Don Giuseppe Garaventa. Il “Cappellano – guerriero”. Da Serravalle ad Addis Abeba.
Canonico, teologo, insegnante, musicista, Cappellano Militare Truppe Alpino, Ufficiale Cappellano M.V.S.N., Pluridecorato.
Giuseppe Garaventa (di Francesco Garaventa e Marzietta Giavotto / Serravalle Scrivia, 2 luglio 1888 / Casteggio, Pavia, 18 ottobre 1940).
Giuseppe Garaventa nacque a Serravalle Scrivia il 2 luglio del 1888, figlio di Francesco Garaventa, brentatore, benestante trasportatore e commerciante di vini, e di Marzietta Giavotto, donna di casa. I Garaventa vissero a lungo nella casa di Via Tripoli, a due passi dal Municipio e dalla Casa Canonica. Studente, il 14 aprile 1910, presentatosi alla visita di leva, venne giudicato rivedibile per motivi di salute e venne rimandato a casa, a disposizione del Distretto Militare di Voghera. Il 30 ottobre Giuseppe ricevette comunque la chiamata alle Armi e si presentò al reparto di assegnazione, in Tortona, presso la Caserma Passalacqua, sede del Reggimento Fanteria Tortona. Il 31 agosto 1911 fu tuttavia congedato dal servizio militare. Nel 1922 la famiglia si trasferì a Sarezzano, sui colli tortonesi. Il giovane serravallese maturò la vocazione ecclesiastica e, compiuti gli studi seminariali in teologia, presso il Seminario Vescovile Leone XII di Stazzano, prese i voti. Appassionato di libri e musica, scelse di dedicarsi all’insegnamento delle lettere presso l’istituto religioso che lo aveva formato ed accompagnato all’abito talare. Per diversi anni fu docente nella aule del sacro collegio di Stazzano, attiguo al Santuario del Sacro Cuore, dove curò e diresse il coro dei seminaristi (Nell’immagine il Seminario di Stazzano in una cartolina d’epoca, “Fotogravure B.N. Marconi”, Genova).
Con il deflagrare della Prima guerra mondiale, don Garaventa venne nominato cappellano militare il 1 giugno 1915, con il grado di tenente e ferma pari alla durata del conflitto. Il religioso serravallese venne chiamato a portare assistenza spirituale e materiale ai soldati del Regio Esercito, dalle corsie dei nosocomi militari alle prime linee. Prima l’Ospedale da Campo nr. 20, della 2° Compagnia Sanità di Alessandria, nel periodo allestito in Casali Gallo, a Corno di Rosazzo (Ud), il comune ove, nella notte tra il 23 e il 24 maggio, una ronda di Finanzieri esplose il primo colpo di fucile della Grande Guerra dell’Italia, per sventare un’azione di sabotaggio nemico al ponte sul fiume Judrio. Così il giornale della Diocesi di Tortona Il popolo del 6 giugno 1915 salutava i sacerdoti (tra i quali anche padre Giuseppe) della curia dertonina chiamati sotto le armi: ...ai nostri soldati preti dei quali parecchi già si trovano sul campo della lotta e della gloria porgiamo il più fervido e cordiale augurio di ritornare salvi e vincitori. Siamo sicuri, e lo gridiamo alto, che fra i soldati migliori del nostro esercito si dovranno annoverare i nostri preti: il loro spirito di disciplina e di sacrificio non può essere superato: essi hanno votato tutta la loro vita alla disciplina ed al sacrificio. Ed è sempre coi fatti che il Clero cattolico smentisce la settaria accusa dei suoi nemici i quali, mentre urlano e scrivono contro i preti nella comoda redazione di un giornale, i preti danno la vita, l’energia, il sangue per la salvezza della Patria. La guerra scatena tutto ciò che è brutale. Appunto per questo ogni cattolico deve in quest’ ora storica cercare di vivere il più conformemente possibile agli insegnamenti di Cristo. C’è bisogno di bontà cristiana in quest’ ora, di tanta bontà, da opporre come argine al dilagare delle passioni. Noi chiediamo ai nostri amici che dimostrino la grandezza della nostra fede, diffondendo questa bontà colle parole, colle opere, ma soprattutto colle preghiere…[1]
Indossata la divisa di cappellano militare, venne assegnato inizialmente alle Sezioni Ospedaletti Sanità di Corpo d’Armata del Regio Esercito, formazioni sanitarie mobili con capacità ordinaria di 50 posti letto. I materiali ed il personale addetto dell’ospedaletto venivano movimentati, lungo le linee di combattimento, con muli o carri secondo le esigenze dei quadranti di operazioni. Secondo gli ordini ricevuti, veniva allestito in spazi riparati dal tiro del nemico e carrozzabili. Medici, farmacisti, infermieri, portaferiti e gli altri addetti il cappellano collaboravano ad allestire il piccolo nosocomio in fabbricati o baracche ove disponibili oppure impiantavano le piccole tende in dotazione, una riservata alla medicazione e quattro al ricovero. Qui don Garaventa si adoperò per portare sollievo al corpo ed all’anima dei feriti, a quelli leggeri ed a quelli gravi, che giungevano dai posti di medicazione e soccorso della linea di fuoco, delle diverse sezioni. La degenza nell’ospedaletto era molto breve e concentrata sulle cure strettamente necessarie a rendere possibile il trasporto del soldato ferito, che non fosse in grado di riprendere al più presto il combattimento, presso le strutture più grandi delle seconde retrovie. Le prognosi più complesse, che non si risolvessero nel dramma di una morte rapida ed ineluttabile, comportavano infatti il trasferimento agli ospedali di tappa e successivamente a quelli da campo e agli ospedali militari. Nel corso del conflitto il sacerdote serravallese venne successivamente trasferito ai reparti delle truppe alpine. Il 3 ottobre 1916 il religioso venne trasferito al 4° Gruppo da Montagna. Nell’aprile del 1918 risulta Cappellano presso l’Ospedale da Campo nr. 20, attestato a Cittadella, nel Padovano [2]. Il 1 maggio 1918 tornò a servire presso la Sanità Militare, nell’ospedaletto da campo nr. 141, della 4° Compagnia Sanità di Genova, localizzato a Brod, in Serbia, nel mese di settembre, a Monastir, in Macedonia, a ottobre e a Kustendil, in Serbia, e Veles in Macedonia a novembre. Il 1 settembre 1919, il Cappellano trascorse un breve periodo in Italia per venire presto mobilitato per l’Albania, con imbarco da Taranto. Nel Paese delle Aquile venne aggregato al Battaglione “San Dalmazzo”. Il 20 febbraio 1920, venne rimpatriato e riassegnato alla 2° Compagnia di Sanità. Il 19 marzo 1920 fu congedato dal Regio Esercito.
Nel primo dopoguerra Don Giuseppe Garaventa tornò al proprio servizio sacerdotale presso la comunità della Diocesi di Tortona. Nel corso della sua Pastorale il giovane Prevosto visse tra le genti del Tortonese i tempi difficili che seguirono la Grande guerra ed assistette alla progressiva, irreversibile crisi dello stato liberale, il cui tumultuoso divenire avrebbe condotto all’avvento del Fascismo, maturando le proprie convinzioni sul futuro della Nazione. Eventi che coinvolsero profondamente i rapporti tra la Chiesa e lo Stato che presto si sarebbe fatto regime: un rapporto segnato da contrasti ed affinità, non scevro da ambiguità, caratterizzato anche da momenti di grave crisi. Inizialmente la Santa Sede e la stampa cattolica deplorarono le violenze scatenate dai Fasci nelle strade, nelle fabbriche, nei campi, angherie che non di rado erano dirette anche contro sacerdoti, singoli fedeli e l’associazione Azione Cattolica. Le posizioni anticlericali proprie del Benito Mussolini degli esordi, agitatore socialista, dalla fondazione dei Fasci di combattimento nel 1919, fino alla Marcia su Roma e alla conquista del potere, andarono via via mutando con il mutare delle aspirazioni politiche del futuro Duce: ...il bagaglio ideologico del Mussolini socialista… lasciò spazio al progressivo abbandono d’ogni pregiudiziale antireligiosa, fino al completo rovesciamento di posizioni in materia. Mussolini lo esplicitò il 21 giugno 1921, durante il suo primo discorso alla Camera: “…La tradizione latina e imperiale di Roma è oggi rappresentata dal cattolicismo….”[3]
Una svolta filocattolica che raccolse consensi nelle gerarchie vaticane e nella società cattolica e che indusse la Chiesa ad un prudente e non propriamente disinteressato attendismo, in chiave conservatrice ed antirivoluzionaria. Mussolini perseguiva il suo disegno di potere con spregiudicata violenza e con cinico calcolo, anche nei rapporti con la Chiesa, abile nell’intimorire come nell’aprire e coltivare contatti diretti e privilegiati con le autorità ecclesiastiche, facendo promesse e tessendo alleanze. Il Re non intervenne ed il Vaticano preferì il silenzio, tuttavia vi furono personalità cattoliche che compresero – e lo fecero sin da subito – la natura gravemente eversiva insita nel movimento della Camicie Nere ed il tentativo di Mussolini di strumentalizzare la Chiesa cattolica. Tra coloro che non si nascosero, esemplare fu la figura di don Luigi Sturzo, fondatore e leader del Partito Popolare Italiano. Per la sua fiera opposizione al fascismo, culminata con l’adesione dei Popolari alla secessione dell’Aventino in segno di protesta per l’assassinio dell’onorevole socialista Giacomo Matteotti, il sacerdote siciliano fu spinto a lasciare la guida del PPI dalle pressioni di ambienti e gerarchie cattoliche. In tali ambienti il Duce incontrava significativi consensi e inoltre si temevano azioni anticlericali anche violente delle squadre fasciste nel caso in cui non venisse esaudito il desiderata del Maestro di Predappio – ansioso di cancellare dalla scena politica il Partito Popolare ritenuto d’ostacolo ai suoi disegni – di vedere rimosso dai suoi incarichi Don Sturzo. Infine egli lasciò l’Italia, esule in Regno Unito dal 1924 al 1940. Il prezzo pagato da un altro religioso che non si piegò alla dittatura, don Giuseppe Minzoni, sacerdote antifascista del Ravennate, oppostosi alle violenze fasciste sui braccianti locali, fu ancora più alto: il 23 agosto 1923 venne aggredito e percosso a morte nei pressi della canonica da un gruppo di squadristi. Tuttavia il processo di normalizzazione dei rapporti tra il Vaticano, il Quirinale e Palazzo Venezia, proseguì e si concretizzò l’11 febbraio 1929, con la firma dei Patti Lateranensi: …equilibrio… trovato sulla base delle diverse esigenze che stavano a cuore alle due parti: il governo fascista puntava… ad una valorizzazione del trattato che sancisse la conclusione della “questione romana”, con l’obiettivo di rafforzare il proprio prestigio sia nel paese che in campo internazionale. Per Mussolini potersi presentare come il pacificatore delle coscienze dei cattolici, come “non solo il restauratore dell’ordine sociale, ma di valori religiosi e morali”, significava consolidare… posizione politica e… immagine di fronte al paese e al mondo cattolico. Alla Santa Sede premeva… la tutela e il riconoscimento delle organizzazioni di Azione Cattolica, l’estensione alle scuole medie dell’insegnamento della religione e il riconoscimento giuridico del matrimonio religioso. Il Concordato rappresentava per la Santa sede la garanzia di poter avere, attraverso una legislazione a lei favorevole, maggior peso e influenza nella vita italiana… di fronte a… un sistema totalitario…[4]
Don Giuseppe Garaventa, con il Ventennio tornò alla vita militare. Scelse d’indossare la camicia nera, in qualità di Cappellano della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, la formazione ad arruolamento volontario istituita dal regime fascista nel 1923, con il compito di provvedere in concorso coi corpi armati a mantenere all’interno l’ordine pubblico e preparare i cittadini per la difesa degli interessi dell’Italia nel mondo. In organico a ciascuna delle legioni della Milizia venne posto un cappellano. Per i sacerdoti non vi era obbligo d’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, tuttavia: …nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento il clero manifesta la maggior adesione al Fascismo. Esalta la partecipazione alla guerra civile in Spagna per sostenere il cattolico Generale Francisco Franco e la Guerra d‘Etiopia come moderne crociate in difesa e per la diffusione del cattolicesimo. Molti i nemici comuni, come il comunismo, il socialismo, il liberalismo e la democrazia che uniscono la chiesa al fascismo. Altri lati del regime sono però invisi alla chiesa: come il monopolio sulle nuove generazioni educate al culto fascista, dello Stato e della guerra che sottraggono risorse umane e spirituali alla chiesa e il mito personale di Mussolini che per la devozione e divinizzazione del duce assomiglia a una nuova religione….[5]
La Milizia venne mobilitata in grandi unità per il conflitto Italo – Abissino e per la guerra civile di Spagna. La presenza dei cappellani presso i reparti CC.NN. si esprimeva non solo nell’assistenza spirituale e materiale ai soldati combattenti, feriti o in fin di vita, le messe al campo e la somministrazione dei Sacramenti. Essi si adoperarono come intermediari tra i soldati e le famiglie, nelle incombenze matrimoniali e verso i figli, nella corrispondenza epistolare, nelle pratiche per i sussidi economici e nei testamenti, portarono conforto ai congiunti dei militi caduti. Dal punto di vista istituzionale, tennero conferenze alla truppa, collaborarono negli uffici stampa, vigilarono sulla distribuzione della posta. Per le camicie nere: …vedere i Cappellani vestiti della stessa divisa, con l’insegna della croce color cremisi sul petto, affrontare marce e pericoli di ogni genere, correre dove più urgeva la loro presenza, avere cura delle salme, formare i primi cimiteri, affrontare essi stessi la morte, fu per tutti un insegnamento e un esempio. I Cappellani… presero a cuore le loro condizioni di fronte alla Chiesa, di fronte allo Stato, di fronte alla coscienza… Ma la missione dei Cappellani non ebbe termine con la conclusione delle operazioni militari che vide la proclamazione dell’Impero. Dal maggio 1936 in poi, il movimento per l’assistenza religiosa continuò e anzi si moltiplicò come il numero dei Cappellani. Essi accompagnavano le Centurie dei lavoratori e continuarono ad assistere i militi nel complesso lavoro della colonia….[6] Con la Seconda Guerra Mondiale ad ogni Divisione dell’Esercito venne aggregato un Battaglione della Milizia.
Di particolare interesse fu l’operato dei Cappellani M.V.S.N. sui fronti di guerra della Campagna d’Etiopia del 1935-1936: tra questi anche don Garaventa. Il 15 e 16 luglio 1935 don Garaventa concorse per l’incarico di nuovo parroco di Serravalle Scrivia, con ottime referenze. La Diocesi di Tortona per la successione a monsignor Carlo Milanese, destinato alla Parrocchia pavese di Stradella, scelse però don Luigi Guerra. Don Giuseppe decise allora di partire per l’Africa Orientale Italiana, dove prese parte agli eventi bellici che portarono alla fondazione dell’Impero. Per la sua esemplare condotta, nel 1936, l’allora Centurione Cappellano della Milizia (qualifica equiparabile a Capitano) Giuseppe Garaventa venne nominato dal Sovrano, Vittorio Emanuele III, Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Nello stesso anno fu insignito anche del titolo di Cavaliere dell’Ordine Coloniale della Stella d’Italia, benemerenza del Regno per ricompensare sudditi indigeni e cittadini italiani delle Coloni dell’Impero. Nelle fila della Milizia Coloniale, con il grado di console, Garaventa, era in servizio in Etiopia, ad Addis Abeba, ove ricoprì il delicato incarico di Ispettore della M.V.S.N., come ufficiale di collegamento tra l’Ordinariato Militare per l’Italia di Roma ed i cappellani addetti ai vari reparti presenti in quel quadrante d’occupazione. Fu anche cappellano del Gruppo CC.NN. Montagna, il reparto che occupò Gondar, l’antica capitale etiope e l’Amba Alagi, unità che al suo ritorno in patria nell’ottobre 1936 a Napoli [7], ricevette in rassegna gli onori direttamente dal Segretario Nazionale del Partito Fascista, Achille Starace. Il Montagna prese il nome dal suo comandante, il generale Renzo Montagna. Montagna, ufficiale di rango del Regio Esercito, al comando del VI° Gruppo Battaglioni CC. NN. d’Assalto si distinse nelle battaglie di Macallè, Passo Mecan e Lago Ascianghi, acquistando poi grande fama per aver occupato, il 28 febbraio 1936, l’Amba Alagi con un’arditissima azione. Un personaggio che negli anni sarebbe divenuto figura di primo piano della Repubblica Sociale Italiana: nel gennaio 1944 fu chiamato dal Duce a far parte del collegio giudicante del processo di Verona che condannò a morte i gerarchi fascisti che il 25 luglio 1943 votarono l’ordine del giorno “Grandi”; il 4 ottobre fu nominato capo della Polizia della R.S.I.
Il sacerdote serravallese scelse di non rientrare in Italia con i suoi militi e rimase a vivere ad Addis Abeba fino a pochi mesi dalla morte. Testimonianza della considerazione che padre Garaventa si conquistò in Africa emerge anche da una corrispondenza del famoso giornalista e conduttore radiofonico dell’epoca, Mario Appelius, inviato speciale ad Asmara, in Etiopia, del quotidiano fascista Il Popolo d’Italia. Così descrive la visita nel 1935 agli accampamenti del Corpo di Spedizione Italiano, tra i quali il VI Gruppo Battaglione Camicie Nere, che comprende reparti provenienti dal Piemonte (Cuneo, Alba, Mondovì, Saluzzo) ed altre regioni italiane: «…Mentre parlo con i militi osservo il gruppo dei Comandanti… a ridosso di un macigno i cinque uomini intorno all’alta figura del generale Renzo Montagna, il… cappellano – guerriero Giuseppe Garaventa, formano un bassorilievo michelangiolesco. Il rancio ci riunisce fraternamente intorno ad un tavolaccio…, ma a metà del rancio il Generale ordina improvvisamente… di far suonare l’allarme… mentre sonano le trombe dei battaglioni che si rimbalzano di colle in colle il segnale… I militi che avevano finito… dormicchiavano sotto le tende, qualcuno scriveva, altri lavano la loro biancheria… 18 minuti dopo l’allarme l’intero gruppo sfila in tenuta di guerra dinanzi al Generale… coi muli, con le salmerie, …mentre la fanfara irradia “Giovinezza”… Corrispondenti stranieri e italiani che hanno visitato gli accantonamenti delle divisioni dell’esercito hanno espresso ammirazione per lo spirito di queste truppe costituite da soldati di leva e da richiamati. Difatti l’esercito dell’Italia fascista si manifesta di fronte all’impresa africana animato da volontarismo consapevole imperiale, altrettanto quanto la milizia volontaria, per l’espansione della nostra capacità di lavoro creativo, di ricchezza agricolo industriale sui territori ancora abbandonati alle barbarie e da far valere il prestigio ed il diritto di potenza della patria…[8].
Nel corso del suo servizio presso l’Autorità Militare Garaventa raggiunse il grado di Primo Seniore della Milizia, equivalente a Tenente Colonnello. Rimpatriato per motivi di salute, don Garaventa spirò a Casteggio, nel Pavese, il 18 ottobre 1940, a soli cinquantadue anni d’età, per le conseguenze una grave patologia contratta proprio in terra d’Africa. In vita egli svolse il proprio ministero pastorale ordinario in particolare presso le parrocchie di Sarezzano, di Staghiglione in Borgo Priolo e di Casteggio, sedi foranee del clero della diocesi di Tortona, ma restò sempre molto legato alla comunità civile e parrocchiale serravallese. Infatti l’ultimo viaggio della sua avventurosa vita si concluse proprio nella natia Serravalle dove, dopo i solenni funerali celebrati a Sarezzano, venne accolto con gli onori civili e militari, salutato dall’affetto dei suoi cari e dei suoi concittadini, e tumulato nella tomba di famiglia al cimitero comunale. Questa la cronaca, tratta dai giornali dell’epoca, delle esequie: …ricevuti i Santissimi Sacramenti e confortato già dalla visita di S. E. Mons. Vescovo… si è spento serenamente… Don Giuseppe Garaventa… Fu cittadino, sacerdote, ufficiale esemplare: in ogni campo di bene portò sempre la sua anima ardente di bontà e di carità la sua viva fiamma di fede religiosa e patriottica. Da Bolzano, Monsignor Michelangelo Rubino, Console Generale della Milizia, il quale cantò la Santa Messa di suffragio… in profondo raccoglimento il corteo si snodò fino alla piazza Cavour, ove dopo l’appello fascista fatto dal Luogotenente Generale, Renzo Montagna, Comandante la II Zona di Genova… dopo il feretro proseguì fino a Serravalle….[9]
(Nell’immagine a sinistra, il ritorno in patria delle CC.NN. del Gruppo Montagna, celebrato sulla copertina del settimanale “La Domenica del Corriere“).
Alle porte del paese, il feretro venne accolto dall’arciprete, monsignor Luigi Guerra, affiancato dal Clero Novese, tra i quali anche don Alberto Garaventa (sacerdote novese, Cappellano del Battaglione “Dronero” del 2° Reggimento Alpini). La bara del compianto religioso fu traportata a braccia dai serravallesi sino alla chiesa Parrocchiale. Presenziarono al rito, oltre ai parenti, le autorità e le gerarchie locali del Fascio e Pavesi, numerosi Ufficiali superiori della M.V.S.N., rappresentanti della Gioventù Italiana del Littorio, delle associazioni d’Arma e Combattentistiche, associazioni ed istituzioni cattoliche, diverse Confraternite, il rettore ed i chierici del seminario di Stazzano e del seminario delle Missioni Estere di Montebello (PV), i piccoli dell’asilo infantile di Serravalle: …un silenzioso orante interminabile corteo di popolo e di ammiratori. Giunsero a centinaia telegrammi di condoglianza alle desolate sorelle e al fratello lontano…[10]
Note:
[1] “Il popolo”, 6 giugno 1915
[2] https://www.14-18.it/documento-manoscritto/BNM_OLS_CASS02001_024_1_009/001?search=37a6259cc0c1dae299a7866489dff0bd&searchPos=2
[3] Alberto Guasco, “Il fascismo 1919 – 1931 e la Chiesa in Italia”, Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, articolo on line (https://www.storiadellachiesa.it/glossary/fascismo-1919-1931-e-la-chiesa-in-italia/)
[4] https://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0053532_1994_194-197_04.pdf
[5] http://www.lafotografiacomeattopolitico.it/2020/12/23/chiesa-e-fascismo/
[6] http://www.regioesercito.it/reparti/mvsn/et35capmil.htm
[7] https://www.giornalidelpiemonte.it/dettaglio.php?globalId=giopiens;3060133;1
[8] Francesco Paoloni, “La Nazione militante in marcia“, in “Rassegna universale della stampa“, nr. 1/1935, Società Editrice Echi e commenti, Roma, 1935
[9] “Il popolo dertonino”, 24.10.1940, pag. 4, articolo senza firma
[10] Il popolo dertonino, 24.10.1940, pag. 4, articolo senza firma
Fonti:
Archivio Storico del Comune di Serravalle Scrivia
Archivio Storico della Parrocchia di Serravalle Scrivia
Archivio di Stato di Alessandria, Foglio Matricolare, nr. 21604, Distretto Militare di Voghera
Attilio Teruzzi, “La Milizia delle Camicie Nere e le sue specialità“, A. Mondadori Editore, Milano, 1933.
Giovanni Scalia, “MVSN – La Milizia per l’Impero“, per il Comando Generale della Milizia, Istituto Grafico Tiberino, Roma, 1937, pagg. 133-134
Francesco Malgeri, “Chiesa cattolica e regime fascista“, in “Storia militare”, nr. 6, 1994
Mario Ampelius, “Il crollo dell’Impero dei Negus“, Mondadori editore, Milano, 1937
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