ENZO
… e chi ti potrà mai dimenticare!
d Marco De Brevi
Più di settanta anni di esperienza mi hanno insegnato che quando una persona decide di abbandonarci per sempre, oltre che all’eredità, se c’è, lascia ai parenti una quantità di amici che quando era in vita lui nemmeno immaginava di avere. Mi stavo avviando verso l’uscita per allontanarmi dal Supermercato con il carrello carico e, come era mia abitudine, stavo scegliendo la cassiera più carina. Con qualche sorriso avrebbe attenuato uno shock, l’inevitabile conseguenza dell’importo che avrei dovuto sborsare. Ero stato affiancato da un vecchio compagno, intendo del vecchio PCI, con il quale generalmente ero solito scambiare qualche commento sull’operato del governo guidato da Forza Italia, ascoltavo attentamente le sue riflessioni, non potevo certo paragonare la sua esperienza nel mondo della politica con la mia! Papà, convinto sostenitore della disciplina di partito, era uno dei “Probi viri”, nel periodo in cui quel tale era il segretario, quando lo trovava in sezione contornato da compagni o nelle riunioni ufficiali non si era mai permesso di contraddirlo e si era sempre schierato dalla sua parte ogni qualvolta che qualcuno si impegnava a dimostrare che stava sbagliando. Quando poi eravamo a casa dava sfogo a tutto il suo rammarico per aver avvallato certe scelte che lui non condivideva e che si era imposto di accettare per evitare delle spaccature, le correnti era meglio lasciarle ai democristiani. Finiva sempre poi col sottolineare quanto poco interesse manifestasse per quella sua “mania” di dipingere, eppure in quegli anni stava dedicando al partito litri di inchiostro e tubetti di colore per evitare che qualcuno provasse a trasformare il Festival de l’Unità in una sagra della frittella e del ballo liscio. In attesa che la bella cassiera mi preparasse il conto. mi ero permesso di chiedere all’ex segretario, che cosa ne pensasse della scivolata a destra del PCI, del continuo cambio del logo, della scelta di Occhetto e del nuovo segretario PD che a mio avviso intendeva per sinistra il senso di marcia tenuto dalle auto nei paesi Anglosassoni. Mi aspettavo una vivace reazione, la stessa che solitamente caratterizzava quei vecchi compagni che rimpiangevano le Tribune Politiche con Togliatti e Berlinguer, avevo invece scatenato in lui un enorme entusiasmo per il nuovo corso dato da Renzi a quello che un tempo era stato il partito della classe operaia, e persino mi son sentito redarguire aspramente:
– Ricorda che io e tuo papà eravamo molto amici, io so bene come la pensava e ti posso garantire che, se fosse ancora vivo, anche lui condividerebbe l’operato di Renzi!
Lui era il grande amico di papà per cui le cose le sapeva! Io probabilmente nel ’64, mentre i miei erano emigrati a Serravalle, avevo fatto i capricci ed ero rimasto a Novi, per cui quelle rare volte che lo incontravo, mi limitavo a chiedergli come stava di salute e poi gli parlavo del Bologna e delle reti che realizzava Pascutti . Di esempi simili ne potrei citare decine, Emilio aveva decine di amici tra i compagni di partito, di lavoro e di vacanze senza poi parlare delle persone che venivano a curiosare quando allestiva una mostra. C’era chi lo conosceva talmente bene che era capace di spiegarmi da dove aveva preso lo spunto per realizzare certi quadri e persino che pennelli e che colori aveva usato e dove li aveva acquistati. Sono ancora in molti che si vantavano di essere i soli ad averlo capito e di conoscere i suoi insegnamenti più a fondo di quanto non li conosca io.
Non voglio adesso commettere lo stesso errore degli “amici di papà”, mi piace però dire che Enzo mi era simpatico, che mi piaceva stuzzicarlo per sentirlo parlare e soprattutto mi piaceva vederlo e sentirlo ridere. Accettava lo scherzo ed amava far le sue solite battute che spesso gli nascevano dall’attenta osservazione del tipo di lavoro che facevano i suoi fratelli. Di alcuni di loro sapeva caricaturizzare la voce e le particolari caratteristiche che li contraddistinguevano; quando aveva finito l’imitazione mi raccomandava di non fare la spia e di non andare a dire a qualcuno che li aveva presi in giro. Mi piaceva ascoltarlo quando raccontava del faticosissimo lavoro che si vedeva “costretto” a fare in quelle giornate che trascorreva all’Anffas ma… si premurava di confessarmi che aveva reso noto a tutti gli assistenti che soffriva di mal di schiena e la pensione che percepiva ne era una prova, per cui non potevano mandarlo a zappare l’orto. Io ed Enzo avevamo un amico in comune che guarda caso si chiamava, Renzo. Io l’avevo conosciuto come sindacalista, lui come presidente della sua Anffas e forse, dopo Zia Maria, era diventato la persona a cui si era affezionato di più. Il suo Presidente gli voleva veramente bene, lo aveva voluto tenere sempre al suo fianco, lo aveva nominato suo vice e, sapendo che i lavori nell’orto erano troppo faticosi per chi lamentava un mal di schiena ed era andato già in pensione, lo aveva nominato responsabile della raccolta della carta. Era riuscito persino a trasformarlo in un divo della televisione in un servizio realizzato da Telecity e… soprattutto… lo invitava spesso a mangiare gli… agnolotti! Per Enzo ogni azione od ogni iniziativa doveva essere prima avvallata dal suo Presidente, per lui era rimasto era rimasto tale anche dopo che si era dimesso e sapendo che lo conoscevo non mancava di ricordarmi di salutarglielo. Era ammirevole quanto fosse gentile e premuroso con zia Maria, nonostante fosse un “pensionato” al martedì la aspettava all’uscita del mercato, le prendeva di mano in carrellino carico di frutta e verdura e lo trainava lungo tutta la salita, da Villa Caffarena sino alle case del Delta e lo faceva camminando a passo veloce senza mai sbuffare e per non perdere tempo e ritmo evitava persino di rispondere a chi lo salutava. Tutte le volte che mi incontrava non mancava mai di chiedermi come stesse la mia mamma. Aveva saputo che si era rotta il femore e ne era alquanto dispiaciuto, più di una volta mi aveva domandato il permesso di andarla a trovare ed di farsi fare un caffè. Mi auguro che qualche volta che lo abbia anche fatto.
Per tenersi in forma alternava il tracking al ciclismo. Con un triciclo nuovo fiammante, percorreva più volte un circuito che prevedeva anche un passaggio davanti a casa mia, quando mi vedeva mi salutava con lo stesso orgoglio di chi si può permettere di guidare una Ferrari. Ultimamente aveva eletto un suo nuovo “presidente”… era don Francesco, lo aiutava e lo seguiva ovunque andasse e… forse anche con lui era riuscito a rimediare qualche piatto di agnolotti. Quando era in sua compagnia e mi incontrava, con un cenno di capo e qualche gesto, mi intimava di non scherzare e di fare la persona seria. Era venuto anche a trovarmi mentre stavo facendo lezione, si era dimostrato contento di vedere le due aule piene di alunne e con un sorriso di intesa mi aveva promesso che sarebbe venuto a studiare anche lui. Che il senso del dovere fosse insito nel suo carattere, l’avevo già capito ai tempi della sua “Vice Presidenza” Anffas ma che quel suo “pregio” rimanesse inalterato nonostante il passare degli anni e che gli risultasse ancora evidente a cinquanta anni, proprio non l’avrei creduto. Un pomeriggio all’uscita dalla Casa del Giovane l’avevo trovato che singhiozzava disperato, naturalmente mi ero avvicinato per sapere che cosa gli fosse successo, gli avevo messo un braccio sulle spalle ed avevo cercato di consolarlo nell’attesa che si calmasse. Ritornato il sereno, mi aveva fatto telefonare a don Francesco, prima lo aveva cercato e non lo aveva trovato né in canonica né in Sacrestia e purtroppo la segretaria gli aveva detto che se ne era andato via con la macchina. Questo era il motivo della sua disperazione per cui mi aveva chiesto se potevo telefonargli per chiedergli scusa di essere arrivato in in ritardo e di non aver capito che aveva urgentemente bisogno di lui.
Quell’episodio mi aveva commosso! Anche se ne aveva la genuinità, Enzo non era il solito bimbo che al Supermercato non trovava più la mamma.