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Partigiani in val Borbera: Angelo De Benedetti “Farina”

Stipato dentro quell’infinito susseguirsi di palazzi, capannoni e strade a scorrimento veloce, Gallarate è un enorme dormitorio di oltre 50mila abitanti. A un tiro di schioppo dal decollo degli aerei a Malpensa e altrettanto prossima al caos delle tangenziali milanesi. Non vi è confine tra un abitato e l’altro. Né geografico né “umano”. Tant’è vero che, nel giro di qualche decennio, dovremo abituarci a quel lemma dal sapore elefantiaco chiamato “megalopoli” per quel groviglio grigio smog che, una volta, era Milano e che ora stringe a sé un territorio che da Novara giunge sino a Bergamo bassa.

Impressione diversa, senz’ombra di dubbio, rispetto a quella che potremmo immaginarci in un giorno di fine estate del 1943. Una data precisa: mercoledì 8 settembre. Dentro un conflitto che si trascina da tre anni, sono ore di calma apparente. Come una tempesta che tutti annusano nell’aria. Sta per arrivare. Bisogna solo capire come difendersi da un effetto che potrebbe essere mortale. Il tornado che sta per abbattersi sul Paese intero ha un nome che, al solo leggerlo, sembra risuonare sul terreno come enormi tonfi di acciaio. Wehrmacht. Esercito tedesco. Nazisti. Compagni d’arme, fino a qualche minuto fa. L’Italia gravata da migliaia di morti, ha deciso di firmare l’Armistizio con gli anglo americani. Mussolini è vinto, o almeno così pare. Imprigionato tra le nevi del Gran Sasso. Una monarchia pavida, insieme a uno stuolo di generali da operetta, fugge verso il Meridione, lasciando l’esercito allo sbando. Nessun ordine. Non si sa a chi sparare. Liberi tutti o tutti in galera. Quando va bene. Perché, quando va male, si muore nei lager germanici.

Farina ha vent’anni, i baffi sottili da attore di Hollywood e lo sguardo introverso. Silenzioso soldato d’artiglieria. Parla poco, come se volesse pesare le sue parole senza lasciarsi andare a lunghi e inutili discorsi. Quel mercoledì di 82 anni fa, si trova proprio a Gallarate. Farina, al secolo Angelo De Benedetti, è un militare di leva, non un fascista. Il suo carattere schivo non deve essere scambiato per timidezza. Un attimo, per riprendersi dallo shock, come tutti i suoi commilitoni. La realtà lo riporta subito al “dunque”. Sa bene cosa fare. Rifiuta, senza pensarci, di essere arruolato sotto la GNR, Guarda Nazionale Repubblicana, e fugge. Direzione Sud. Casa, ma non per fermarsi. Ci sono tantissimi ragazzi come lui, nati e cresciuti sotto gli squallidi dettami del Fascismo, che si stanno organizzando per combattere il nemico. La fame e la paura non riescono a sconfiggere la voglia di vivere un’esistenza migliore, per un’intera generazione che rischia di perdere la vita sotto le bombe nemiche.

Il partigiano Farina

Angelo torna tra le montagne dove ha visto la luce. 28 luglio 1923. Cantalupo, appennini piemontesi che profumano di Liguria, abbracciati dall’azzurro incedere del torrente Borbera. Con la quinta elementare in tasca, deve iniziare a badare a sè stesso. Uomo ancora bambino. Viene mandato dal padre a Sasso, villaggio sopra Grondona, in valle Spinti, per essere d’aiuto a una famiglia di contadini. A imparare cosa significa il sacrificio, per vitto, alloggio e qualche mandarino, se va bene. Nell’Italia contadina degli Anni Venti, una pratica diffusa. Una bocca da sfamare in meno poteva avere importanza vitale per l’equilibrio di una povera economia domestica. Che dietro quella bocca ci fosse un talento o un mediocre, nulla importava.

Quando ritorna nella sua valle, scollinando i boschi che circondano le Ripe, è tempo di andare a bottega. Suo zio Beppe lavora come mugnaio e ha sempre bisogno di una mano giovane e svelta. Pane, latte, la carne di tanto in tanto, la frutta quando i raccolti lo consentono. Di questo si ciba una valle, e forse un Paese intero, negli anni più bui e miseri della dittatura. I due vanno prima ad Arquata, dove il giovane Angelo conosce, quasi per caso, una leggenda dello sport italiano: Primo Carnera, campione italiano dei pesi massimi nel 1933. Il pugile friulano si ferma al mulino e scambia più di quattro chiacchiere con il ragazzo. La passione per la boxe, testimoniata dalla sua collezione di videocassette del compianto Rino Tommasi, nasce quel giorno. Dopo Arquata, è la volta di Rocchetta. Dietro la piazza del borgo, alle spalle dell’attuale bar, sorgeva il mulino. Angelo si rimbocca le maniche e si mette a macinare il grano. Quelle macine che lavorava per giorni e giorni devono essergli rimaste care, visto che, tempo dopo, chiede e ottiene di portarle nella sua casa. Antica decorazione tra il verde del suo giardino. Pane, grano, forno. Anche farina, ovviamente. Nome che gli tornerà comodo, quando deciderà di entrare nella Brigata Oreste, divisione Pinan Cichero. Al comando, Aurelio Ferrando, nome di battaglia Scrivia e Franco Anselmi, nome di battaglia Marco. Il volume Ponte Rotto di Giovan Battista Lazagna (Carlo) lo colloca nel lungo elenco alla voce Comandi e Servizi. De Benedetti si unisce ai ragazzi del posto. Non sono una vera e propria banda partigiana, perlomeno all’inizio. Si ritrovano tra i caruggi di una piazzetta del centro paese. Loro, renitenti alla leva, cominciano a nascondere dentro un garage un po’ di armi che trovano qua e là. Alcuni nomi: Gaudenzio Dino Corso (Terremoto), Isidoro Mignacco (Lungo), Franco Mongiardini (Lupo). Fanno gruppo e aspettano ordini dall’alto. Dalle prime formazioni che, dal Chiavarese, stanno risalendo i monti che custodiscono Genova, tra l’Antola e il Ramaceto, per cercare di difendere un territorio che dalla val d’Aveto giunge sino ai monti savonesi. Aldo Gastaldi, Bisagno, è il punto di riferimento. Mito vivente, primo partigiano d’Italia, scomparso a guerra appena terminata. Il comandante è lui, genovese che sogna di liberare la sua città del giogo dei nazifascisti.

Angelo De Benedetti in uniforme

Angelo, scrivevamo, è persona mite e silenziosa. Pesa le parole con la stessa pazienza con la quale distilla la sua grappa, passione dell’età adulta assieme alla caccia, la boxe in tv e la pittura. Appare in due documentari che raccontano di quegli eroici e sanguinosi diciotto mesi. Living Utopia del 2005, regia di Gigi Roccati e La Battaglia di Pertuso, del 1987, una produzione cooperativa di ANPI val Borbera. Tre aneddoti, narrati nel corso della sua vita.

In un casolare al confine di Cantalupo, viveva sfollato un fascista genovese, tale Gazzani. L’uomo insisteva con i ragazzi del ‘23 affinchè si presentassero al distretto militare di villa Caffarena, a Serravalle. Tre di loro, tra cui Farina e Terremoto, una mattina salgono sul bus con l’idea di scendere a Persi e scappare tra i loro monti. Gazzani li segue e il piano fallisce. A Serravalle, nei pressi del Comando nazista di villa Caffarena, grazie al caos provocato dalla fuga di bestiame da un carro, il trio riesce a fuggire a darsi alla macchia.

Seconda istantanea. Farina e Lupo sono in missione. Insieme a loro, don Luigi Bruno, sacerdote dal ruolo fondamentale durante la Resistenza valborberina, e il giovane Franco Bruno. Siamo tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945. Inverno gelido, di ghiaccio e sangue. A Tortona il gruppo resta senza benzina. Bisogna tornare a Cantalupo, non c’è tempo, se non quello di decidere senza troppi pensieri. Vedono un’auto ferma, forse americana. Bisogna prender la benzina del veicolo e scappare. Angelo si vergogna, ha quasi paura. Tentenna e, a quel punto, don Luigi interviene. Tranquillo, non è furto, è la Provvidenza!. Come una pacca sulla spalla. Si fanno forza, la rubano e ripartono alla volta della loro vallata.

I partigiani “Farina” e “Terremoto”

Ultimo scatto. Dentro una baracca di Avi, paese (ora disabitato) nascosto nel crinale tra la ripa di Rocchetta e i prati di Roccaforte, De Benedetti e Mongiardini si rifugiano da un rastrellamento. I nazifascisti sono esausti, ma non ci pensano ad arrendersi. Spareranno sino all’ultimo proiettile, mentre gli anglo americani rompono, a fatica, le linee nemiche e risalgono verso Nord. Angelo e Franco stanno mangiando quel poco di pane che hanno ancora. Inverno 1945, sempre quel maledetto inverno di paura. Sentono dei passi, la porta si apre. Sono due soldati. Tedeschi o, forse, mongoli, i famigerati membri della divisione del Turkestan, dediti a saccheggi, violenze e sevizie ai danni della popolazione locale. Attimi di tensione. Il freddo non si sente più tra le ossa. Non spara nessuno. Gli altri si siedono, dalla sacca tirano fuori un pugno di cibo. Mangiano in silenzio, per poi sistemarsi in un angolo del pavimento. Due tedeschi e due partigiani sotto lo stesso tetto per una notte. Nessuno dice una parola e, all’alba, ognuno per la sua strada.

De Benedetti nei primi anni Duemila

Angelo De Benedetti ha combattuto la battaglia di Pertuso dell’agosto del 1944 e ha difeso la “sua” Cantalupo durante gli scontri del febbraio del ‘45. Dopo la guerra, ritorna a lavorare con suo zio Stefano (Stevino). Autista di camion. Si sposa nel 1953 e diventa padre nel 1958. Si trasferisce a Sampierdarena, dove rimane autista, ma di autobus. Tra i colleghi, stringe anicizia con Rocco Agostino, in seguito manager di grandi campioni italiani di pugilato come Bruno Arcari, Patrizio Oliva e Massimiliano Duran. Vedovo, nel 1980 va in pensione e ritorna a Cantalupo. A pochi passi da quella piazzetta dove si incontrava con quel gruppo di valorosi ventenni, strenui difensori della loro Patria. A Genova inizia ad appassionarsi di pittura. Conosce Amedeo Merello, autore di nature morte. Acquista libri e tutto il materiale necessario per rappresentare su tela la sua amata valle. Orgoglioso autodidatta, viene premiato alla mostra di pittura Amt di Genova ed espone spesso nel territorio. Cantalupo gli rende omaggio con un’esposizione nell’estate del 2001. E a Cantalupo, il partigiano Farina, riposa dall’aprile 2006. Nel cimitero sopra il colle del suo paese. Quello per il quale si è battuto da fiero partigiano.

Un pensiero su “Partigiani in val Borbera: Angelo De Benedetti “Farina”

  • Clara Cipollina

    All’ epoca anche mio suocero Pianzola Camillo di Cantalupo lottava da quella parte..classe 1920.E morto nel 2001
    purtroppo so poco di quel momento anche se me ne parlava
    Mi piacerebbe sapere di più
    Quali compagni lo ricordano

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