Pendolari
Viaggio in treno.
Mi ricordo l’odore rancido delle stazioni, una volta ce n’era una che funzionava anche qui al mio paese.
La mattina, ogni mattina, ci si ritrovava sulla banchina ed era come ritrovare la famiglia che s’era lasciata il giorno prima. Tra noi c’era una confidenza conquistata mano a mano, ad ogni viaggio. Ci si raccontava e ci si scaricava dalle spalle i fardelli pesanti facendoli diventare parole; ci si conosceva su quel vagone antico con i sedili di legno sempre affollato e dove ci si stringeva per non restare in piedi e rischiare di cadere ad ogni ripartenza.
Conoscevamo a memoria le fermate in quei luoghi che fino a poco tempo prima non sapevamo nemmeno esistessero.
Il treno delle sette e zero sette si fermava la prima volta dopo soli 7 km da Serravalle dove c’era il primo paesone che se la tirava da città solo perché aveva 4 sale cinematografiche, il teatro e la via delle vasche con i negozi e le vetrine grandi e moderne. Lì ci ritrovava al sabato pomeriggio a desiderare cose che non potevamo permetterci di comprare. A volte, se faceva freddo, si andava alla “Standa” solo per scaldarsi e ci si attardava davanti al banco della bigiotteria. Noi ragazze ci misuravamo anelli e collane e dopo esserci rimirate nello specchio, rimettevamo tutto a posto perché soldi per comprarli non ne avevamo. La commessa ci guardava storto per il timore di non ritrovare tutto all’inventario della sera.
Lì a Novi, il treno si fermava un po’ di più : molte persone scendevano svelte e si dirigevano al lavoro ma i più erano studenti che vociando si incamminavano a gruppi più lenti verso le scuole. I ragazzi che studiavano a Novi erano i liceali e gli iscritti agli istituti privati che costavano molto ed erano gestiti da religiosi. Il treno ad ogni modo restava pieno con i ragazzi che dovevano arrivare al capoluogo, quelli i cui genitori non potevano permettersi rette o che semplicemente non avevano paura di farli andare più lontano e li lasciavano liberi di uscire dal guscio protettivo del controllo.
La nebbia arrivava alla seconda tappa, in pochi minuti si passava da un mondo all’altro, dalle colline alla pianura infinita e noiosa, dove tutto era arrotolato in un fumo grigio e umido.
E in mezzo a quel nulla che pur esisteva e ne dava conferma con quella minuscola costruzione a destra degli unici due binari, salivano due o al massimo tre persone, le stesse che sarebbero scese al ritorno all’una del pomeriggio e che si incamminavano lenti sparendo in una nuvola di piombo bagnato e sospeso. Se mancava qualcuno dei soliti, ce ne accorgevamo e facevamo le nostre congetture:-Sarà malato? Avrà qualche compito in classe o un’interrogazione e non sarà preparato?
Con uno scossone il treno poi ripartiva tra chiacchiere e risate di noi giovani invadenti e rumorosi. Gli adulti che si muovevano per lavoro, ci guardavano male, avrebbero voluto sonnecchiare qualche minuto in più e in quel contesto non ci riuscivano. Dopo ancora una breve sosta arrivava al capoluogo, alla grande stazione di Alessandria. Le ruote stridevano frenando e dopo un’ennesimo scossone finalmente si fermava. Si scendeva in fretta e ci si avviava lungo lo stretto sottopasso senza guardarsi intorno, quasi tutti andavano verso le scuole, alcuni si fermavano in stazione, nella sala d’aspetto o al bar di fronte dove avrebbero passato la mattina a bigiare la scuola.
Le strade si dividevano, senza curarsi dei contorni sbiaditi delle case e degli alberi, in una routine quotidiana e vociante cosparsa di di grida ridenti, di aspettative, di amori appena iniziati o soltanto immaginati, di gusto per la vita, di sensazioni di eterno e di onnipotenza.