A pucision ‘d l’Adulurata. Il ruolo dei bianchi e dei rossi
di Gian Paolo Vigo
Fin qui, dunque, i preliminari in chiesa parrocchiale.
Collateralmente ad essi, però, avveniva ed in parte avviene ancora, una simile fase preparatoria negli Oratori delle nostre due confraternite cittadine: montaggio crocifissi, vestizione “cappe”, “indossaggio” e regolazione del “crocco” (la caratteristica cintura in pelle dotata di apposite spalline ed imboccatura sempre in cuoio, attrezzo indispensabile per portare i vessilli), e soprattutto “pia contesa” per prendere la mantellina ricamata, il bastone e/o il vessillo più significativo, il crocco in migliori condizioni, ecc. Un’altra pia contesa era invece quella che infervorava i ragazzini che portavano gli “angioletti” e gli “stendardini” o le “bandiere”. Gli angioletti, costituiti da statuine in legno, sono posti alla sommità di aste lignee, ed accompagnano la “lancia” (il bastone con alla sommità il titolare di ogni singola Confraternita) che apre il gruppo confraternale.
Gli stendardini (per i “rossi”) o le bandiere (per i “bianchi”) sono sei per ciascuna confraternita, e sono vessilli in stoffa di poco più di un metro di altezza per mezzo metro di larghezza, destinati ad accompagnare il gonfalone (lo precedono). Il loro uso sarebbe di derivazione spagnola dove tutt’ora vengono impiegati nel modo appena descritto. Diverse tracce spagnoleggianti sono infatti ancora rintracciabili nella nostra zona, considerato che Serravalle era sede di Governatorato e che proprio il Governatore Juan Avila Castillo fece erigere chiesa degli Agostiniani, ora Oratorio dei “bianchi”, ed annesso convento, oggi ex Ospedale.
Quanto agli angioletti, invece, rappresentano i residui orientaleggianti della liturgia (in Oriente simili oggetti sono collocati sia sull’altare e sia su apposite aste come le sopradescritte, ed accompagnano i diversi momenti e postazioni della Liturgia, a significare che anche gli angeli vi assistono e vi partecipano con la loro incessante lode). Va infatti ricordato che pure Serravalle risentì di qualche riverbero del c.d. “rito patriarchino” di influsso orientale ma diffuso fino all’inizio del ‘600 anche in Lombardia. Ciò si nota in qualche addobbo ed in alcune melodie di musica sacra popolare.
In sostanza si tratta di prepararsi ad entrare in processione.
Tutt’ora i due sodalizi e rispettivi vessilli, si portano sulla piazza del Municipio ma restano all’esterno della Collegiata fin che la statua non esce. Solo in quel momento si allineano in processione, accedendo in chiesa non all’inizio del Vespro ma solo poi, al rientro del sacro corteo, per la benedizione conclusiva. Questo crea tutt’ora il caratteristico clima un po’ confuso tipico delle nostre sagre, situazione che va sicuramente migliorata. Infatti molta gente non vi prende parte da fedele ma solo da spettatore. Uno dei luoghi comuni locali è infatti che “si va a veder passare la processione”. Chi non ricorda di essere stato accompagnato da piccolo ad assistere a simile sfilata? Era indubbiamente un momento di comunità che serviva pure a favorire contatti tra persone e tra generazioni altrimenti poco contattabili date le esigue disponibilità di mezzi di comunicazione di massa. Attualmente sarà anche ridimensionata l’affluenza ma un simile atto di religiosità sul suolo pubblico non cessa di attirare curiosità. In tutti i casi altera la viabilità costringendo la polizia municipale a del lavoro straordinario, ed in ogni modo provoca l’attenzione anche di chi non crede (ma osserva) e pure quella di chi è indifferente a queste manifestazioni (basta guardare gli atteggiamenti di chi passa oltre senza fermarsi se non altro per rispetto, o di chi non si sposta dal bar dove è intento a consumare ostentatamente). Fa almeno piacere che parecchie persone non facenti parte della comunità cristiana, dimostrano comunque la loro attenzione per questo tipo di manifestazione, non fosse altro che per amore alla tradizione e all’identità locale, e non si stancano di domandare, fotografare, seguire…
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