Scusi Ingegnere, in che Regione vivo?
Abbiamo titolato questo articolo con una parafrasi di una delle più stralunate canzoni di Enzo Jannacci, “Bobo Merenda”, il cui protagonista, incapace di capire il senso del suo alienante e terribile lavoro (“avvitare svitare, svitare avvitare, meglio di non parlare”), chiede al suo capo: “Scusi ingegnere, io che lavoro faccio…”. Questo perché, alle volte, la domanda viene proprio voglia di porsela… Ma Serravalle Scrivia è Piemonte? E Arquata? Sono considerati “Piemonte”?
Per carità, nessuna voglia di demagogia, sappiamo bene che le recriminazioni circa la lontananza della Regione da questi territori periferici sono spesso strumentali, che molte lamentele sono cariche di diffidenze e di pregiudizi, ben sintetizzati in una espressione borberina – e non solo – per annunciare l’intenzione di recarsi ad Alessandria: “Duman anému in Piemonte!”.
Tuttavia spesso la diffusione del pregiudizi è resa più facile, diciamo così, quando la poca attenzione ai nostri territori non fa fatica a raggiungere le prime pagine dei giornali come espressione del “sentire” di uomini politici di rango e di tecnici impegnati a immaginare il futuro del Piemonte e dei suoi abitanti.
Abbiamo rintracciato due di questi episodi piuttosto macroscopici, entrambi relativi alla questione dei trasporti e dei collegamenti tra il mare e la Lombardia. Ed è interessante constatare come essi si ripropongano, quasi in fotocopia, a cinquant’anni di distanza.
Ma procediamo con ordine e iniziamo dal primo episodio: siamo all’inizio del Novecento e si discute di trasporto ferroviario. Sono anni cruciali per le ferrovie italiane, perché si tratta di ammodernarle, con una massiccia campagna di elettrificazione, e di costruire quei raccordi in grado di velocizzare i percorsi sulle medie e lunghe distanze.
Si tratta di spese ingenti e, per quanto riguarda i nuovi tracciati, di scelte destinate a suscitare reazioni opposte tra chi ne trae benefici e chi invece ne risulta escluso.
Tra le tante iniziative di protesta una, piuttosto singolare, si svolge a Torino e ne dà notizia la “Rassegna dei Lavori Pubblici e delle Strade Ferrate” dell’8 luglio 1913:
““L’Assemblea convocata dalla Pro Torino con l’intervento di senatori, deputati e delle rappresentanti di tutta la regione Piemontese ha votato il seguente ordine del giorno:
l’assemblea riafferma la decisa volontà di Torino e del Piemonte che gli interessi e i diritti della regione piemontese siano salvaguardati dalla costruzione della nuova direttissima anche per il maggior vantaggio degli interessi nazionali […] e dà mandato alla presidenza della Pro Torino di costituire un comitato di vigilanza che mantenga vivo il movimento per il rispetto dei diritti e degli interessi della regione Piemontese ed integri l’azione che a loro tutela l’amministrazione di Torino vorrà e saprà energicamente tutelare”.
Spesso è piuttosto difficile comprendere natura e motivazioni di polemiche di questo genere, ma qui ci aiuta il contesto.
A scaldare gli animi è la questione del collegamento ferroviario tra il mare e la pianura, troppo orientato verso Milano a parere dei torinesi. Per rimediare, il comunicato invocava la costruzione di una “direttissima Genova-Milano-Torino”. Dietro la richiesta di questa linea ferroviaria, in verità abbastanza curiosa e improbabile, si celava la sostanza della protesta: secondo il comitato tra le linee ferroviarie in costruzione sull’asse Mar Ligure-Pianura nessuno interessava il Piemonte e bisognava dunque, in futuro, rimediare!
Ora il fatto curioso è questo: siamo nel 1913 e sull’asse Genova – Milano l’unico tratto ferroviario interessato a lavori era la cosiddetta “Direttissima Arquata Scrivia – Tortona”, aperta poi al servizio pubblico a partire dal 1 ottobre 1916.
La nuova linea “direttissima” partiva dunque da Arquata e terminava a Tortona, con uno sviluppo di 24 chilometri interamente in territorio piemontese. Oltre ai lavori sulla linea propriamente detta, furono ampiamente ristrutturate e ammodernate le stazioni di Arquata Scrivia (Provincia di Alessandria, Piemonte) e di Tortona (Provincia di Alessandria, Piemonte); inoltre fu costruita ex novo la stazione di Serravalle-Stazzano (Provincia di Alessandria, Piemonte).
Insomma, nella sostanza “senatori, deputati e rappresentanti di tutta la regione Piemontese” si riunirono solennemente affinché “gli interessi e i diritti della regione piemontese (fossero) salvaguardati” e protestarono per un tratto ferroviario e relative infrastrutture costruite interamente in territorio piemontese! Un Piemonte forse troppo periferico per essere considerato tale…
Ci concediamo una piccola appendice, perché passano una quarantina di anni e il copione non muta. Cambia caso mai il mezzo di trasporto, dal treno alle automobili!
Ma andiamo con calma.
Sul sito “www.Serravalle.it” si legge che nel 1951 fu costituita la S.p.A. per l’Autostrada Serravalle – Milano – Ponte Chiasso dagli Enti Pubblici: Province, Comuni, Camere di Commercio di Milano, Genova, Pavia e Como e dal Consorzio Autonomo del Porto di Genova (ora Autorità Portuale di Genova). L’intento degli Enti promotori era quello di collegare Genova alla Svizzera (Ponte Chiasso). Nel 1956 detta S.p.A. ottiene dall’Anas la prima concessione autostradale del dopoguerra, che prevede la costruzione e l’esercizio del tratto Tortona – Serravalle Scrivia, lungo 19,2 km ed inaugurato nel 1958. Negli anni successivi il tratto autostradale si sviluppa fino a Milano per poi, nei primi anni Novanta, progettare l’allargamento a tre corsie per ogni senso di marcia, tranne nel tratto tra il ponte sul fiume Po e l’interconnessione con la A21 Torino – Piacenza.
Tutto bene? Mica tanto… “L’Eco di Biella” di lunedì 8 ottobre 1956 e di lunedì 12 novembre 1956 parte con due articoli, tutto sommato abbastanza soft. Si parla di esigenze piemontesi e di collegamenti mancanti con l’erigenda via di comunicazione.
Fin qui siamo ancora sul filo del ragionamento e della discussione, ma la faccenda inizia a prendere toni surreali poco dopo. È sempre “L’Eco di Biella” a lanciare il suo grido di dolore, lunedì 5 novembre 1956. Sono i giorni dell’invasione sovietica dell’Ungheria, ma per i giornali di Novara, allora capoluogo di Provincia per Biella, il tema dei trasporti e dei collegamenti pare di non minore importanza: e così la Provincia novarese viene sollecitata a darsi una mossa per impedire che il Piemonte Orientale venga trascurato.
A ruota, arriva “L’Azione”, giornale di Novara, con il suo articolo del 13 ottobre 1956, che ci precipita dall’area della perplessità verso quella del dubbio.
Porca miseria! Anche Alessandria, la nostra Alessandria, il nostro capoluogo di provincia??!! Precipitiamo in una crisi d’identità. Ma noi (ingegnere) siamo o no in Piemonte? E… che Piemonte siamo?
Apriamo google maps e tiriamo delle righe! Essendo ubicati ad est di Torino e addirittura più ad est di Vercelli, che in questi articoli sembra strapparsi le vesti per la sua posizione più vicina al sorgere del sole, la risposta che verrebbe spontanea è che Serravalle si colloca effettivamente in Piemonte (ce lo insegnano fin dalle Elementari) e che sì, all’interno di questa Regione, effettivamente, noi siamo orientali. Ora non è che si voglia fare la gara a chi ha gli occhi più a mandorla fra noi e i novaresi, ma le coordinate geografiche parlerebbero chiaro: d’accordo Novara è più ad est di noi, Serravalle longitudine 08°51’36″72 E, Novara 08°37’4″44 E, ma non è che fra questi numeri si collochino maree di meridiani…
Niente da fare. Serravalle, e il basso alessandrino più in generale, è un lembo di terra che non sembra trovare posto nel cuore e nell’animo dei grandi centri di potere. Ci si passa sopra e basta, come con lo zerbino di casa. A costo di un bel quattro in geografia!