova nei pressi delle corsie di entrata del casello autostradale. Frequentatissimo negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, successivamente ha conosciuto un progressivo declino, fino alla sua chiusura. A Sabina Canegallo, sposata Borasi, ho provato a chiedere qualche notizia.
Cara Sabina, io in quel bar ci andavo con i miei da piccolo, perché vendevano un cioccolato alle nocciole buonissimo. Me lo consegnava una donna. Sai chi fosse?
Probabilmente era Colomba Gatti, suocera di mia suocera. Lei era la cassiera del locale e la moglie del proprietario.
Ah, e il proprietario, invece chi era?
Pietro Borasi, il marito di Colomba. Finita la seconda guerra mondiale lui ha voluto quel bar proprio all’ingresso della camionale, la Serravalle Genova; la Milano Serravalle, come sai, non esisteva ancora.
Una bella intuizione!
Direi proprio di sì. Passami il termine, ma quel locale è stato, in un certo senso, il primo autogrill italiano. Pietro aveva solo la terza elementare ed era originario del tortonese. Andò a Roma, nel 1946, per ottenere la necessaria concessione. Ce la fece.
Quando riuscì ad aprirlo?
Lo costruì interamente a sue spese. Mio cognato mi ha parlato di un documento che attesta la fine dei lavori nel 1948. L’inaugurazione avvenne poco dopo. Ma forse è meglio che parli proprio con mio cognato, Pietro anche lui come il nonno.
Questa storia inizia ad essere interessante. La riflessione di Sabina, per altro condivisa anche da altri lettori di quel mio articolo, mi sorprende e, come mi è solito nella vita, mi entusiasma. Il primo autogrill italiano a Serravalle! Provo a guardare in rete, ma Wikipedia non cita il nostro bar all’imbocco della camionale, assegnando ad altri il merito, in particolare all’imprenditore che inventò i Pavesini, i famosi biscotti. Riflettendo tuttavia non condivido quanto riportato. Vero è che Mario Pavesi aprì già nel ‘47 un’attività nei pressi del casello di Novara, sulla Torino Milano, ma era solo un chiosco, non un bar, poi oggettivamente costruito solo nel 1952 su progetto dell’architetto Angelo Bianchetti. Ne seg7uirono effettivamente altri e chi ha età e buona memoria ricorderà certamente la catena degli “Autogrill Pavesi”. La storia di Pietro Borasi tuttavia merita da parte di Chieketé la dovuta attenzione. Suo nipote Pietro, cognato di Sabina, classe 1966, è il custode delle memorie familiari. Lo chiamo al telefono. Cerco notizie e materiale fotografico. Grazie alla telefonia mobile e a whatsapp vengo subito accontentato.
Se ho capito bene, tu sei il nipote di Pietro Borasi?
Si; ho lo stesso suo nome. Con l’aiuto di un documento che ti invio, ti presento la nostra famiglia. Nonno Pietro è figlio di Giuseppe Borasi (1853 – 1924) e di Baiardi Teresa (1856 – 1946); nasce nel 1987 a Villaromagnano, quartogenito di nove fratelli. A parte Gioachino, sestogenito, nato e morto nel 1891, del settimo nato, ancora Gioachino (1893 – 1940), morto a 43 anni, e Costantino, il penultimo (1895 – 1925), deceduto a trent’anni, gli altri ebbero tutti vita lunga.
Una razza robusta evidentemente.
Assolutamente sì. Roberto, il primogenito, del 1880 è mancato a 91 anni, Marcello, nato nel 1882 è vissuto fino a 73, Maria del 1884 è campata fino a 90 anni, Vincenzo, classe 1889, è invece scomparso nel 1983 a 94 anni, Mario, l’ultimogenito del 1898 ci ha lasciati che di anni ne aveva 86. Mio nonno purtroppo non l’ho mai conosciuto: è mancato nel 1967, un anno dopo che sono venuto al mondo, a 80 anni. Un mio cugino è riuscito a ricostruire l’albero genealogico dei Borasi fino al 1600. Un’ipotesi plausibile è che il nostro cognome indichi la provenienza da Borassi, una frazione di Mongiardino Ligure.
Quando è arrivato a Serravalle tuo nonno e che lavoro faceva?
Si trasferì qui dopo la prima guerra mondiale, con la moglie, Colomba Gatti, ma l’anno preciso non lo so. I figli, Aldo (1926 – 1953), Giuseppe (1928 – 1998) e Sergio (1936 – 2019) sono comunque tutti nati a Serravalle. Con suo fratello Gioachino aprì un negozio in cui vendevano sementi. Possedevano alcuni macchinari per vagliare i cereali e, con carri trainati da cavalli, consegnavano la merce ai clienti. Serravalle era ben servito da strade e ferrovie ed era cerniera su tre valli. Un buon posto per un’attività commerciale.
Effettivamente, da Libarna in poi, questo è il destino del nostro paese.
Dopo la guerra iniziò ad accarezzare l’idea del bar. Riuscì ad ottenere una concessione trentennale del terreno dall’ANAS e lo realizzò entro dicembre 1948.
Fu un successo.
Sì e clamoroso. Lavoravano da matti. Potevi entrare in quel bar sia dall’autostrada che dall’esterno, da Serravalle intendo. Era aperto giorno e notte e ci lavoravano ben otto baristi. Addirittura, per un certo periodo, gestimmo anche un bar nei pressi del casello di Genova.
E poi cosa successe?
Quando mio nonno morì, il bar fu condotto dai due figli, Sergio e Giuseppe, mio padre, ma le cose iniziarono ad andar male. Il primo colpo lo subirono quando venne aperta la Milano Serravalle[1]. Fino ad allora, chi veniva da Milano entrava per forza a Serravalle per recarsi a Genova. Il bar era lì, proprio prima del casello e la gente si fermava, anche se la Polizia Stradale a volte mugugnava un po’. La bretella di Novi fra la A7 e la A26 fu poi il definitivo colpo di grazia.
Quando chiusero il bar?
Più o meno negli anni ottanta però date precise non te ne so dare. Tuttavia mia mamma potrebbe raccontarti qualcosa in più. Perché non vieni a trovarci?
Sono preso come al solito da molti impegni, ma indubbiamente parlare con chi può, per età, andare indietro nel tempo è occasione da non perdere. Un pomeriggio mi organizzo e parto in macchina per raggiungere la loro abitazione, una bella villa fra gli alberi che ha davanti a sé una splendida vista su Serravalle vecchia.
Clara Defilippi mi attende nel suo salotto dove io entro accompagnato da suo figlio. Ha bei lineamenti e un magnifico sorriso. Mi pare proprio contenta di poter raccontare la storia di quel bar. Mi accomodo di fronte a lei munito di carta e penna, rimpiangendo il fatto di non usare una video camera, anche se, con le persone in là con gli anni forse è meglio così.
Buonasera signora Clara, come è entrata in questa storia?
Lavoravo alla Fidass. Era il 1955 e avevo sedici anni. Mi occupavo della realizzazione dei campionari. Quel bar della Camionale era un buon cliente per la fabbrica. Fui mandata dai Divano insieme a una collega bionda per esporre i prodotti. Io ero bruna, ma Pietro Borasi della bionda non ne volle sapere. Rimasi da sola; dovevo rimanerci una settimana, ci sono rimasta per la vita.
Beh, evidentemente qualcuno aveva posato gli occhi su di lei.
Sì, Giuseppe, il figlio più grande. Mi feci desiderare un po’ – sorride – venivo da una famiglia semplice, loro stavano bene. Ci sposammo a Montespineto, solo con i testimoni, nel 1963; il prete era Monsignor Guido. Per un po’ di anni temetti di non poter avere bambini. Poi ne sono arrivati quattro: Pietro, 1966, Carla, 1969, Alberto, 1970 e Maria, 1972.
Che persona era suo suocero?
Pietro mi era molto affezionata. Lui era coraggioso e intelligente. Quell’attività la volle aprire a tutti i costi; anche altri erano venuti a conoscenza di quell’opportunità, ma si spaventavano. Incontrò a Roma l’ingegner Romita[2], che come ministro aveva allora competenze sulle autostrade, proponendosi per la realizzazione di un bar, hotel, ristorante sul terreno ottenuto in concessione dall’Anas. Guardi questo documento: – mi indica un foglio posato su di un tavolino a lei vicino – è una lettera, datata 23 dicembre 1948, indirizzata all’Architetto Bottaro.
Egr. Arch. Bottaro, mi fa piacerLe comunicarLe che la costruzione del mio Albergo, qui alla Camionale è sta ultimata in questi mesi secondo il suo progetto. La costruzione è riuscita ed ha ottenuto l’approvazione di quanti vengono a visitarla, perché rispondente allo scopo.
Leggo quel foglio e alzo gli occhi sorpreso.
Albergo?
Sì. Ma non solo. Fino a tutto il 1955, oltre al bar c’era il servizio ristorante, con tanto di cuoco; al primo piano era invece sistemato l’albergo con ben dodici stanze, poi scese a sei quando ci ricavammo un appartamento per la nostra famiglia. Ci restammo fino al 1972.
Per far marciare un’impresa del genere ci voleva molto personale?
Ah sì. Il bar era aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Io stavo alla cassa, con Emilio Curti. Al bar lavoravano Pietro Tegaldo di Travaghero, Antonio Moncalvo di Stazzano, poi Giancarlo Lagazio, Antonio Moncalvo, Franchino Ghiotto. Con noi vennero anche Antonio e Marta Mersoni che mio suocero indirizzò poi a rimpiazzare le Albinio.
Immagino che lì passasse chiunque.
Eccome! Ugo Tognazzi transitava spesso al pomeriggio per andare a Milano a registrare ‘Un due tre’ per la RAI. Passava Marisa Allasio, la figlia del calciatore, era una donna bellissima. Ricordo Johnny Dorelli; si fermava tutti i sabati alle 13, con la mamma e la sorellina. Suo padre morì poco dopo la sua vittoria al festival di Sanremo.
Personaggi famosi dunque…
Sì, di tutte le risme, però. Passarono anche quelli che i giornali chiamavano la Banda del Buco, che riuscirono a svaligiare la Banca Popolare di Novara nel 1955, a Santo Stefano. Vidi transitare persino Lorenzo Bozano, l’assassino di Milena Sutter.
Ma anche gente normale…
I camionisti ovviamente. Noi avevamo anche il servizio di chiamate telefoniche pubbliche. Richiedevano un sacco di tempo e molti non avevano il tempo di aspettare, così delegavano noi. Un giorno ho comunicato a una signora di buttare giù la pasta che il marito stava arrivando!
E quando arrivavano i pullman pieni di turisti?
Ci si arrangiava. Pensi che un giorno arrivò una corriera di neri del Togo. Avevano banconote che nemmeno il cambiavalute di Genova fu in grado di cambiare. Offrimmo il pranzo gratis.
Senta signora Clara, quando ero piccolo venivo da voi e mia madre mi comprava un quadrato di cioccolato con le nocciole, buonissimo. Chi lo produceva?
La Fidass, ovviamente!
Grazie signora.
[1] L’attuale Milano Serravalle-Milano Tangenziali è stata fondata il 28 luglio 1951 col nome di SpA per l’Autostrada Serravalle-Milano-Ponte Chiasso dai seguenti enti pubblici: Province, Comuni e Camera di Commercio di Milano, Genova, Pavia e Como e dal Consorzio Autonomo del porto di Genova (oggi Autorità Portuale di Genova). L’intento degli enti promotori, negli anni 50/60, era quello di collegare Genova alla Svizzera (Ponte Chiasso). Il 25 giugno del 1960 è stata aperta al traffico l’A7 (nel tratto compreso tra Milano e Serravalle Scrivia). Successivamente ha cambiato ragione sociale in Milano Mare-Milano Tangenziali, mettendo in risalto i due assi autostradali componenti l’attuale rete in esercizio: l’asse che collega Milano a Serravalle Scrivia e l’anello delle tangenziali milanesi. Dal 2005 ha assunto l’attuale denominazione.
[2] Giuseppe Romita (Tortona, 7 gennaio 1887 – Roma, 15 marzo 1958) è stato un politico iscritto al PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria); fu membro del primo governo De Gasperi (10 dicembre 1945 – 14 luglio 1946), 65° e ultimo governo del Regno d’Italia, con l’incarico di Ministro dell’Interno. Successivamente fu Ministro dei Lavori Pubblici nel secondo governo De Gasperi e primo esecutivo della Repubblica Italiana (14 luglio 1946 – 2 febbraio 1947). Nel terzo governo De Gasperi (2 febbraio 1947 – 1° giugno 1947) fu Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale.
Io fatto il casellante in quel casello dal 1973 al 2016 mi ricordo quel bar benissimo era il nostro posto di ristoro e ho visto passare molte persone famose fino all’avvento del telepass e sucessiva estinzione della figura di casellante