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Continuassimo felicemente il nostro viaggio

La famiglia Manzoni in Valle Scrivia

Nel 1823 l’inaugurazione della Strada Regia fra Torino e Genova rivoluziona il traffico stradale attraverso l’Appennino, sostituendo il più agevole transito attraverso il passo dei Giovi a quello, rimasto in auge per secoli, della Bocchetta[1]. Da questo momento il percorso maggiormente battuto non è più quello che va da Novi a Gavi, Voltaggio e Bocchetta, ma quello moderno, attraverso Serravalle, Arquata, Ronco e i Giovi. Il percorso più agevole (ma non troppo, come vedremo fra poco) e lo sviluppo economico della regione incrementano i flussi di commercianti, turisti, messaggeri regi, e bisognerà, prima o poi, provare a tracciare una storia dei personaggi, più o meno celebri, che hanno attraversato le nostre contrade.

Fra questa schiera di personaggi, illustri o sconosciuti, spicca il nome di Alessandro Manzoni. Varie sono le motivazioni che, negli anni, lo portano a valicare l’Appennino: i bagni di mare di Genova e Livorno, giovevoli soprattutto alla madre e alla consorte, la visita ad amici, cerimonie familiari, visite a Firenze per affinare la lingua del suo romanzo (la famosa risciacquatura dei panni in Arno)[2]. Per andare a Genova in carrozza il percorso obbligato è quello della Strada Regia. Per Livorno e Firenze, oltre alla Strada Regia, c’è l’alternativa del Passo della Cisa. In ogni caso a Manzoni le occasioni non mancarono per attraversare le nostre contrade, e il passaggio non gli fu indifferente, come si può puntualmente riscontrare nel suo epistolario[3].

Manzoni con la madre Giulia Beccaria e la moglie Enrichetta Blondel

Siamo nel 1827, la moglie, Enrichetta Blondel, ha il fastidio d’una serpigine intorno agli occhi e i medici consigliano bagni di mare. Si parte perciò, destinazione Genova e poi Livorno, in due carrozze. Fino a Pavia tutto bene, poi però il tempo si guasta velocemente, con l’arrivo di tuoni e fulmini. Si procede nonostante l’esitazione delle signore (la mamma Giulia e la moglie Enrichetta) ma giunti dove la strada sovrasta a picco la Scrivia, succede qualcosa …. ma lasciamo parlare direttamente Manzoni.

…  la carrozza dov’era tutta la nostra picciola nidiata, ribaltò, addosso a un rialto, per grazia del Cielo, perchè dietro a quello era la Scrivia in fondo a un dirupo. E per la stessa grazia del Cielo, nessuno si fece male, e tutto si risolvette in “puia” come dal parlar della buona gente accorsa dovemmo intendere che colà si chiama quella brutta passione o sentimento che tu lo voglia dire. La sera, anzi qualche po’ di tempo prima, fummo in Genova nè più nè meno; e ci siamo tuttavia.

Manzoni ne scrive, all’amico Tommaso Grossi[4], in una lettera datata Genova 25 luglio 1827, in un tono sommesso, quasi a voler minimizzare l’accaduto. Che però non deve essere stato proprio trascurabile, se leggiamo quanto scrive, qualche giorno prima, Giulia Beccaria all’Abate Tosi[5]:

Partimmo alle 5 [da Casteggio] ma sempre con acqua e arrivati a Tortona temporale. […] Doppo Arquato in una discesa sempre lungo precipizio nella Scrivia, piovendo assai, si ruppe le giongole[6] dei cavalli del legno dei nostri ragazzi, io sento dei gridi, Giulietta guarda e vede il legno rovesciato del tutto. Ella s’immagini il nostro spavento. L’orrore dico del momento, quattro passi innanzi, erano persi tutti ma Iddio buono, la cara B. V., gli angioli, i santi che avevamo invocati fecero si che il legno rovesciò precisamente in una specie di appertura piena di fango nel precipizio. Si ristette adunque, il cavallo davanti, il postiglione, Giuseppino, Enrico tutti sotto[7]. Giuseppino si divincolò, prese Enrico e lo gettò su una colinetta vicina […] sortirono tutti gli altri dalla carrozza, sani illesi da ogni male fuorché il più gran spavento. Ella veda se proprio Iddio buono non ci ha ajutati: si ebbe fatica a rimettere in piedi la carozza illesa affatto affatto. Fu una vera grazia, una cara carità del Signore, della sua S.ta Madre, dei nostri intercessori. Lo ripeto, due passi avanti e poi … Oh, la ringrazia per noi il Signore![8]

I figli di Manzoni. La prima da sinistra in alto è Giulia; il secondo da sinistra in basso è Enrico

Giulia scrive in un italiano con forti accenti dialettali, ma il racconto ha una sua drammaticità, con una sequenza quasi cinematografica. E sembra proprio che per condurre illesi tutti i membri della famiglia sia stato necessario l’aiuto congiunto di tutte le potenze celesti. Una lettera più tarda della moglie Enrichetta a Fauriel[9] aggiunge un ulteriore dettaglio che conferma come il disastro sia stato evitato per un soffio:

… Enrico, un domestico e il postiglione stavano precipitando nel precipizio, ma un albero li ha trattenuti.

Alla fine, comunque tutto bene e, come scrive ancora Giulia

Continuassimo felicemente il nostro viaggio e alle 7 entrassimo in Genova.

Nessuno cita la località esatta, ma pare probabile che l’incidente sia avvenuto nel tratto dove la strada regia costeggiava la Scrivia che correva molti metri più in basso, forse fra Rigoroso e Pietrabissara. Interessante è invece l’aplomb di Manzoni che, pur nel dramma sfiorato, non trascura di riportare lo strano vocabolo degli abitanti locali, la puia che gli suona tanto diversa dal milanese paura, mentre è più simile al Serravallese poa[10].

La Scrivia presso Pietrabissara. La strada regia correva sulla sinistra, dove ora si vede un muro di contenimento. E’ in un punto simile a questo che l’incidente si è verificato

Passa qualche anno, e Manzoni ritorna a parlare della nostra valle, questa volta per motivi meno drammatici. È il settembre del 1852 e la nipote Alessandra (figlia di Giulia Manzoni e di Massimo D’Azeglio) si sposa con il marchese Matteo Ricci. Le nozze si celebrano a Cornigliano (oggi fa un po’ ridere, ma all’epoca era una ridente località balneare) e Manzoni riprende la strada dei Giovi. Il 14 settembre, da Cornigliano, scrive alla (seconda) moglie Teresa Borri:

Come t’ho scritto ieri, il viaggio è stato felicissimo: S’è passata la notte a Alessandria, e me ne sono chiamato contentissimo, perché altrimenti s’arrischiava di passare al buio davanti a delle cose, non solo belle, ma stupende, che non m’aspettavo punto di vedere, e che tu non t’aspetti sicuramente di sentirti raccontare. Voglio parlare de’ lavori in parte principiati, in parte finiti per il tronco della strada di ferro, da Arquata a Genova. Ponti giganteschi, viadotti lunghissimi e altissimi, per una serie di grandi arcate, e di pilastri che paiono massi di montagne e precipizi: una galleria di 795 metri, aperta e finita: due altre che passano sotto due be’ pezzi di monti e sono riunite da un ponte sulla Scrivia.

In alcuni luoghi s’è dovuta trasportare la strada postale per dar luogo all’altra, la quale poi le passa ora sotto, ora di sopra, e sempre con archi grandiosi, giacché la maggior parte di questa magnifica strada è o sotto terra o in aria: quella che corre al livello del terreno è il minimo.

A ognuno de’ pezzi fatti, la prima impressione è quella del grandioso, del magnifico, dell’ardito, la seconda, dell’elegante; parlo di quell’eleganza che resulta dall’armonia e dal finito, anche ne’ lavori dove pare che non si cerchi un tal merito. Insomma io mi strabilio di non aver mai sentito parlare di lavori di quest’importanza, giacché, per quanto noi siamo romiti, la loro fama avrebbe dovuto venir fino a noi.

La nuova ferrovia incrocia la strada regia nei pressi di Pietrabissara. La carrozza disegnata da Bossoli sulla sinistra è simile a quella che avrà usato Manzoni per i suoi viaggi

È straordinaria l’efficacia della descrizione: senza usare termini magniloquenti e lavorando solo sulla precisione del linguaggio e sull’organizzazione della frase, Manzoni riesce a rendere lo stupore per l’opera grandiosa. E questo non in un’opera destinata alla pubblicazione, ma in una privatissima lettera alla moglie. Lo stupore per la ferrovia in costruzione è ampiamente giustificato: è sufficiente osservarla ancora oggi nei tratti più arditi, oppure sfogliare le magnifiche litografie del Bossoli, date alle stampe l’anno successivo[11]. Manzoni si stupisce anche di non averne mai sentito parlare prima, e qui il motivo è più sottile. La linea ferroviaria apriva un percorso verso il centro Europa che entrava in concorrenza con gli interessi austriaci, che privilegiavano la via di Venezia. Erano anni di rapporti molto tesi fra Regno di Sardegna e Austria; perciò, si preferì procedere senza dare troppa pubblicità[12].


[1] Riccardo Lera, Storia delle vie di comunicazione, Chieketé, https://www.chiekete.eu/2020/08/22/cartoline-storiche/

[2] Natalia Ginzburg, La famiglia Manzoni, Torino, Einaudi, 1983

[3] Alessandro Manzoni, Tutte le lettere, a cura di Cesare Arieti, Milano, Adelphi, 1986

[4] Scrittore e poeta romantico (1790 – 1853) fu intimo amico di Manzoni, che lo citò anche nei Promessi Sposi

[5] Luigi Tosi (1763 – 1845), abate e poi vescovo di Pavia, fu per anni padre spirituale della famiglia Manzoni

[6] Termine dialettale milanese che indica i finimenti di un cavallo da tiro

[7] Giuseppino è un domestico, Enrico uno dei figli di Manzoni

[8] Giulia Beccaria, “Col core sulla penna”: lettere 1791-1841, Milano, Centro nazionale di studi manzoniani, 2001

[9] Claude Fauriel (1772 – 1844) linguista e letterato francese, fu amico di Giulia e, successivamente, amico intimo di Manzoni

[10] Roberto Allegri, Vocabolario e grammatica della lingua serravallese, Novi Ligure, Joker

[11] Views of the railway between Turin and Genoa […] From drawings by C. Bossoli, London, 1853; si veda anche:

Roberto Livraghi e Giorgio Annone, Una rotaia lunga 170 anni, catalogo della mostra, Alessandria, 2022

Roberto Almagioni, Le stampe di Carlo Bossoli della ferrovia Torino – Genova, Chieketé, 2022 (https://www.chiekete.eu/2022/05/28/stampe-carlobossoli/)

Roberto Almagioni, A Serravalle arriva il treno!, Chieketé, 2021 (https://www.chiekete.eu/2021/10/24/a-serravalle-arriva-il-treno/)

Sergio Pedemonte, Ponte di Priarolo. Cultura materiale nella costruzione della ferrovia Genova – Torino, Chieketé, 2022 (https://www.chiekete.eu/2022/12/11/ponte-di-prarolo/)

[12] Cesare Arieti, nota alla lettera, in Alessandro Manzoni, Tutte le lettere

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