Le streghe di Serravalle
PREMESSA
Il tema della stregoneria attraversa la nostra civiltà dai tempi antichi fino ad oggi. In Piemonte sono innumerevoli le storie, leggende, toponimi che fanno riferimento a streghe, lamiae, masche. A Serravalle il termine dialettale più usato è quello di strie, talmente diffuso nella cultura popolare da comparire anche in modo di dire della vita quotidiana: Roberto Allegri, nel suo Dizionario, riporta l’ammonimento rivolto ai bambini kuàn’ k’ u souna l Avermarìa gnì a ka k’ u sorta è strìe (ovvero, non uscite dopo il vespro, perché di notte escono le streghe!) [1]. A questo retroterra folklorico si aggiunge, a cavallo fra Medioevo ed Età Moderna, il fenomeno ben più concreto della “caccia alle streghe”, che in tutta Europa portò all’arresto, alla tortura e al rogo migliaia di donne accusate di praticare la stregoneria e il commercio con il Demonio.
Serravalle (e non poteva essere altrimenti) non è estranea a questi fenomeni. Non esiste un’estesa documentazione coeva, come in altri casi ben noti, relativa ad atti di interrogatori e a sentenze, però ci sono un paio di riferimenti di significato non dubbio che riporteremo poco oltre. Non è molto, anche se l’incrocio con altri casi più completi e seriamente studiati ci permetterebbe di immaginare ciò che è andato perduto.
Il vero scopo di questo breve articolo è però quello di fungere da stimolo per coloro che volessero dare un contributo che permetta di esplorare il fenomeno della stregoneria a Serravalle e dintorni. Tale contributo potrebbe essere di due tipi. Da una parte potrebbe integrare la scarsa documentazione qui pubblicata con altri documenti (relativi ai due casi citati o ad altri che ora ci sfuggono) frutto di pubblicazioni o ricerche d’archivio. Dall’altra potrebbe provare a raccogliere il permanere di quel sottofondo di storie e leggende di cui si parlava in apertura: storie di streghe e magia raccontate dai nostri nonni, favole, leggende, toponimi e, in generale, tutto ciò che la cultura popolare ha tramandato e che oggi rischiamo di perdere. Perché, paradossalmente, l’esplosione su internet della paccottiglia di streghe, vampiri e diavoli non fa altro che obliterare quanto di più profondo la nostra cultura aveva prodotto e salvaguardato.
Ma è venuto il momento di tornare alle nostre storie.
1520-1524, AGNESA, MELINA E MARIA [2]
Nel 1546, Dalmazio Sacco, ex Vicario di Carezzano ed ex castellano di Stazzano, testimonia di fronte al Sindaco Fiscale del Ducato di Milano. Sacco fu castellano del castello di Stazzano[3] dal 1520 al 1524: Nel corso della testimonianza ricorda di aver condannato al rogo tre streghe di Stazzano. La sentenza fu eseguita in una non precisata località fra Stazzano e Serravalle. Forse sul greto della Scrivia, forse altrove. La testimonianza è confermata da tale Giovanni de Romana, di Cassano, che ricorda:
Vidi brusciar altre tre streghe a Stezano, l’una nominata Agnesa, l’altra Merlina, l’altra Maria, per diversi delitti, et fu detto all’hora che Agnesa aveva nell’atto della comunione tolto l’hostia sacrata di bocca e portatala a casa e gettata in un lavezzo di sangue che stava al fuoco, et per molti altri delitti molto enormi.
Le informazioni qui riportate provengono dai lavori storici di Merloni[4] e di Pagano[5]. Altro al momento non ci rimane, ma non possiamo escludere che ulteriori ricerche di archivio possano fare ulteriore luce. Restano le testimonianze di analoghi processi, per cui non faticheremo, purtroppo, a immaginare la solita sequela di sofferenza e di orrore che accomuna queste vicende. Fa comunque effetto il testimone oculare del rogo, che sottolinea con compiacimento la giusta punizione per i molti altri delitti molto enormi.
1630, SCARRONA
Ancora più povere sono le testimonianze di questa seconda vicenda. Diversi autori in libri pubblicati di negli ultimi anni[6] fanno riferimento alla storia di
tale Scarrona, incarcerata in quel di Serravalle Scrivia con l’accusa d’incontrarsi col diavolo: a causa del sopraggiungere del morbo che provoca lutti e sciagure, non può essere processata e viene lasciata andare.
Il morbo a cui si fa riferimento è la peste che imperversò nel Nord Italia nel 1630: per intenderci, quella descritta da Manzoni nei Promessi Sposi. La fonte dovrebbe essere Cesare Cantù (1804-1895), storico, direttore dell’Archivio di Stato di Milano, e politico. Al momento non siamo riusciti a recuperare il testo originale e, eventualmente, la fonte a cui attinge a sua volta Cantù, ma non disperiamo.
Di più al momento non sappiamo, né possiamo immaginare. È però inevitabile lasciarsi sfuggire un sorriso, pur nel dramma di quegli anni, pensando alla nostra povera serravallese che solo alla pestilenza deve la sua (quanto definitiva?) salvezza.
[1] Roberto Allegri, Vocabolario e Grammatica della lingua serravallese, Novi Ligure, Joker, 2007. Disponibile in formato navigabile sul sito di Chiekete.
[2] Dobbiamo la documentazione di questa storia e i relativi riferimenti al bel libro di Maria Angela Damilano, Danzando con il Demonio (Edizioni Epoké, Novi Ligure, 2021). Damilano prende le mosse da questa testimonianza, e da un’altra relativa ad una danza macabra, dipinta nella chiesa di Molo Borbera ed oggi perduta, per scrivere un affascinante racconto dove la fantasia integra, senza sopraffarli, i dati storici.
[3] Oggi scomparso: sulle sue fondamenta fu costruito l’edificio del seminario vescovile, oggi sede di RSA.
[4] Gian Michele Merloni, Splendore e tramonto del potere temporale dei vescovi di Tortona, Ovada, Pesce, 1993
[5] Sergio Pagano, Le ragioni temporali di un Vescovo. Maffeo Gambara Vescovo di Tortona e il conflitto giurisdizionale con il Senato di Milano, Roma, Gangemi, 2000.
[6] Michele Ruggiero, Streghe e diavoli in Piemonte, Torino, Piemonte in Bancarelle, 1971; Streghe e magia: episodi di opposizione religiosa popolare sulle Alpi del ‘600, Biella, ELF, 1994