Il centro storico di Serravalle
Considerazioni per un’analisi socio–urbanistica
Una delle caratteristiche più singolari del centro storico di Serravalle è che non è al centro di nulla!
Anzi è all’estrema periferia sud dell’abitato.
Per evidenti ragioni geomorfologiche il paese è cresciuto nella parte nord, dove la disponibilità di terra e il suo andamento pianeggiante ne hanno favorito lo sviluppo.
Ma, se c’erano queste condizioni poco favorevoli, perché il centro storico è nato proprio lì?
Sappiamo per certo che il nucleo più antico di Serravalle non è nato, come una gran parte degli altri insediamenti urbani, attorno ad un presidio militare di epoca romana (castrum): lo sappiamo perché il vicino sito archeologico di Libarna indica chiaramente la localizzazione del castrum e dei suoi successivi notevoli sviluppi, che lo hanno trasformato in una città importante per grandezza, ricchezza di edifici pubblici e privati e per la funzione di controllo militare ed economico, sulla strada che portava al mare.
Allora le ragioni della sua collocazione devono essere ricercate in altre circostanze.
Se immaginassimo di togliere da quel luogo la maggior parte delle opere dell’uomo e di tornare, indietro nel tempo, ad una condizione precedente all’esistenza dell’abitato, ci accorgeremmo che quel luogo angusto della valle presentava condizioni molto particolari.
C”era una strada importante – la via Postumia – che univa Aquileia, principale porto romano sull’Adriatico, a Genova; e quella strada, sia pur costruita per scopi militari, vedeva tuttavia importanti traffici di persone e merci. C’era (e c’è ancora) uno stretto imbuto, tra i rilievi e il corso della Scrivia, che incanalava il traffico in quell’unico percorso obbligato. C’era un ponte sulla Scrivia che univa al traffico già importante, anche quello, certamente minore, ma comunque non trascurabile, che proveniva dalla val Borbera e dalle numerose altre valli in essa confluenti. C’era un rilievo collinare, proprio dove c’era il ponte del tutto idoneo alla costruzione di una struttura di controllo del collegamento tra la Pianura Padana e il Mar Ligure.
Ragioni dunque legate all’accessibilità e difesa di quel luogo (dobbiamo ricordare che nel concetto di centro è insito quello di più veloce e facile accessibilità dall’area che lo circonda) e ai numerosi viandanti che transitavano su quel percorso. Ne consegue che, fin dalle sue origini remote, Serravalle manifesta una vocazione commerciale e di luogo di transito che non l’ha mai abbandonata fino ad oggi; e alla quale i suoi abitanti hanno subordinato molte scelte, anche penalizzando altre funzioni che avrebbero potuto garantire una immagine migliore del paese e una maggiore qualità dell’abitarvi.
Serravalle Scrivia sorge lungo l’antico tracciato della Via Postumia alle propaggini del Colle Miradoglio o castrum degli Arimanni […] è la fortificazione a ridosso di Libarna ed a sua protezione, oltre che a quella del vico sorto dove poi si formò Serravalle e con Pieve dedicata a San Martino […] si trattava di una località di confine […] e di un centro viario, dove si incrociavano la vecchia via Postumia, passaggio obbligato tra Genova e la pianura, la strada della Val Lemme, che da qui certo si diramava, e quella della Val Borbera […]. La sua fondazione avviene in periodo medioevale come componente del sistema difensivo del Tortonese e punto di controllo di una delle principali vie di comunicazione tra la pianura padana ed il genovese. La sua funzione territoriale è quella di colonia agricola e di caposaldo militare sede di guarnigione. Luogo di mercato, in stretta relazione con la piana oltre Scrivia, il centro si connota come organismo autosufficiente e ben definito entro un’area la cui ampiezza territoriale è determinata dai rapporti di scambio e dalla possibilità di spostamento giornaliero. Con l’intensificarsi dei traffici assume importanza sotto il profilo commerciale e, in quanto passaggio obbligato, come punto di transito soggetto a controllo doganale. Il nuovo borgo è fondato nel 1140 con funzione di difesa per l’Episcopato di Tortona.
Prof. Carlo Alberto Barbieri – Relazione al Piano Particolareggiato – febbraio 2022
Alla radice di quel ponte dovettero certo sorgere alcuni edifici – prima semplici capanne precarie, poi edifici in muratura – per ospitare servizi per i viandanti e di controllo dei flussi: una locanda, il maniscalco, il dazio…
Con il prosperare di queste basilari attività, ai primi edifici si sommarono presto altri: abitazioni di chi le gestiva o di altri commercianti, attratti dai flussi di traffico che garantivano potenziali clienti o sudditi collocati in quel luogo con i meccanismi consueti dei borghi nuovi. Con la costruzione del castello anche tutti coloro che prestavano la propria opera in funzione di esso si andarono concentrando nell’agglomerato ai suoi piedi. La costruzione delle mura che racchiudevano l’intero borgo, con il proprio apice proprio nel castello avevano completato il disegno difensivo di quel passaggio strategico.
Ma, una volta saturata la superficie dei suoli disponibili, che non era molto estesa, quando ci si affacciava a tempi più recenti, e ormai era stata superata l’esigenza di una difesa affidata alle mura, il paese fu costretto a crescere verso nord, dove c’era invece maggior disponibilità di aree.
L’espansione risulta evidente dalla sovrapposizione di due rilievi cartografici: in rosso nell’immagine gli edifici esistenti prima dell’ottocento ed in verde quelli costruiti dopo il 1800 e prima del 1900.
Con l’affermarsi, all’inizio del XX secolo, dei veicoli con motore a scoppio – automobili e autocarri – e il conseguente aumento sensibile del traffico (e delle sue ricadute: fumi di scarico e rumore), la prossimità alla strada, prima ricercata come condizione favorevole all’insediarsi, diventa invece un fastidio, da cui gli abitanti vogliono allontanarsi.
Così il paese, dopo che si erano riempite anche le aree più discoste dalla strada (le propaggini dei rilievi con modesta acclività), cresce a nord, nelle aree di Ca’ del Sole, creando prima un modesto insediamento (siamo oramai negli anni ’80 del 1900) che, più tardi, a fronte del gradimento manifestato dai cittadini che vi si trasferiscono, si ingrandisce, fino ad esaurire anche qui ogni possibilità di ulteriore espansione.
Ma la nuove case ospitano cittadini già residenti, che si trasferiscono abbandonando gli alloggi dove sino ad allora avevano abitato, alla ricerca di condizioni abitative che gli alloggi precedenti, soprattutto quelli in centro storico, non possono garantir loro.
Il nuovo sviluppo, unito alla sostanziale stabilità della popolazione, accelera quel processo di abbandono del centro storico, già iniziato al sorgere del XX secolo, ma rallentato dal permanere di consolidati punti commerciali e dai servizi civili (farmacia, poste, ecc.). Nel frattempo però quelle stesse funzioni hanno già traslocato, seguendo la tendenza degli utenti, dal centro storico ai quartieri novecenteschi, verso il viale della stazione ferroviaria che, dalla seconda metà dell’800, esercita la funzione, come in molti altri centri urbani, di nuovo centro dell’abitato.
I negozi lungo l’asse viario centrale, con il trascorrere del tempo, a causa dell’avvicendamento generazionale e della difficoltà delle sedi storiche ad adeguarsi ai nuovi standard commerciali, cominciano a chiudere, a partire dal segmento che attraversa proprio il Centro storico: sono man mano sostituiti dai punti vendita più moderni della parte novecentesca dello sviluppo urbano; le attività possono insediarsi in unità immobiliari più adatte alle nuove esigenze del commercio e possono beneficiare della vicinanza ai servizi che in questa parte di tessuto urbano vanno progressivamente trovando una ricollocazione.
Sostenuto anche dallo svuotamento degli spazi residenziali e dalla loro disponibilità a buon mercato, un nuovo fenomeno negli ultimi anni del secolo scorso interessa il nucleo urbano: l’arrivo di molti immigrati non italiani che, una volta arrivati nel nord Italia, cercano di stabilirsi là dove ci sono opportunità migliori. La posizione di non eccessiva distanza dai centri urbani maggiori (Genova, Torino, Milano e tutte le altre città di una certa dimensione che si collocano in quel triangolo territoriale), dove più facile è trovare lavoro, insieme agli affitti molto bassi, fanno di Serravalle uno di questi luoghi.
L’abbandono degli edifici di più antica costruzione, non caratterizzati da qualità storico culturali, ha fatto venir meno infatti anche la manutenzione e gli edifici hanno conseguentemente perso, insieme all’appetibilità per i potenziali affittuari autoctoni, anche una quota del loro valore commerciale; e questo, in un circolo vizioso, induce le proprietà a non investire ulteriormente in manutenzioni, spesso costose.
Questa tendenza ha un riscontro preciso nella consultazione dei dati dell’osservatorio del mercato immobiliare[1] dell’Agenzia delle Entrate: Serravalle Scrivia è infatti l’unico, tra i Comuni del basso alessandrino, dove il valore immobiliare degli edifici è minore nel centro rispetto a quelli della periferia: di una quota (secondo semestre 2019) variabile tra i 50 e i 70 €/mq.
La domanda che i cittadini di Serravalle si pongono (o dovrebbero porsi) è se si possa arrestare e invertire questo che sembra un fenomeno che ha come epilogo l’abbandono completo del centro storico. La risposta che può dare l’urbanista, cioè chi studia la crescita e il modificarsi degli insediamenti umani, è che certamente si può interrompere e invertire il processo di dismissione anche sociale del centro storico, a condizione che se ne rimuovano le cause. E le soluzioni sono note e semplici ad enunciarsi: togliere il traffico di attraversamento veloce (circonvallazione) e rimettere nel centro storico funzioni civili attrattive che ne favoriscano la rivitalizzazione (riuso degli edifici per funzioni sociali che generino flussi di accesso); dove c’è gente che si muove, lì c’è animazione civile, e quindi vita.
Le soluzioni sono tanto semplici a dirsi, quanto ardue a realizzarsi! E all’urbanista che le formula è facile obiettare che da anni sono arcinote, ma, nonostante la buona volontà, le condizioni economiche sembrano suggerire l’impossibilità di metterle in pratica, anche se qualche cosa in passato è stato fatto: c’è un progetto di massima di circonvallazione, che giace – approvato – nei cassetti della Provincia; ma sembra che nessuno se ne ricordi.
Bisogna dunque arrendersi? Credo di no!
[1] https://wwwt.agenziaentrate.gov.it/servizi/Consultazione/ricerca.htm?level=0
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