I Molinari del Lastrico. Seconda puntata
Il primo figlio di Ettore Molinari e Maria Mazza era Francesco (Ninni, vedi foto in evidenza), poi nacquero Giovanni (Giannino) e Pierangelo (Pier).
Ninni era serio e studioso; dopo il Liceo Doria a Novi Ligure studiò Medicina e fu chiamato al fronte per vari anni. Prigioniero in Africa si sposò per procura con la fidanzata Tiny (Ernestina Guido di Arquata), con la quale poi, medico in Serravalle, si trasferì in affitto nella bella ombrosa villa sullo Scrivia, appena prima del ponte, dal lato opposto della casa avita in largo Montaldo. Ebbero due figli, Ettore nel ’48 e Maria Antonietta (Sisa) nel ’50. Dopo anni si trasferì con la famiglia proprio dirimpetto, nella bella villa che si fece costruire sullo Scrivia.
Medico di famiglia e specialista ostetrico molto amato, fu anche direttore sanitario dell’ospedale locale San Giuliano, che volle caratterizzare quale centro per le nascite; ho ben presente il nitore degli ambienti e ricordo una grande cicogna di pannolenci proprio all’ingresso del reparto di ostetricia. Ho poi conosciuto, nella mia vita professionale, moltissime persone delle valli Scrivia e Spinti, che mi chiedevano “Molinari, come il dottore che mi ha fatto nascere?”
Ninni al San Giuliano (edificio attualmente a lui intitolato) settimanalmente esercitava anche la chirurgia quale “secondo” del consulente genovese professor Vallega (col validissimo aiuto di Suor Luciana quale infermiera e ostetrica e strumentista).
Gian, un poco più farfallone, rinunciò a studiare preferendo darsi al commercio e allo sport automobilistico. Sposò Iolanda (Jole) Carrea, un’inquilina assai bella degli appartamenti sul Lastrico (di zia Jole, poi in sovrappeso con gli anni, ricordo la morbidezza, la risata argentina e gli occhi viola) e con lei avviò un negozio di borse e pelletterie vicino all’abitazione in via Caffaro a Genova. Dopo anni si trasferirono ad Albisola e poi a Savona (già abitava in Savona lo zio materno Gian, con Luigina e Angela), dove diventarono un punto di riferimento alla moda ampliandosi fino a tre negozi. Ebbero figlio Franco nel ’42.
Pierangelo, dicevamo, era il piccolo di casa con, da sempre, il ruolo di scaldare il latte al mattino per i familiari; forse da qui era originata la sua incomprensione/negazione delle moltiplicantesi intolleranze alimentari, vere e presunte. Seguì l’esempio del fratello maggiore iscrivendosi al Doria di Novi, ma in IV ginnasio si fece bocciare e papà Ettore lo mandò a lavorare nella panetteria di Albinio, dei cui eredi in casa abbiamo continuato ad essere fedeli e golosi estimatori. Dopo una estate da panettiere Piero capì che probabilmente preferiva lo studio. Al termine del liceo quasi tutta la sua classe fu sterminata nell’eccidio della Benedicta; ovviamente quando ne accennava era sempre con le lacrime agli occhi; e qualsiasi cosa gli fosse accaduta, mai lamentava sfortuna.
Svogliatamente si iscrisse a Medicina per restare sulle orme del fratello (a Genova per studiare era ospite di una zia) ma ancora diciottenne si arruolò volontario con gran dolore di mamma Marie. Fu tenente in aviazione di stanza a Elmas. Ricordo lettere coinvolgenti indirizzategli dai soldati sottoposti e da amici anch’essi al fronte; i suoi soldati gli avevano recapitato anni dopo un modellino di aereo fatto con piccola parte del metallo prodotto dalla fusione del “suo” aereo dopo tempo papà ne aveva poi fatto dono a mio figlio Lucio suo amato figlioccio. So di un periodo di prigionia sotto gli inglesi in Corsica. Al ritorno, la vita era andata avanti senza di lui (un po’ come per me dopo l’Incidentone) e nella fretta ansiosa in cui si trovava concludere la facoltà di medicina appariva improponibile: si laureò dunque in Farmacia pur arricciando il naso al pensiero di stare dietro ad un bancone di vendita.
La sua fidanzata era Eugenia che abitava anch’essa sul Lastrico e insieme progettarono le nozze. Pier cominciò a lavorare in farmacia ad Arquata. Le nozze apparivano prossime. Ma una notte Eugenia stette molto male. Tanto da morire. Era stato un avvelenamento da Amannita Phalloides: in casa avevano mangiato funghi (forse lei più degli altri?) da loro raccolti (erano raccoglitori abituali). Non fu possibile salvarla.
Piero trovò un nuovo lavoro come informatore farmaceutico (“rappresentante” si diceva) presso la Schiapparelli di Torino. Viaggiava molto in auto e ritenne di tacere, per timore di limitazioni, una ipoacusia monoauricolare da scoppio di granata. Gli amici serravallesi gli stavano vicini. Una sera lo coinvolsero per una festa di compleanno da amiche arquatesi.
E qui conobbe la Pinuccia diciottenne, “bionda senza averne l’aria” come canta il poeta Guccini. In maniera non conformista dichiarò i suoi sentimenti alla fanciulla lamentando insonnia dal primo incontro con lei. E dopo due anni di frequentazione convolarono a nozze (Piero assunse anche il ruolo ufficiale di tutore della sposa: era il 9 giugno e Pinuccia avrebbe compiuto ventuno solo il 9 agosto; Piero ne aveva oltre quattordici in più) nel ’57.
Piero aveva fretta perché si sentiva vecchio. Pinuccia era innamorata di tutti i suoi aspetti (anche quelli negativi): schiettezza estrema, totale assenza di diplomazia, spiccato senso dell’umorismo. Era apprezzato per le sue macchiette teatrali comiche (famose le Marionette, che rappresentava insieme al dottor Bagnasco “Pierinein”) e le barzellette; ne conosceva tante, sempre nuove e le raccontava benissimo aiutandolo nelle relazioni sul lavoro.
In breve nacquero Anna (la sottoscritta, tanto per capirsi…) nel’58 e poi Ada dopo soli diciotto mesi nel ’59. Piero era di stanza a Torino per lavoro; viaggiava molto avendo affidati Piemonte e Liguria, anche in posti sperduti; divenne poi responsabile commerciale Direttore alla propaganda, sempre senza orario, dalla domenica sera al venerdi sera. Mi racconta mamma che la piccola Ada si agitava moltissimo al rientro settimanale di quello sconosciuto “uomo nero” che la teneva sveglia piangente tutto il venerdi notte.
Cari lettori per ora mi fermo. Arrivederci alla prossima puntata.