L’obbedienza di don Aldo
Don Aldo guarda la volta della sua nuova parrocchia con l’abside dove fa mostra di sé il martirio di Santo Stefano dipinto da Luigi Gainotti, un’opera di rara forza espressiva. Poco oltre, a destra, al termine della navata laterale, può osservare le splendide decorazioni della cappella dell’Addolorata eseguite dal Gambini. Si volta, e lo sguardo cade sopra il portone centrale dove troneggia, superbo, un organo Serassi, mentre sul sagrato domina la bianca facciata in travertino voluta da Monsignor Carlo Milanese. “Bellissima Casa del Signore”, mormora fra sé.
“Certamente non è una ‘parrocchietta’ dove trascorrere in pace la vita del pensionato!” Gli aveva detto scherzosamente un giornalista, tre settimane prima a Basaluzzo, mentre lo intervistava. No, non è una parrocchietta e i problemi sono enormi. In pochi giorni ha capito che sono anche più grandi di quanto potesse immaginare…
Ha preso possesso della parrocchia una settimana prima e ha già conosciuto diversi parrocchiani, brave persone certamente, che vivono ed animano questo per lui semisconosciuto paese, Serravalle Scrivia, così affascinante ma complesso. Grandi vie di comunicazione, tanti immigrati, molte religioni, qualche ricco, un gran numero di poveracci. E, a nord, verso Novi, gli dicono che sorgerà il più grande centro commerciale d’Europa, regno dell’effimero ma anche futuro luogo di lavoro per molti.
“Quante contraddizioni!” sibila fra i denti. Deve ammetterlo, dal punto di vista ecclesiastico, certamente Serravalle rappresenta una promozione, ma la sua testa e il cuore sono altrove, dieci chilometri più in là, verso ovest, dove le acque del Lemme si gettano nell’Orba, a Basaluzzo.
Non è per le cose materiali che ha dovuto lasciare: la parrocchia di Sant’Andrea, l’asilo per i bambini e l’oratorio di sant’Antonio ad esempio; certo per queste si è dato un gran da fare in vent’anni, ma sono le persone che gli mancano. Essere preti significa soprattutto essere d’aiuto agli altri e chi hai aiutato non può essere abbandonato dall’oggi al domani. Aveva obbedito al Vescovo come sempre, perché era giusto così, ma adesso una frase di Don Milani gli ronza per la testa “L’obbedienza non è più una virtù”. Certo quel contesto era differente, e la frase riferita al mondo giovanile e alla scuola, però, però…
Don Aldo si inginocchia e inizia a pregare. E a pensare. “Certo, è proprio strano”, ragiona tra sé e sé, mentre sul suo volto si disegna un vago sorriso: “Il Signore ha voluto a tutti i costi sottopormi a questa prova, ha voluto così…”.
Un anno prima, quando era scomparso tragicamente in un incidente stradale don Teresio Angeleri, il suo nome era tra quelli a cui il Vescovo aveva pensato per la sostituzione. Anzi, aveva già preparato il decreto di nomina! La scelta finale era stata diversa, ma ora che il sostituto di don Angeleri, il povero don Bruno Lanza, era mancato improvvisamente, il Vescovo Bongianino, mentre era in visita pastorale a Basaluzzo, lo aveva preso da parte: “‘Preparati, perché questa volta devi andare”, e aveva aggiunto per indorare un po’ la pillola sapendo quanto il parroco fosse legato alla sua Parrocchia: “Serravalle non è poi così distante…”
“Mi hai chiamato a questa prova, Signore, e ora devo fare un esame di coscienza.” Don Aldo alza lo sguardo a cercare gli occhi sofferenti del Cristo. “Signore, aiutami a capire che cosa mi stai chiedendo, quale è la strada che devo prendere… Ho quasi settant’anni e devo riflettere bene sulla mia vocazione, su questo nuovo compito, sui miei quarant’anni di sacerdozio”.
In verità don Aldo di anni ne ha sessantasette, è alto più di un metro e ottanta, pesa quasi un quintale ed è un sacerdote noto perché non si risparmia mai, sia nell’assistenza pastorale sia nel lavoro fisico. L’obbedienza al suo vescovo è sempre stata un cardine del suo comportamento, ma ora i dubbi e i turbamenti dell’animo accompagnano le sue giornate sin dal momento della nuova designazione. Aveva visto molti occhi lucidi a Basaluzzo alla notizia della sua partenza e non riusciva a dimenticarli. “È difficile immaginarsi Basaluzzo senza di lei… Quando sentiremo nominare Serravalle ecco che subito ci verrà in mente la sua persona; quando andremo in chiesa sarà ancora come se la rivedessimo…”, gli aveva detto con voce triste un giovane parrocchiano.
Don Aldo continua a pregare e a pensare. Se ne va indietro nel tempo, agli anni della sua adolescenza. “Quarant’anni di sacerdozio, ma cinquantacinque da quando ho scoperto in me la vocazione!”
Aveva dodici anni, ed era morta la nonna. Quel dolore fu come un’ispirazione: nel giro di quindici giorni ne parlò con i genitori e decise di farsi prete. Per dodici anni Serravalle l’aveva vista da lassù, dai cortili e dai finestroni del Seminario di Stazzano. Poi l’ordinazione, cinque anni come coadiutore a Broni e nel 1955 il primo incarico come parroco, in un piccolissimo paese dell’Alta Val Borbera.
“Dova! Che ricordi conservo di quella minuscola parrocchia! Mi è rimasta nel cuore. Meno di duecento parrocchiani… Li ricordo ancora uno per uno, vedo i loro volti! Uno in particolare, quel ragazzo intelligentissimo, con la battuta sempre pronta e gli occhi intensi e mobilissimi. Luciano… Credo sia anche merito mio se oggi è uno dei più apprezzati sacerdoti della Diocesi…”.
Don Luciano aveva ricoperto molti incarichi importanti ma da alcuni anni aveva scelto di tornare nella sua montagna e ora amministrava una dozzina di parrocchie sparse tra la Val Borbera e la Valle Staffora. Svolgeva anche molte altre attività per cercare di rivitalizzare la montagna sempre più spopolata, e aveva stretto un accordo con i suoi parrocchiani: la messa la celebrava a giorni e orari variabili, quando poteva. Appena giunto in una delle sue dodici parrocchie don Luciano avrebbe suonato le campane e i parrocchiani avevano mezz’ora per precipitarsi in chiesa. Non ne mancava mai nessuno!
“Ecco! La scelta di don Luciano è esemplare! Anche lui non è riuscito a restare lontano dalla sua terra e dalla sua gente, si è reso conto che senza la sua Val Borbera perdeva un pezzo di sé, e che anche la sua missione pastorale ne avrebbe sofferto… Per essere totalmente servo del Signore aveva bisogno di quella dimensione… Signore, senza la mia Parrocchia di Basaluzzo, senza il mio asilo, senza i miei parrocchiani, senza la mia dimensione, manca qualche cosa al mio spirito… Riuscirò a rimanere un buon sacerdote?”
Don Aldo guarda l’orologio, si accorge che si sta facendo tardi. Quella sera ci sarà una riunione importante e deve ancora sistemare molti documenti per capire meglio la situazione amministrativa e finanziaria della parrocchia.
Lascia la Collegiata e si avvia verso la canonica. Via Tripoli è già buia, è il 22 febbraio e anche se le giornate si stanno allungando il crepuscolo arriva in fretta. In canonica legge i documenti, li infila nella sua cartella e poi si prepara una pastasciutta. Apre il frigo, sceglie un vasetto con il sugo di lepre donatogli da una parrocchiana quando ha lasciato Basaluzzo: “Quando viene a trovarci… perché mica va in America, no? Ogni tanto viene qui, sta un po’ con noi, e io le preparo la selvaggina come piace a lei, e a Serravalle si porta qualche bel vasetto di sugo appena fatto!” Don Aldo è affamato, divora la sua pastasciutta e pensa con un sorriso che in quella serata così importante non ha voluto rinunciare alla compagnia di un piccolo pezzetto di Basaluzzo…
“Don Aldo bisogna andare…”. Il Viceparroco si è affacciato timidamente alla cucina e si è rivolto al parroco con la solita educata cortesia. Don Andrea è una presenza discreta, ha capito il suo tormento e ha preferito lasciarlo solo il più possibile. Non si è fatto vivo neppure per quella cena, per non disturbarlo e non intralciare i suoi pensieri. Piccole attenzioni di cui don Tacchino è grato al suo vice. Oppure no? Forse… sarebbe meglio avere al fianco un sacerdote più deciso, con una personalità più forte, capace di stimolarlo, di aiutarlo a risolvere i suoi dubbi? “Mah, caro don Aldo, se non riesci a capire neppure questo è tutto dire…”
“Mi scusi don Tacchino, cosa ha detto? Non ho capito”, gli sussurra don Andrea.
Il Parroco si accorge di aver parlato ad alta voce, si riscuote, e si avvicina al suo vice: “Niente, niente, don Andrea, parlavo tra me e me, non farci caso… Eccomi, lasciami recuperare la mia cartella e ti seguo”.
Tra la canonica e la Casa del Giovane, dove si terrà la riunione, ci sono poche decine di metri; lungo quel breve percorso incontra e saluta diverse persone dirette anche loro all’incontro. L’edificio voluto da Monsignor Guerra è illuminato e altre donne e uomini stanno entrando.
Alla riunione sono stati invitati tutti i rappresentanti del mondo parrocchiale: associazioni, movimenti religiosi, le confraternite, il mondo giovanile con in testa il circolo ANSPI. Ci sono tanti giovani, persone adulte, anche qualche anziano.
Gli viene incontro, sorridente, Luciano. È un trentacinquenne un po’ tracagnotto, dai modi gentili e simpatici. È uno dei due testimoni designati per il suo insediamento e nei giorni precedenti, appena lasciato il lavoro, lo ha aiutato a conoscere la parrocchia. Ora lo conduce al terzo piano della Casa del Giovane, nella sala dove avverrà l’incontro con i parrocchiani: “Vede don Aldo, qui un tempo c’era un biliardo, nella stanza accanto il tavolo da ping-ping… In queste due stanze sono passate generazioni di giovani serravallesi… Quante ore abbiamo trascorso in queste stanze! Qui sono nate amicizie che durano ancora, dopo anni e anni…”
La sala è gremita e all’ingresso del nuovo Parroco si fa subito silenzio. C’è un clima di palpabile imbarazzo. “Ma non potrebbe essere diversamente…”, pensa don Aldo… Le parole pronunciate lasciando Basaluzzo erano arrivate a Serravalle e avevano suscitato, come ovvio, non poco sconcerto: “È la volontà del Signore che mi vuole a Serravalle”, aveva detto e scritto don Tacchino, “E io rispondo anche a me stesso: Mi vuole là a purgare i miei peccati. E così, sia pure con tanto rimpianto, vado solo per ubbidienza”. Parole dure, che avevano condizionato i primi incontri con i suo nuovi parrocchiani!
Don Aldo stringe ancora qualche mano e poi inizia a parlare. Poche parole, e poi conclude con la frase a cui ha pensato a lungo e alla quale non vuole rinunciare: ““Lo so, si dice che sono venuto per obbedienza. Certo, così mi sono espresso, ma questo non significa con obbedienza passiva e rassegnata”.
Con quelle parole don Tacchino pensa di rasserenare un po’ gli animi, ma ottiene l’effetto opposto. Per un interminabile minuto la sala è invasa da un silenzio pesante, poi finalmente qualcuno prende la parola e da quel momento gli interventi si susseguono numerosi. Sono discorsi secchi, quasi tutti con un filo conduttore comune: nel corso degli ultimi anni le associazioni si sono sentite un po’ emarginati dalla vita parrocchiale. Sì, ognuno aveva il proprio ambito d’attività, però mancava il coinvolgimento nelle decisioni di rilievo, il loro parere non contava.
Tuttavia, ascoltando gli interventi, don Tacchino percepisce non solo una grande distanza tra il vecchio parroco e il mondo delle associazioni parrocchiali, ma anche fratture più o meno grandi tra le stesse associazioni. Quel distacco ha creato reciproche diffidenze.
Per un po’ prende appunti, poi la mano si ferma e la sua mente torna ai dubbi e ai pensieri che lo assillano da giorni. Si sente solo, fatica a trovare un rapporto di empatia con i suoi parrocchiani. È consapevole di avere la sua parte di responsabilità, e per lui è una strana e sorprendente novità.
D’improvviso torna il silenzio. Gli interventi sono finiti e don Andrea gli chiede se vuole prendere la parola. No, nessuna conclusione, don Aldo ringrazia tutti gli intervenuti e promette che rifletterà sulle loro parole; ancora alcuni minuti per stringere mani e scambiare brevi frasi di circostanza e poi si avvia verso la canonica.
Come aveva previsto, nessuno lo accompagna, con lui c’è solo don Andrea il quale, senza commenti, si avvia verso la sua camera… “Si è fatto molto tardi, buonanotte don Tacchino”.
Ma il parroco a dormire non ci va, accende la lampada nel suo studio e pensa a quegli otto giorni trascorsi a Serravalle. La riunione che nelle sue speranze doveva risolvere alcuni problemi ha in realtà alimentato nuovi dubbi.
Gli torna alla mente la telefonata scambiata con don Giuseppe Delorenzi, due settimane prima. Si erano conosciuti frequentando la Tipografia diocesana: don Tacchino si recava spesso a Tortona per impaginare il Bollettino parrocchiale, un’altra delle sue “invenzioni” basaluzzesi; don Delorenzi invece frequentava la tipografia per consegnare i suoi articoli destinati al settimanale diocesano “Il Popolo”.
Delorenzi era parroco a Crebini Cazzuli, ma in passato era stato per alcuni anni viceparroco a Serravalle, e don Tacchino gli aveva telefonato per chiedere informazioni e consigli.
“Io ero vice parroco” gli disse don Giuseppe, “ma il parroco non avrei mai potuto farlo…”. E poi se ne uscì con una di quelle sue espressioni provocatorie e divertenti che erano una sua ben nota caratteristica: “Io sono un anarchico, i problemi di quella parrocchia non avrei potuto reggerli. Sono nato e cresciuto in un contesto diverso!”.
Don Aldo, al contrario, si considera una persona ordinata e un sacerdote tradizionalista, ha fama di possedere un carattere autorevole e anche un poco autoritario, ma ora si sente inadatto per quella parrocchia grande e carica di problemi…
Il ricordo della telefonata con don Giuseppe gli fa tornare alla mente un brano letto e trascritto qualche tempo prima; apre il suo quadernetto e lo cerca… Lo trova e gli sfugge un sorriso. Se lo avessero appuntato così i suoi allievi del Doria o del Ciampini si sarebbero presi una bella lavata di capo, non ha trascritto né fonte né autore e ora non riesce a ricordarli, ma il senso è chiaro:
“Il sacerdote è un uomo che nasce in un certo contesto umano; lì apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni. Anche i preti hanno una storia, non sono ‘funghi’ che spuntano improvvisamente. Questo vuol dire che non si può fare il prete credendo che si sia formato in laboratorio!”.
È notte fonda, don Aldo rilegge più volte quella frase… “Gesù, forse è proprio questa la prova a cui mi hai chiamato? Avere il coraggio di dire no perché capisco di non avere le capacità di governare questa situazione… Avere il coraggio di dire no, sfidando l’obbedienza al mio Vescovo, per essere invece obbediente all’indole che Tu, Signore, mi hai donato? Accettare questo incarico sarebbe un’avventura… Per me, ma soprattutto per questi uomini e queste donne che hanno bisogno di un pastore capace di risolvere i loro problemi. Mi chiedi dunque di essere coraggioso con la mia coscienza, di essere forte, pur sapendo che gli altri prenderanno la mia decisione come un atto di debolezza, di vigliaccheria?”.
Si prepara un caffè. Ha deciso. Inizia a scrivere la lettera di rinuncia indirizzata a Monsignor Bongianino, una versione dietro l’altra, molti fogli finiscono nel cestino: “Eccomi qui, con la penna in mano e incapace di fissare sulla carta quel tumulto di cose che vorrebbero uscire dal cuore. È più facile ordinare i pensieri che tradurre in parole i sentimenti”.
Alla fine, decide per un testo breve: chiede di essere sollevato dall’incarico e di essere collocato in pensione. “La vivrò come una punizione, ma forse è giusto così”. Poi pensa ancora una volta alla sua piccola parrocchia e aggiunge qualche riga: oppure, in subordine, tornare a essere il parroco di Basaluzzo.
Dorme qualche ora, ma prima delle sette è già in piedi. Esce dalla canonica e sale sulla sua fida Ford Fiesta. Ha deciso di portare subito la lettera in curia. Poco dopo le otto è già davanti al Duomo di Tortona, pochi passi e consegna la busta sigillata alla portineria del Vescovado. Sono trascorsi solo nove giorni dal suo ingresso nella parrocchia di Serravalle.
Gli viene voglia di fare una camminata nel freddo di quella mattina di febbraio. Ha sempre amato le passeggiate, le escursioni e la montagna, è stato decine di volte sul Monte Tobbio, e anche sull’Antola, monte scoperto quando era parroco a Dova, e poi su quasi tutte le cime dell’Appennino. Camminare fa bene al suo spirito. Si arrampica deciso lungo la breve ma ripida salita che conduce al Castello e cammina per più di due ore tra quei viali gelidi. Sono passate le undici quando entra nel bar del Castello e beve uno dietro l’altro due caffè bollenti. Cosa fare? Dove andare? A Serravalle non vuole tornare e allora decide per Castelletto d’Orba, il paese dove è nato.
È di nuovo in piazza Duomo, sale sulla Fiesta e si avvia. Una sosta per il rifornimento e pensa alla strada da percorrere… Non c’è verso, sembra uno scherzo del destino: sia che prenda per Pozzolo, sia che decida di allungare un po’ verso Bosco Marenco e Fresonara, deve per forza transitare da Basaluzzo!
Transita ma non si ferma. Poco dopo l’una suona un campanello di una casa di Castelletto. Sua sorella, quando lo vede sulla porta, intirizzito e con gli occhi lucidi, lo fa entrare senza dire una parola.
“Eh….”, si lascia sfuggire Monsignor Libero Meriggi. Il Vescovo, rigirandosi tra le mani la lettera di don Aldo, guarda il suo Vicario cercando di nascondere il suo episcopale nervosismo. Ha perso il conto, ma quel “eh” è perlomeno il settimo o l’ottavo che Meriggi borbotta a mezza voce: Bongianino ormai conosce bene il suo fido collaboratore, quell’intercalare sommesso indica dubbi e contrarietà, almeno in sua presenza.
“Va bene Libero, ho capito, ho capito. Però senti un po’… Non sei stato proprio tu, un paio di mesi orsono, a mostrarmi tutto orgoglioso quella statistica sul clero della Diocesi?”. Il Vescovo cerca e trova a colpo sicuro una cartellina grigia: “Eccola qua!… Allora… abbiamo 330 parrocchie, e alcune belle grandi, e solo 220 sacerdoti, con un’età media di 65 anni per giunta! E cosa dovevo fare? Don Tacchino mi pareva la persona giusta, dinamico e grande lavoratore, e poi molte scelte non ne avevo, ti pare?
Comunque, errore mio, e non si può perseverare. Solleviamolo dall’incarico, ma in pensione no, sarebbe una punizione che don Aldo non merita! E poi, torniamo alle nostre statistiche: un sacerdote in meno… non è il caso, non è il caso”.
Con le mani stringe con forza i braccioli della poltrona sulla quale è seduto. “Lo rimandiamo a Basaluzzo. Così dal paese la finiscono di protestare… Il sindaco mi scrive che prova “vivo rincrescimento”, sui giornali i parrocchiani esprimono tristezza e rammarico. Ora riavranno il loro parroco! Però mi raccomando: niente cerimonia, e nessuno della curia deve essere presente alla prima Messa di don Tacchino! Non deve sembrare un nuovo insediamento e don Aldo deve capire in che difficoltà mi ha messo.
Per Serravalle invece ho già in mente un nome e voglio risolvere prima delle Cresime… Qualcun’altro protesterà, ma cosa possiamo fare? Libero, prepara subito il dispositivo per don Tacchino, d’accordo?”.
“Eh…” dice Monsignor Meriggi.
“Eh!” replica sua Eccellenza Bongianino, e congeda il suo vicario.
VENT’ANNI DOPO (giugno 2014)
La giornata è stata molto calda, tipica di inizio giugno, ma finalmente si è alzata una piacevole brezza a portare un po’ di frescura. La perpetua ha preparato per don Aldo una cena leggera, come hanno prescritto i medici.
Ora l’anziano parroco è nello studio che occupa da più di quarant’anni e sta esaminando le sue carte. Da quando gli hanno diagnosticato la sua malattia ha deciso di far ordine nell’archivio personale per non farsi trovare impreparato. Se si atterrà alla terapia assegnata pericoli imminenti non ce ne sono, dice l’oncologo, ma don Aldo ha deciso che è l’occasione giusta per rimettere mano ai molti faldoni accumulati nel corso dei decenni. Da anni ha abbandonato la penna in favore del computer, e ora vuole catalogare il suo materiale in un semplice e comodo database.
Due anni prima ha festeggiato i suoi quarant’anni come parroco di Basaluzzo, i parrocchiani hanno organizzato una grande festa per il loro Monsignore, il nuovo titolo di cui adesso si fregia, e sono arrivati diversi giornalisti a intervistarlo perché è il più anziano parroco in attività di tutta la diocesi e uno dei più anziani d’Italia. Tra le mani ha una pagina di “Panorama di Novi” tutta dedicata a una sua intervista rilasciata in quell’occasione. Naturalmente, come si aspettava, non è mancata una domanda a proposito della sua brevissima esperienza a Serravalle…
Gli capita spesso di ripensare a Serravalle. I dubbi sulla sua scelta non lo hanno mai abbandonato e ha continuato a seguito le vicende di quella parrocchia. Don Emilio Bovone ha fatto bene il suo lavoro pastorale. Probabilmente era lui l’uomo giusto per risolvere una situazione molto intricata!
Davanti agli occhi ha anche il taccuino degli appunti che usava in quei giorni, ritrovato dopo molto cercare in un polveroso scatolone. Rilegge ancora una volta quelle parole diventate così importanti nella sua scelta. E sfido che erano state decisive… In quella memorabile serata del 13 marzo 2013 si era ricordato chi le aveva pronunciate! Un vescovo argentino di origini italiane che di strada ne aveva fatta un bel po’! Sua nonna abitava a Teo, due ore di cammino da Dova, e chissà quante volte era stata in pellegrinaggio a San Fermo. La sua via della Provvidenza probabilmente era passata proprio di lì per riportarlo alla sua Parrocchia.
“Basaluzzo, casa mia. L’ho capito quando ero stato nominato parroco di Serravalle”. Lo aveva detto a quel giornalista e ora lo sta rileggendo quando sente suonare il campanello. Sta aspettando una coppia di giovani sposi per organizzare il battesimo del loro figliolo appena nato, ma è presto… “Che strano, non dovevano arrivare alle nove? Manca ancora più di mezz’ora… Eh, don Aldo, la memoria se ne sta andando in pensione al tuo posto!”.
Apre la porta e sull’uscio c’è uno sconosciuto. “Padre, no lavoro, un piccolo aiuto…” Uno straniero, sono ormai numerosi anche nei piccoli paesi. Don Aldo allunga cinque euro ma lo sconosciuto congiunge le mani: “Oggi molto caldo, tanto cammino per cercare lavoro. Se può dare un pezzo di pane e un poco acqua…”.
Don Aldo si volta e lo fa entrare, ma sente subito sbattere la porta e un braccio intorno al collo. Tutto si svolge in qualche istante. Sulla faccia un dolore sordo, il sapore del sangue in bocca, Il pavimento incollato agli occhi, le tempie pulsare impazzite, colpi ai fianchi, alla testa, ovunque.
“Dammi i soldi, prete” gli urla quello nelle orecchie “dimmi dove cazzo tieni soldi, altrimenti ti ammazzo!” Don Aldo non riesce più a respirare. Lo sconosciuto lo afferra per la tonaca, lo issa di peso su di una sedia e lo lega con il nastro adesivo. “In nome di Dio, ferma…” La frase si spegne dentro un ceffone. L’uomo gli sbraita a pochi centimetri dal viso, sputazzando saliva, ma il sacerdote non ode più nulla, mentre la coscienza piomba nel nulla…
Ci piacerebbe ora raccontarvi una storia diversa, dove ad esempio Don Aldo, ripresosi, atterra il delinquente, improvvisamente scalciandolo all’inguine oppure lo convince ad abbandonare il male per abbracciare il bene. Vorremmo… ma non possiamo. Questo racconto è basato su fatti reali, non è un film americano. Don Aldo si salva sì, ma grazie all’arrivo dei due parrocchiani che intendono battezzare il proprio figlio. Lo trovano legato, pesto e sanguinante, chiamano un’ambulanza che lo porta a sirene spiegate in ospedale a Novi: trauma cranico, ecchimosi, contusioni varie, alcune fratture costali.
Il primario della terapia subintensiva dell’Ospedale di Novi Ligure è preoccupato. Don Aldo ha ottantotto anni, una grave patologia che lo accompagna ormai da diverso tempo e contusioni di una certa importanza: per precauzione decide per il ricovero in terapia intensiva. Ma la tempra del vecchio parroco è ancora forte e dopo un paio di giorni può essere trasferito in reparto. Così, dopo una settimana, quando i medici si avvicinano al suo letto per la visita quotidiana don Tacchino non lascia loro il tempo neppure per i convenevoli: “Dottore, io non so come ringraziare lei e i suoi collaboratori per come mi avete seguito! Però ora sto molto meglio, ho tantissimi impegni ad aspettarmi e ho bisogno di uscire al più presto! Il 14 giugno a Sant’Antonio, in una frazione di Basaluzzo è festa patronale, e non posso mancare…”.
Il primario, con un sorriso, cerca di convincerlo: “Ancora qualche giorno di ricovero è necessario e utile, anche per completare gli esami, stabilire un percorso di riabilitazione e ridefinire la terapia per la sua malattia, don Aldo!”. Ma quando si accorge di trovarsi di fronte a un paziente cocciuto e irremovibile, i suoi toni si fanno più accesi senza ottenere però nessun risultato se non una lunga ed estenuante discussione inutilmente spalleggiata dai suoi collaboratori.
Alla fine, la resa dei medici avviene sulla base di un accordo abbastanza semplice: don Aldo esce firmando una lunga serie di dichiarazioni di autoresponsabilità e “in cambio” si impegna a presentarsi con regolarità e molto di frequente al nosocomio per visite, controlli ed esami. E così, seduto su una carrozzella, il parroco può partecipare il 14 giugno alla Messa per il Santo patrono.
Don Aldo segue i consigli medici perché disciplinatamente si sottopone a visite ed esami; torna anche in ospedale per qualche giorno, ma non si risparmia. Per il Natale 2014, obiettivo raggiunto: inaugura il grande Presepe meccanico capace di rivaleggiare per bellezza con gli altri allestimenti famosi, come Arquata o Capriata d’Orba.
Anche se don Aldo è sempre stato un sacerdote vigoroso ed energico nel fisico come nel carattere, ora però i postumi dell’aggressione, il progredire della malattia e l’avanzare dell’età lo stanno inesorabilmente debilitando. Nel fisico, non nel carattere. L’anziano Parroco decide di procedere per obiettivi. Uno, molto importante, è davvero dietro l’angolo. A maggio 2015 ricorre il suo sessantacinquesimo di sacerdozio e don Tacchino lo festeggia insieme a tutto il paese. “Obiettivo raggiunto!”, dice sorridendo a un gruppo di parrocchiani Don Aldo, che ora si aiuta con un bastone: “Adesso bisogna dedicarci al prossimo progetto, il restauro dell’organo della parrocchia muto da decenni”.
“Don Tacchino, lei si dimentica troppo facilmente il riposo che le abbiamo prescritto!”, gli dice il suo medico ogni volta che lo incontra. “Io inattivo non so stare”, è la risposta scontata del parroco, “E poi lei sa quanto amo la musica e non sopporto di vedere uno strumento così bello abbandonato e silenzioso!”
E così si dedica al progetto del restauro senza risparmio, anche perché la nuova inaugurazione dello strumento coincide con un anniversario particolare: il 12 marzo 2016 Monsignor Tacchino compie novanta anni e il paese, ancora una volta, si stringe intorno al suo parroco.
Obiettivo raggiunto! “E ora bisogna partire con il prossimo progetto, per festeggiare degnamente il Natale” dice in quell’occasione l’anziano parroco.
I medici però ora sono davvero preoccupati. Don Aldo appare in splendida forma il giorno del suo compleanno, tuttavia le sue condizioni peggiorano rapidamente. Ma niente, non sente ragione! “Per le feste di Natale è in programma la Petite messe solennelle di Gioacchino Rossini, un concerto di grande importanza che darà grande risalto al paese. Posso fare anche questo sforzo, con l’aiuto di tutti…”. Don Aldo non si risparmia, non vuole risparmiarsi, anche se sente le forze venire meno e la salute vacillare. L’autunno passa tra molte visite, un po’ di letto e un po’ di riposo, ma anche molta attività in Parrocchia. Con fatica, con il dolore sempre pronto a presentarsi.
Il 17 novembre è la Festa del Ringraziamento e don Aldo, debole, claudicate ma sorridente, è presente tra i suoi fedeli e tra i suoi ragazzi. Ma è la sua ultima presenza pubblica. Poi la situazione precipita e in meno di un mese arriva il suo momento. II 15 dicembre spira, mancano pochi giorni al Natale e al grande concerto a cui teneva moltissimo. Ora i parrocchiani s’interrogano sul da farsi. C’è chi propone di rinviare il concerto, in segno di lutto. Ma alla fine qualcuno lancia un’altra idea: “Don Aldo non avrebbe sicuramente voluto il rinvio. Se vogliamo rendergli onore dobbiamo confermare il concerto… Anzi! Dobbiamo farlo diventare un avvenimento di grande importanza, dobbiamo realizzarlo in un momento particolare, fare in modo che tutti ne parlino e decidano di partecipare per onorare don Aldo!”.
*****
Don Stefano ha passato tutta la giornata a pensarci, ma ora ha deciso. Chiede al suo vice di celebrare lui la Messa di Mezzanotte e poco dopo le sette e mezzo si avvia verso la piazza della piccola stazione di Casella dove ha parcheggiato la sua vettura.
Sale e imposta il navigatore, ma così, per abitudine, perché non ne ha certo bisogno per quel percorso. Lo ha fatto pochi giorni prima, per partecipare al funerale di don Aldo, e poi Basaluzzo è il paese dove ha vissuto, dove è nata la sua vocazione, e Sant’Andrea è la parrocchia dove proprio trent’anni prima ha ricevuto il diaconato.
Poco dopo Ronco Scrivia incontra la nebbia. Non è fitta, ma sufficiente a farlo rallentare. Quando arriva a Basaluzzo mancano pochi minuti alle ventuno, i parcheggi del piccolo paese sono tutti pieni. Finalmente riesce a fermarsi però è piuttosto lontano dalla Parrocchia. Si avvia in fretta, per strada c’è altra gente, moltissimi provengono da Novi, Ovada e da altri paesi vicini. L’idea escogitata dai parrocchiani si è rivelata vincente: il concerto si tiene in Parrocchia prima della Messa natalizia di mezzanotte, creando una atmosfera suggestiva e commovente.
Don Stefano pensa a Don Aldo, così importante nella sua vita di sacerdote: lo ha preso per mano e lo ha accompagnato e sostenuto sino al momento della prima Messa. Per questo non ha potuto mancare a questa serata, è l’ultimo saluto al suo padre spirituale, l’estremo omaggio a una delle persone più importanti della sua vita.
Quando varca il portale di Sant’Andrea il pianista, l’organista, il coro e i cantanti hanno già preso posto, molti fissano Luca Tacchino, il nipote di don Aldo, con le mani pronte sulla tastiera. La chiesa si avvolge rapidamente in un silenzio impressionante e struggente.
Non c’è un posto libero, molte persone sono in piedi. Ecco, partono le note del Kyrie… Don Stefano Calissano si appoggia alla lesena della parete di fondo e da lì, con gli occhi lucidi, segue tutto il concerto e poi la Messa.
Non può saperlo, ma il destino, la provvidenza, il caso, fate un po’ voi, ha fatto sì che la sua schiena poggiasse, per tutto quel tempo, nel punto esatto dove, due anni dopo, i cittadini di Basaluzzo avrebbero collocato una lapide in onore e in ricordo di Monsignor Aldo Tacchino.
Quello che avete letto è un racconto di fantasia, ma è stato scritto utilizzando accuratamente documentazione d’archivio e a stampa. Molte delle frasi e delle idee riportate come discorsi diretti tra virgolette, ma anche altri brani sparsi nel testo, sono state effettivamente scritte da don Tacchino o pronunciate nel corso di interviste. La biografia di DON ALDO TACCHINO la potete leggere a questo link.
Un ringraziamento a don Stefano Calissano, Luciano Camera e don Graziano Pepe per averci fornito preziose informazioni e materiale documentario.