Antonella Bottazzi. Una cantautrice da Rocchetta (e Serravalle) a Sanremo
Puntata 2
Perché mai uno, da Serravalle, doveva sfollare a Rocchetta? Anche se Serravalle non fu mai bombardata e il grande maître à penser serravallese, Tonino Canuto, suggeriva che ciò fosse dovuto al fatto che il nostro sfortunato borgo facesse schifo anche agli inglesi mentre la sorvolavano dall’alto, conosco storie di persone che, residenti vicino alla ferrovia, si trasferirono che so… verso Montespineto o Stazzano, ma non a Rocchetta. Perché fino là?
Maria Rosa Mosso è, come al solito, inesauribile; un suo messaggio su WhatsApp fornisce una spiegazione possibile: “I Bottazzi sono numerosi a Pozzolo Formigaro; al tempo, si sposò a Rocchetta la bella maestrina Olga Bottazzi, che un giorno passeggiando per una strada sterrata, in qualche paesino sperduto delle nostre valli, dove l’avevano inviata appena diciottenne a svolgere la sua mansione con almeno trenta bambini, vide ‘lo sposo’ … a cavallo… e si innamorò perdutamente! (racconto sentito direttamente da Olga). Quindi potrebbe essere che il nostro Ettore Igino sia finito a Rocchetta sfollato per conoscenza o parentela con il padre della maestra“. Ah, Maria Rosa, che segugio! Avessi avuto lei al mio fianco quando mi cimentai in ricerche archivistiche sull’Infantile di Alessandria, invece dello svogliatissimo Botta (scusate la querelle, ma se non ci punzecchiamo un po’ a vicenda, un paio di volte al giorno, non stiamo bene)!
Ma torniamo ai possibili discendenti di Gambarotta presenti a Serravalle. Ho davanti agli occhi la biografia, presente su Chieketè, di Giancarlo Bignardi. Vi si legge testualmente: “Giancarlo Bignardi, scenografo (Genova, 14 maggio 1938 – Parma, 8 febbraio 1978). I suoi genitori sono Maria Vittoria Gambarotta (Tuin) e Giuliano Bignardi“. Come ho fatto a non pensarci subito? Quell’articolo l’avevo sollecitato proprio io a Michela Monteverde, nipote di Giancarlo e figlia di Gabriella Bignardi, la ben nota titolare per anni di una profumeria in paese. Gabriella e Giancarlo sono dunque figli di una Gambarotta, e nipoti di Giovan Battista, l’industriale. La domanda da porsi è la seguente: Maria Vittoria (mamma di Gabriella e Giancarlo) e Maria Teresa, madre dell’Antonella, sono sorelle? Entrambe figlie del grande Giovan Battista Gambarotta? E dunque, Antonella Bottazzi, cantautrice, è cugina prima di Giancarlo Bignardi? Un gene artistico gira in quella famiglia?
La faccenda si fa estremamente interessante. Con Michela, in gioventù – insieme al Botta – ho recitato Questi fantasmi, di Eduardo Defilippo nel teatro dei Luigini. Certo, allora Michela era praticamente una bambina e accostare la mia attività teatrale a quella di Giancarlo è per lo meno irrispettoso, giacché quel grande figlio di Serravalle è stato un affermato scenografo e costumista noto per i teatri di mezza Italia, collaboratore di artisti del calibro di Emanuele Luzzati e Carmelo Bene (vedi articolo di Bibi Raviolo su Chieketè, Quanti denti ha il pescecane?). Sia quel che sia, devo telefonare a Michela e così faccio. Tuttavia chiamare al telefono al giorno d’oggi è impresa ardua, a meno che il rispondente non abbia almeno sessant’anni. Dopo “settordici” tentativi le mando un messaggio: “Tu con i Gambarotta hai qualcosa da condividere, intendo come avi? Ti posso telefonare?“. Lo so, la gente lavora e non dovrei lamentarmi, ma porca miseria Michela! “Ciao Riccardo, sentiamoci domani pomeriggio, va bene?” Cioè, visto che sono le 15 e 44 minuti, ventiquattro ore dopo!! Le mie ansie ricercatorie mi impongono una reazione immediata: “Antonella Bottazzi è cugina prima con tua mamma?“. Cosa mi ha risposto?
La risposta di Michela Monteverde è, in attesa di poterci sentire al telefono, un laconico ma elettrizzante “sì”. Dunque Maria Rosa Mosso aveva ragione. La sua intuizione trova una salda conferma: Antonella Bottazzi è nipote di Giovan Battista Gambarotta. E dunque è anche cugina prima di Giancarlo Bignardi: un’accoppiata artistica di assoluto livello. Un’altra conferma mi arriva, indiretta, dal solito Alessandro Barbero locale. In un Carosello del 1976 è presente proprio Antonella per la pubblicità di una ditta di liquori e tu guarda un po’, è proprio la Gambarotta. Scoop tardivo ma comunque, mi tocca ammetterlo, significativo.
Nel pomeriggio finalmente ho Michela dall’altra parte della cornetta. Bastano pochi minuti è ho una sensazione magnifica. Quello che sembrava un piccolo ruscelletto è in realtà un grande lago, limpido, bellissimo con tante insenature. Una grande famiglia, ramificata come solo i grandi alberi sanno fare. Dal tronco, da Giovan Battista e sua moglie Maria, quattro figlie, tredici nipoti e storie, tante storie, da raccontare. L’arte pare dominare in quelle famiglie: Betty, sorella di Antonella, danza alla Scala di Milano con Carla Fracci; Miccoli, un’altra sorella dipinge, scrive canzoni e canta; Nicoletta, una cugina, è danzatrice e coreografa a Roma. Ma ci sono anche docenti universitari come Lucia, in filosofia a Genova, Gian Maria, architetto e urbanista, Walter, ingegnere alla corte di Adriano Olivetti, Nanni, chimico. Insomma siamo di fronte al quadro di una famiglia della medio alta borghesia italiana del Novecento, il cui capostipite è, per quanto ci riguarda, Giovan Battista Gambarotta.
Ancora una volta lo storicamente ritardatario Botta mi bofonchia al telefono una notiziola già presente su Chieketé, che, grazie alla numerosità dei suoi collaboratori, coglie impreparati entrambi. Un articolo già pubblicato da tempo da Claudio Ciarlo, non solo ci dà la dimensione dell’importanza di Gambarotta per la nostra storia, ma suggerisce un’altra possibilità circa il luogo di nascita di Antonella. Dice Ciarlo: Nel 1919 Giovanni Battista Gambarotta intraprese un grande intervento in Val Borbera, legato alla ripresa industriale del triangolo Genova – Torino – Milano: il Commissariato Generale dei Combustibili Nazionali, con decreto del 5 e 12 luglio 1918, si era impegnato ad acquistare dall’imprenditore di Serravalle un milione e mezzo di quintali di legna da ardere e quarantamila quintali di carbone vegetale. Per procedere alla fornitura egli si accollò le spese della progettazione e dei lavori per la costruzione del sistema viario dell’alta Val Borbera (Cabella – Cosola di 12 km).
Nel gennaio 1919 il ministro Giovanni Villa annunciò che il Governo avrebbe ceduto il carbon fossile alle industrie al prezzo di cento lire la tonnellata. Il danno per Gambarotta fu doppio: da un lato sfumò la fornitura al Commissariato e dall’altro, poiché gli industriali liquidarono tutti gli stock di legna da ardere, il prezzo ebbe un crollo del cinquanta per cento. Ciò nonostante, Gambarotta tenne fede all’impegno assunto con le amministrazioni comunali e costruì la Cabella – Cosola. E poco più avanti: Dopo la beffa del carbone, egli è costretto a subire anche quella delle traverse per le ferrovie. Infatti, la Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato stipula un contratto con Gambarotta per la fornitura di 150.000 traverse di faggio. Dopo il sopralluogo dei tecnici delle Ferrovie nelle foreste della Val Borbera e assunto il loro parere favorevole, viene impiantata una grande segheria a Serravalle. Ancora una volta lo Stato gli tira il bidone: non solo non acquista le traversine, bensì gli commina una multa di 50.000 lire perché le traversine sono giudicate inadatte. Un boccone “amaro” che potrebbe aver inciso sul futuro della distilleria impiantata a Serravalle, poi rilevata dal siciliano Inga. Al di là di questo, appare evidente come quella famiglia ben conoscesse la Val Borbera. Claudio Ciarlo ci informa che questa ricostruzione è frutto di una segnalazione della signora Gabriella Bignardi (nipote di Giovanni Battista Gambarotta).
Credo proprio che sia venuto per voi e per me il momento di rimandare alla prossima puntata la mia telefonata a Gabriella, sperando che Michela mi invii il suo numero di telefono celermente. Per ora gustatevi la prima canzone incisa da Antonella nel 1966. All’epoca utilizzava il nome d’arte di “Alberta” e non aveva ancora iniziato a scriversi da sé le canzoni. Tuttavia l’autore del testo di Un giorno di più – questo il titolo della canzone – vi dirà qualcosa: Gino Paoli, che scrisse anche il testo del retro del 45 giri, Dimmelo ancora, con lo pseudonimo di Snupi. Se mi seguirete, scoprirete che anche il nome di Paoli ritornerà in questa storia.