A Madona ‘d l’Asòunta
Il nostro borgo conserverebbe (se ripristinato) un rituale che da solo gli varrebbe un posto di rilievo nella casistica della salvaguardia etnoantropologica.
Stiamo parlando della “calata” della statua dell’Assunta, conservata come noto nell’Oratorio dei “bianchi”. Essa venne acquistata nel 1826, opera di Bartolomeo Carrea, che aveva sua moglie come modella per le fattezze della Vergine ed i suoi figli come modelli per le fattezze degli angeli che la attorniano nell’atto di portarla in cielo. Nella statua serravallese gli angeli sono quattro. In tutto lo scultore ebbe 7 figli. Pare che una delle ultime statue da lui realizzate sia quella della Madonna delle Grazie di Roccagrimalda che presenta appunto sette angeli.
Le statue consimili dell’Assunta sono quelle di Serravalle, Arquata Scrivia (la più imponente), Vocemola, Gavi (la meno pesante), Fabbrica Curone, Tortona. Dello stesso autore è anche il San Giacomo di Spineto Scrivia, che presenta la stessa postura adottata nella raffigurazione della Madonna.
Poco prima dell’inizio della Novena (allora, ora solo triduo) di preparazione alla solennità del 15 agosto, in una sera debitamente individuata in base alla disponibilità del maggior numero possibile di operatori di cui vedremo, si procedeva alla discesa del simulacro dalla sua nicchia, per collocarlo nella navata. Per rendere possibile detto spostamento, occorreva allestire un’apposita impalcatura davanti all’altare (laterale sinistro per chi entra) della Madonna (questo allestimento avveniva ovviamente prima della funzione, non sarebbe stato decoroso farlo al momento).
In sostanza questo atto era visto come un ritorno della Patrona tra i suoi fedeli, e assumeva un tono devozionale veramente significativo che coinvolgeva anche emotivamente in certo qual modo il pubblico ed ovviamente l’intero rione dei “bianchi”. Per chi non lo sapesse, esso comprende piazza “aie”, vicolo “del diavolo”, via Tripoli ed ha come confine via Romana “che è dei “bianchi” come ben ricordavano i nostri anziani. Da lì in poi era “territorio” dei “rossi”.
Così come cerchiamo di descriverlo, questa paraliturgia si svolse fino agli anni ’60 per poi essere avvolta dal turbinio della vita moderna e perdere i suoi elementi di sacralità che potrebbero comunque essere recuperati. Si faceva pure ad Arquata, sussiste tutt’ora a Campo Ligure.
Dopo il canto delle Litanie al termine del Rosario serale, era quindi il Priore che assumeva il ruolo di “celebrante” ponendosi davanti al simulacro, per cadenzare (nel silenzio degli astanti) a gesti ed a colpi di campanello, il lento scivolare del piano inclinato su cui la “cassa” è collocata, fino a giungere a terra.
Nella nicchia preliminarmente aperta gli operatori si erano già collocati entrandovi dalla porticina laterale (mai passare sull’altare!). La prima cosa da fare era coordinare le spinte impresse dagli uomini posizionati a fianco della statua, per spingerla sulle guide in legno, farla uscire dalla nicchia e collocarla sull’impalcatura a trapezio poggiata su due grandi travi che dall’altare scendono fino al pavimento della navata. N.B.: Qualche curioso avrà certamente notato che sulle piastrelle ci sono due grossi buchi equidistanti, rivestiti da bossoli in metallo, chiusi da tappi in sughero. Servono per bloccare le travi che se no scivolerebbero; la cosa curiosa è che per togliere questi opercoli lo strumento più efficace è un cavatappi, che così diventa un oggetto “liturgico” che, per l’occasione, si deve predisporre al pari di quelli liturgici sul serio. Che poi il cavatappi serva in seguito per stappare le bottiglie con cui festeggiare… è un altro “rito”.
Verificata la stabilità del tutto, inizia la fase della discesa vera e propria, che dipende dall’attento uso del “curlo” posizionato all’ingresso della nicchia. Due addetti lo fanno ruotare consentendo lo svilupparsi del grosso canapo che, legato al trapezio su è stata posta la statua, ne regola e frena la corsa. Per sicurezza, lungo il percorso, sulle travi sono collocate anche della caviglie metalliche che vengono rimosse al passaggio della “casa” e collocate al “fermo” successivo, fino a giungere così a terra. Qui arrivati c’è solo bisogno di inserire le stanghe alla base del simulacro e collocarlo sugli appositi cavalletti (attualmente sullo storico autocarro) in posizione verso la navata.
Il resto è già stato descritto nel pezzo “a pucisciòun” a cui si rimandano i nostri lettori.
Quel che ci interessa ribadire è che il recupero e la salvaguardia delle celebrazioni di una comunità sono un forte collante identitario. Molti ricordano ancora gli abitanti di via Tripoli che fino a non molti anni fa attendevano questo evento al pari di altri. Al termine delle operazioni tecniche descritte, arrivavano dolci e bevande, e soddisfazione per avercela fatta pure quell’anno! Il bello doveva ancora venire ma la festa così era cominciata!
Non abbiamo elementi certi per affermare che anche all’Assunta si ornasse il passaggio del sacro corteo con fronde, come avveniva per il Corpus Domini, ma è certo che gli abitanti dei paesi vicini confluivano, nel pomeriggio (attualmente la sera) del 15 agosto, per ammirare la sfilata, la bravura dei portatori, qualche conoscente, ecc. In qualche raro caso, quello che doveva costituire un bello “spettacolo” veniva integrato da eventi tra il funesto ed il ridicolo come quando un abitante del centro storico pensò di attirare l’attenzione incendiando la propria abitazione al passaggio della Madonna.
Un elemento di novità fu l’illuminazione del campanile e della facciata con cordoniere di luci colorate, che “Scupelu” riuscì a portare a casa dallo stabilimento Inga-Gambarotta, ove pare che servisse originariamente per addobbare per Natale il grande abete del piazzale dello stabilimento.
Grazie all’impegno concreto di Italo Rava e della Pro Loco, la conclusione della serata era anche accompagnata da un sontuoso rinfresco. La convivialità così favorita, faceva il resto attirando gente delle più diverse estrazioni.
Tra fine anni ’80 ed inizio anni 2000, la ripresa di attività dei “bianchi” grazie alla dinamicità e costanza del Priore Cesare Canegallo, portò Serravalle ad essere a modo suo uno dei centri dove avveniva una processione dell’Assunta tra le più partecipate del basso Piemonte. Si giunse ad avere fino ad una ventina di confraternite ospiti, alle quali poi si restituiva la visita partecipando alla loro festa. Questo “turbillon” di manifestazioni incise negativamente sulle stesse e quindi non riuscendo a ricambiare tutti gli inviti, si dovette assistere ad un progressivo drastico ridimensionamento. Tuttavia, finché questo stato di cose durò, si videro storici gruppi tra i cui componenti poteva capitare che ci fossero persone che si reincontravano dopo tempo proprio grazie a questi scambi. Citiamo in particolare l’assiduo intervento della confraternita di Garbagna, la partecipazione di alcune confraternite dell’alessandrino che mai si erano spinte prima fino così a sud della nostra provincia, nonché alcune presenze delle confraternite della val Lemme.
Non era facile gestire il tutto in un giorno come Ferragosto che praticamente ha festeggiamenti ovunque. Questo provocava che i portatori facessero anche 3 o 4 processioni nella stessa giornata, con l’entusiasmo e l’abnegazione di cui sono capaci. Questo fermento portò inoltre per almeno una decina d’anni ad avere l’apertura settimanale dell’oratorio dei “bianchi” affinché i portatori provenienti da ogni dove potessero allenarsi a portare il “Cristo”. Nulla vieta di riprendere il tutto, nulla impedisce di riprovare a ricompattare la squadra portatori… in attesa di poter tornare ad esprimere il nostro messaggio portandolo tra le case degli uomini, secondo il nostro stile e cercando di presentarlo con l’ausilio dei nostri apparati.