L’acqua e l’acquedotto nell’antica Libarna
L’approvvigionamento idrico dell’antica città di Libarna è sicuramente un argomento di particolare interesse che vale la pena approfondire.
Partiamo dalla possibile datazione dell’acquedotto che, grazie al ritrovamento di una moneta di Claudio (41-54 d.C.) sullo scarico di una fontana nella casa ad atrio tuscanico nel quartiere dell’anfiteatro, viene fatto risalire al I secolo d.C.
Questo è l’unico dato attendibile sulla cronologia dell’acquedotto, allora già in funzione, e la sua presenza come mezzo di trasporto di un grande quantitativo d’acqua è legato al raggiungimento da parte della comunità di una certa dimensione numerica, infatti la costruzione dell’acquedotto di Libarna è una testimonianza importante dello sviluppo demografico, economico ed urbanistico della città nella prima età imperiale.
Testimonianze del percorso dell’acquedotto sono state individuate nella valle laterale del Rio Borlasca (a Pietrabissara – frazione di Isola del Cantone), ed in Valle Scrivia secondo un tracciato che da sud a nord giungeva in città; il primo a darne notizia dell’esistenza è stato G.A. Bottazzi nel 1815.
Dal punto di vista dell’ingegneria idraulica l’opera riveste notevole interesse, tenendo conto sia della morfologia del terreno che dell’ubicazione delle sorgenti; la localizzazione della presa in terreno montagnoso, la necessità di attraversare numerose valli laterali, e il percorso del piano, hanno certamente imposto ai sui costruttori il superamento di molteplici difficoltà tecniche, tra cui, di notevole entità, lo scavo in galleria.
Come detto il luogo di captazione delle acque si trova nella vallata del Rio Borlasca, ricchissimo di sorgenti, da cui il condotto iniziava il suo percorso discendente costeggiando la parete montuosa sino allo Scrivia; da qui, seguendo la conformazione del terreno, sulla sponda sinistra del torrente, giungeva a Libarna.
L’analisi della morfologia del territorio evidenzia come fosse ardito portare una condotta in città; infatti i problemi da risolvere erano complessi: mantenere una pendenza costante, attraversare o aggirare gli ostacoli naturali, superare valli e torrenti.
Non esistono dati certi circa il ritrovamento delle opere di captazione ed il posizionamento preciso del bacino di decantazione (piscina limaria).
La presa d’acqua doveva essere approssimativamente nel punto in cui, uscendo dalla conca di origine, il Rio si incanalava nella breve e stretta valletta terminale; l’acqua veniva quindi convogliata nella condotta artificiale, forse dalla località Bric Boschetto, sulla sponda destra del Rio.
Da questo punto sino allo Scrivia e oltre seguendo il corso del torrente sulla sponda sinistra, sono stati riscontrati in più punti resti del condotto costruito in opera a secco con paramento in pietra e mattoni.
Nella foto un elemento di condotta idrica in blocco monolitico di arenaria che è situato all’ingresso dell’Infopoint dell’Area archeologica.
L’acqua è stata quindi una grande protagonista della vita nella città romana di Libarna.
Le testimonianze di scavo, di cui una recente registrata nel territorio di Arquata Scrivia, come vedremo più avanti, hanno fornito solo un’idea approssimativa di ciò che in realtà fu la complessa rete idrica cittadina che doveva servire i maggiori edifici pubblici: le terme, il teatro, il foro, le abitazioni private, i laboratori artigiani, gli esercizi commerciali e quelli di servizio.
L’acquedotto di Libarna presenta uno dei percorsi più lunghi tra gli acquedotti romani del Piemonte di cui si conosca il tracciato, con una portata calcolata intorno ai 400/500 mc/h; tra gli altri, quello della vicina Dertona si sviluppava in pianura seguendo il corso dello Scrivia, mentre i resti di acquedotto più imponenti si trovano ad Acqui Terme (Aquae Statiellae), con un tratto di otto piloni che raggiungono un’altezza di circa quindici metri.
L’acquedotto, secondo le tecniche codificate da Vitruvio, una volta giunto in città, doveva raggiungere le utenze pubbliche e private, il castellum aquae, collocato in prossimità delle mura, che aveva il compito di ripartire in maniera predeterminata l’acqua nelle ramificazioni delle condotte (per le quali venivano utilizzate fistulae plumbee) e doveva garantire la tenuta dal passaggio dai canali a cielo aperto al regime in pressione all’interno dei tubi.
Le condotte realizzate al di fuori della città erano costruite in muratura di pietre o sassi, la superficie interna veniva accuratamente intonacata e resa impermeabile con opus signinum.
Si è presentato proprio così il tratto di condotta rinvenuto in località Campora ad Arquata Scrivia durante l’attività archeologica preventiva legata ai lavori di costruzione della linea ferroviaria Terzo Valico dei Giovi.
I risultati di questo ritrovamento sono stati presentati dal direttore degli scavi Dott. Alessandro Quercia (archeologo funzionario della Soprintendenza) durante la conferenza dal titolo “Il popolamento rurale della Valle Scrivia in età romana (insediamenti, infrastrutture, paesaggio) nell’ambito del ciclo “Archeologia e paesaggio in Valle Scrivia” che si è tenuto ad Arquata Scrivia nel 2018 con il supporto organizzativo dell’Associazione Libarna Arteventi.
Alcuni elementi di condotta idraulica sono visibili all’ingresso dell’Area archeologica e nell’esposizione presente nella galleria di Palazzo Grillo a Serravalle Scrivia.