San Giuda Taddeo, uomo della Sindone
Un elemento di chiara derivazione Crociata è sicuramente la venerazione per le reliquie della Passione del Signore. Nell’Oratorio della Confraternita dei Bianchi è custodita una reliquia della Croce, nell’Oratorio dei Rossi è esposto alla venerazione (tuttora molto viva) dei fedeli un quadro di San Giuda Taddeo: cosa c’entra con le Reliquie della passione e come e perchè è esposto qui? Giorgio il Monaco (VIII secolo) testimonia: «C’è in Edessa (oggi Urfa, in Turchia) l’immagine di Cristo non fatta da mano d’uomo, che opera stupefacenti meraviglie. Il Signore stesso, dopo aver impresso in un “sudario” l’aspetto della sua forma umana, mandò detta immagine per mezzo di Taddeo apostolo, ad Abgar V, capo-territorio della città, e guarì la sua malattia». San Giuda poi lo converti, dopo averlo guarito. L’azione apostolica del nostro santo lo portò infatti fino in Mesopotamia e quindi in Anatolia (il regno armeno arrivava fino lì, e la Chiesa Apostolica Armena considera quindi il nostro San Giuda come suo fondatore). Il Mandylion o “Immagine di Edessa” era un telo conservato dapprima a Edessa e poi a Costantinopoli, dove se ne persero le tracce dopo i saccheggi cittadini del 1204. Le fonti lo descrivono come un fazzoletto che recava impressa in modo miracoloso l’immagine del viso di Gesù. Alcuni ritengono che il Mandylion fosse la Sindone piegata in otto e chiusa in un reliquiario, in modo da lasciare visibile solo l’immagine del viso. Il Mandylion potrebbe essere stato portato a Edessa proprio da San Giuda Taddeo, apostolo e cugino di Gesù: un documento del locale Patriarcato narra l’arrivo di San Giuda Taddeo ad Edessa e la venerazione degli abitanti alla «fisionomia del Signore, non fatta da mano d’uomo».
Le vicende di chi tornava dalla Terrasanta si incrociavano (almeno indirettamente) con quelle della nostra Confraternita. Dopo l’arrivo a Torino della Sindone e l’inserimento di una apposita sua celebrazione nel Calendario Liturgico piemontese (adottato anche dalla nostra Diocesi di Tortona dopo la soppressione -a metà ‘700- dell’ente territoriale autonomo denominato “vescovato” di cui era titolare il Vescovo di Tortona), alle pratiche religiose più dirette si andarono aggiungendo quelle legate alla pietà popolare, ma comunque improntate a radici non marginali. La devozione al nostro santo si inserisce nel filone di quei segni (simboli destinati a produrre un determinato effetto) che in questo caso perpetuano la memoria delle origini ospitaliero-assistenziali del nostro sodalizio a servizio di chi transitava, come punto-tappa sui cammini da/per Roma e Terrasanta, un po’ come si è detto riguardo alla chiesa del cimitero “vecchio” o riguardo alla originaria Confraternita della Croce, attuale Arciconfraternita “dei bianchi” da cui trae origine anche l’avvio della confraternita “dei rossi”.
N.B.: non va dimenticato, infine, che durante il Triduo Pasquale a Serravalle si conserva tuttora la pia pratica di visitare tre chiese (parrocchiale più i due oratori) dove vengono allestiti gli “altari della reposizione” (i cosiddetti “sepolcri”); questo a motivo della citata concessione di Indulgenze confermate nel 1588 da Sisto V a tutti i Trinitari, per cui chiunque visiti almeno due chiese può lucrare i medesimi benefici spirituali legati alle “stazioni” (riti e catechesi in preparazione alla Pasqua, che si tenevano in Quaresima a Roma), come se si trovasse nell’Urbe. Di conseguenza la gente fece presto a mettere insieme le cose: le Indulgenze erano state concesse ai Trinitari, le chiese da visitare dovevano essere almeno due, la Trinità è la terna perfetta, due oratori più una chiesa parrocchiale fa 3; quindi ecco che ancor oggi alcuni fedeli osservano scrupolosamente questa indicazione, ritenuta inefficace se non viene adempiuta in questi termini.