Oltre sessant’anni fa, un incidente. Come nasce un Ex-voto
Sono ormai passati più di sessant’anni da quel 24 Aprile 1961 quando, appena tornato dalla Germania, il tempo di una veloce puntata in famiglia per depositare il bagaglio senza neppure fermarmi a cenare, mi incontravo con gli amici di allora nel giardino del caffè della stazione (oggi sostituito dal palazzo EUR), con un programma ben definito: una serata di divertimento in un cinema di Novi.
Il mezzo di trasporto che allora noi giovani utilizzavamo con maggior frequenza era la moto (di modesta cilindrata) ma soprattutto la “Vespa”, nelle varie versioni che allora erano nel loro pieno boom di espansione.
È stato presto buio quella sera. In una decina, con i nostri mezzi rombanti, siamo partiti. Io, non possedendo né moto né Vespa, ero il passeggero dell’amico Gian Piero Cabella “Roccia”: purtroppo né io né Gian Piero saremmo mai arrivati alla sala cinematografica meta della nostra serata, se non dopo qualche mese.
All’altezza dello stabilimento VOSA, erano in corso lavori stradali per la costruzione della circonvallazione che avrebbe dirottato il traffico dell’abitato di Novi, pertanto la sede stradale risultava alquanto ristretta per la presenza di cumuli di materiale che ne occupavano i margini, interessando altresì parte della banchina. Nessun segnale luminoso ne segnalava il pericolo, né tantomeno risultavano installati pali di pubblica illuminazione.
Improvvisamente da parte mia, ancora lo ricordo, un urlo lacerante “Attento!” e poi un volo a sovrastare il mio amico “vespista” con un atterraggio sull’asfalto tutt’altro che morbido.
Sicuramente ho perso i sensi, ma ancora come in un sogno, confuso, ricordo voci concitate di persone che cercavano di soccorrermi (ho poi saputo che si trattava degli amici scesi dagli altri mezzi), poi ricordo di essere stato caricato su una macchina di passaggio (fermata sempre dagli stessi amici) e di aver ripreso conoscenza su una barella in ospedale dove mi stavano letteralmente tagliando di dosso gli abiti impregnati di sangue.
Era successo che tre ragazzi stavano percorrendo a piedi la strada verso Novi, affiancati e volgendoci le spalle, occupando praticamente quasi tutta la mezzeria stradale ristretta per i lavori in corso sulla quale noi stavamo sopraggiungendo sulla nostra vespa. Da qui il mio urlo lanciato non appena li ho scorti, ancora prima di Gian Piero.
Per farla breve in quattro siamo finiti all’ospedale oltre l’amico Gian Piero anche uno dei pedoni, che nell’impatto ha avuto rotta una gamba e un altro che dopo alcune medicazioni è stato dimesso il giorno successivo.
Mi hanno ricucito in alcune parti del corpo, compresa una palpebra, avevo strisciato sull’asfalto con il fianco sinistro, gli abiti si erano aperti favorendo la formazione di profonde abrasioni, che fortunatamente si sono poi rimarginate senza lasciare serie conseguenze. Ho comunque fatto 13 giorni di ospedale; i primi giorni dopo le dimissioni avevo paura di camminare lungo la strada, per attraversare dovevo essere preso per mano e accompagnato come si fa con i bambini!
Lascio immaginare lo spavento che si sono presi i miei genitori (e quelli di Gian Piero); mio padre quando è tornato a casa dall’ospedale, fra i singhiozzi con molta fatica è riuscito a spiegare la dinamica dell’incidente a mia madre che visti gli abiti insanguinati ha immediatamente pensato al peggio prendendosi uno spavento di cui ha portato le conseguenze per molto tempo.
Ben diverse sarebbero state per me le conseguenze del “volo” e successivo atterraggio se nell’impatto sull’asfalto se “qualcuno” non avesse fatto sì che la mano sinistra con l’avambraccio si inframettessero a protezione del capo, sicuramente salvandomi da conseguenze ben più gravi!
Ho sempre voluto credere che dall’alto, da Montespineto, la mano e l’avambraccio, non certamente per mia capacità, siano stati ben guidati assorbendo l’impatto maggiore sull’asfalto abbiano fatto sì che a distanza di più di sessant’anni potessi spiegare perché da allora, al Santuario fra centinaia di altri quadretti, si possa ammirare anche un ex voto di ringraziamento, forse un po’ naif commissionato per l’occasione.
Non fummo né io nè Gian Piero, in verità, a commissionare il quadretto. Fu la mamma di “Roccia” che volle dedicarcelo di sua iniziativa. Andò da Attilio Tartara, un meccanico verniciatore che si dilettava di pittura votiva, gli descrisse l’accaduto e ne usci il quadro. CI comunicò la sua decisione solo quando l’ex voto era già dipinto, ma da allora resta per me un prezioso ricordo.
Grazie per l’interessabte reminiscenza storica e foto di un’era ormai tanto lontana.