Via San Rocco n° 13
Quando ventenne accompagnavo Maurizio a casa, mi sembrava di essere costretto a percorrere gli stessi chilometri di quando da bambino i miei, in certi pomeriggi della domenica, decidevano che dovevo smaltire le calorie della merenda con una bella scampagnata “fuori porta”. Imboccavamo la strada per Tassarolo, e camminavamo a passo sostenuto sino a quando non arrivavamo davanti all’edicola di sant’Antonio, ci sedevamo sullo scalino che avrebbe dovuto servire da inginocchiatoio e finalmente, dopo lunga attesa, la mamma tirava fuori dalla borsa il panino con la fettina impanata che era stata avanzata a mezzogiorno.
Per riuscire ad arrivare a suonare il campanello del cancello di Maurizio, se nevicava o se era nevicato da poco, bisognava stare ben attenti a non cadere tanto era mal messa la strada e poi era quasi obbligatorio indossare dei Moon Boots visto che in quegli anni era impensabile che uno spartineve prendesse l’iniziativa di percorrere anche le strade della periferia. Per andarlo a chiamare non dovevamo provare a raggiungere una villetta abbarbicata al fianco di una montagna della Val Tournanche! Casa sua era semplicemente in fondo a via Abbazia, proprio davanti alla scuola materna che naturalmente all’epoca non era stata neanche ancora prevista e che nessuno mai avrebbe immaginato che si potesse relegare in un posto così distante dal centro abitato. Il Campo Sportivo dell’allora CSI Libarna era circondato da campi seminati a grano e viale Rimembranza, ammesso che si chiamasse già così, finiva proprio davanti al suo ingresso o meglio, nei pressi dell’abitazione di un signore che non tollerava le grida dei tifosi che la domenica andavano a vedere la partita e tantomeno i palloni che, quando venivano calciati troppo alti, invece di finire in porta scavalcavano il suo muretto e finivano sulle sue fragole o colpivano gli alberi carichi di frutta. Qualcuno “ben informato” diceva che quando riusciva a catturarne qualcuno non provasse nemmeno a restituirlo ma che si divertisse invece ad affettarlo con un coltello.
Il primo degli inquilini a traslocare dalla palazzina di via Monterotondo 1 dove abitavo anche io, era stato un signore del primo piano che era riuscito a farsi costruire una graziosa casetta proprio all’imbocco della “Strada della Volpe”. Nessuno sapeva esattamente dove fosse quel posto ed i pochi che erano riusciti a scoprirlo avevano sentenziato che solo uno sprovveduto avrebbe potuto relegare la moglie e le due figlie in quell’angolo dimenticato da Dio senza prevedere che sicuramente avrebbe potuto diventare un facile bersaglio per ladri e malviventi. Quel sentiero detto della Volpe probabilmente era lo stesso che, negli anni cinquanta, mio suocero o uno sei suoi fratelli – erano dei contadini che avevano la cascina sulla strada della Bollina – percorrevano la domenica mattina per arrivare sino al mercato dove salutavano gli amici e riuscivano persino a concludere qualche buon affare, visto che loro allevavano vitelli e in paese c’erano nove macellerie e persino il macello comunale. Approfittavano inoltre di essere a Serravalle per comprare dal “Cisculu” dell’ottimo affettato che avrebbe completato degnamente l’antipasto misto che solitamente preparava la domenica la mamma, ottima cuoca. Era la salumeria di Ravazzano in piazza delle Aie, e loro davano per scontato che neanche Gaspare di via Girardengo avrebbe osato competere col suo prosciutto ed il suo salame crudo. Una televisione locale, ma già molto nota nella zona, in Piemonte e in Liguria, con una certa insistenza ed immancabilmente tutte le sere, aveva cominciato a decantare la nuova e paradisiaca residenza San Rocco che sarebbe sorta nell’arco di pochissimi anni proprio a Serravalle Scrivia. Le notizie che trasmetteva lasciavano intendere che una grande Società Finanziaria aveva intenzione di trasformare i campi che erano adiacenti ad una certa collina, che tutti chiamavano il Castello e che era quello distrutto dai Francesi di Napoleone, in un complesso residenziale che nulla avrebbe avuto da invidiare a Milano 2. Nonostante le numerose riprese televisive e le foto dei progetti che venivano reclamizzati dai quotidiani, io proprio non riuscivo a localizzare dove avrebbe potuto sorgere quel Paradiso e mai avrei supposto che a Serravalle potesse esistere una località in grado di prestarsi ad una tal trasformazione.
Io mi sarei potuto giustificare per la scarsa conoscenza che avevo del paese in cui abitavo, portando come attenuante il fatto di essere un immigrato proveniente da Novi Ligure e di essere arrivato da pochi anni. Un astuto regista aveva fatto inquadrare dalle telecamere le colline che avrebbero fatto da cornice ai cantieri, ivi compresa la chiesetta di Montei. Approfittando di una bellissima e limpidissima giornata, aveva fatto inserire nella ripresa come prima sequenza la catena innevata delle Alpi, aveva fatto una panoramica che partiva dal Monviso e arrivava sino al massiccio del Montebianco e poi aveva fatto filmare anche il Preappennino che comprendeva il monte Tobbio, monte Spineto e la valle della Scrivia. Aveva anche messo furbescamente bene in primo piano i tetti spioventi dei primi due palazzi in costruzione che avrebbero dovuto essere considerati i prototipi di quelli che avrebbero dovuto far parte di un grande villaggio simile a quelli che si vedevano tra le montagne della Valle d’Aosta. Era tanto accurata la ripresa e talmente rimaneggiate le foto che nessuno avrebbe potuto immaginare che un simile paradiso potesse venir realizzato in quel di Serravalle.
L’amico Aldo, che da novello sposo era venuto ad abitare proprio sotto di me ed in quell’appartamento ci era rimasto per tutto il tempo che era stato necessario per farci nascere una femminuccia e dopo qualche anno anche un maschietto, aveva deciso di traslocare perché aveva trovato un appartamento più consono ad una famiglia di quattro persone. Aveva deciso di andare a stare proprio nel nuovo ed enorme palazzo bianco, col tetto spiovente, che era stato costruito nel neonato viale della Rimembranza, di fronte alla Cascina San Rocco. Entusiasta del suo acquisto non appena aveva terminato di arredare tutte le camere, ci aveva invitato ad andarle a vedere. Quella enorme costruzione tra i campi mi aveva dato subito l’impressione che dovesse rimanere la solita cattedrale nel deserto, nonostante avesse accolto già diversi inquilini e, grazie alla sua imponenza, avesse contribuito a delineare il tracciato di quello che sarebbe diventato il viale della Rimembranza. Naturalmente, essendo l’appartamento al terzo piano lui adesso poteva godere di un panorama che non era certo paragonabile a quello che riusciva a vedere dal secondo della casa che aveva lasciato. Lui dal poggiolo della cucina di via Monterotondo 1 si era trovato ad avere in primo piano insieme alla biglietteria dell’autostrada e il distributore della BP, delle montagne di sale da spargere in caso di neve o gelo su tutta l’A7 e, come sfondo, la massicciata su cui nel 1851 avevano posato i binari della ferrovia Torino Genova. Ora dalle finestre poste a nord vedeva la cascina San Rocco con quasi tutti i suoi campi ancora coltivati a grano, il parco della casa patronale circondata da cipressi alti almeno venticinque metri e come sfondo tutta la strada costiera che congiungeva la chiesetta di Montei al nuovo rione di Ca’ del Sole che si poteva considerare oramai completato. Quando si affacciava da quelle a sud poteva tranquillamente dire di avere davanti tutto il paese a partire da Porta Genova fino all’Autostrada: era un’autentica tavolozza ricca di colori tutti diversi tra loro, composta dai tetti e dai muri delle case e dei palazzi. Naturalmente poteva vedere tutto il paese di Stazzano col suo seminario e Monte Spineto e intravvedeva persino la torretta della villetta di Maurizio.
La Finanziaria che avrebbe dovuto dar vita alla nuova Milano 2 dicevano che avesse dichiarato bancarotta ma qualcuno per fortuna aveva capito che era solo quella la zona che permetteva al paese di espandersi; infatti sulla sinistra del palazzone bianco una ruspa stava già scavando e si capiva che erano delle fondamenta e che, dalle loro dimensioni, non potevano essere sicuramente quelle di una villetta monofamiliare. Quelle buche riempite di cemento armato, avrebbero retto il palazzo rosa dal tetto spiovente in cui io e mia moglie insieme a papà e la mamma avevamo scelto i due appartamenti centrali del secondo piano. Erano caratterizzati da camere molto grandi che si adattavano perfettamente ad una famiglia allargata quale era la nostra composta dai due nonni, due figli e due genitori (giovani). Per comunicare tra di noi infatti avevamo voluto ricavare un passaggio in una parete per realizzare un unico grande appartamento. Nello spiazzo antistante, dove i miei bambini per un anno intero si erano divertiti a fare del ciclocross sulle montagnette, che poi erano semplicemente dei cumuli di terra creati dalle ruspe che avevano realizzato le fondamenta della primo palazzo rosa, era stata edificata una palazzina sempre rosa realizzata con lo stesso stile di quella grande che mi stava ospitando e, dopo qualche anno, era arrivata anche la sua gemella più bassa di un piano. Anche il parco della villa padronale della cascina San Rocco si era ridotto lasciando il posto a due villette che, insieme alle due dirimpettaie palazzine rosa, avevano fatto nascere via San Giorgio. Il periodo del ciclocross era purtroppo terminato definitivamente ma… contemporaneamente erano cresciuti anche i miei figli che non si divertivano più, purtroppo, con le mountain-bike o con le BMX. Non era sorta la Milano 2 con le piscine, i campi da golf e il galoppatoio ma il quartiere San Rocco poteva ugualmente fregiarsi di dar ospitalità al campo di calcio con annesso campetto per gli allenamenti, ad una pista da pattinaggio con piccolo parco giochi, al palazzetto dello sport, a due campi da tennis, al grande parco giochi e soprattutto alla scuola materna e alla scuola primaria di primo grado e di secondo grado, forse di più e più importante di quanto fosse stato previsto dalla fantomatica Finanziaria.
La stradina di campagna che dal campo sportivo portava alla casa di Maurizio era stata trasformato in una larga strada a doppio senso di circolazione , viale Rimembranza, e lo stesso era avvenuto per l’ ex stradina in salita diventata via San Rocco, che era stata resa larghissima ma era rimasta a senso unico per limitare il traffico davanti alle scuole. Purtroppo la vecchia via Abbazia non era stata allargata come forse avrebbe desiderato Maurizio, probabilmente era stato fatto intenzionalmente per dare più spazio alla realizzazione della scuola materna e delle case popolari. Dopo almeno sessanta anni di abbandono, la “ strada delle Volpi è tornata ad essere praticabile: è rinata per essere un sentiero pedonabile che congiunge i due quartieri nuovi, il San Rocco e Ca’ del Sole. Ora che l’ho percorsa non ho più dubbi, è proprio quello che permetteva a mio suocero giovane di portare a casa l’antipasto tutte le domeniche mattina. Una curiosità a cui tengo moltissimo e che mi preme spiegare scendendo da via San Rocco, sul muro in cemento armato davanti al cancello delle scuole, si notano ancora delle tracce di alcuni vecchi murales di cui uno rimasto completamente bianco. Li aveva ideati e fatti dipingere dai suoi allievi (mia figlia era una di loro) il professor Lorenzo Boioli che, grazie all’interessamento dell’allora Presidente del Consiglio di Istituto, era riuscito abilmente a far pagare la fattura dei colori alla Banca presso la quale era impiegato. Con quel bellissimo lavoro aveva insegnato ai bambini a dipingere artisticamente i muri e soprattutto aveva voluto far toccare con mano ai Serravallesi quanto fossero bravi i loro figli. Lorenzo aveva voluto lasciare uno riquadro bianco per permettere ai grafomani di sfogarsi tranquillamente evitando di andare ad imbrattare gli altri muri in paese. Sono al corrente di quel fatto perché ero anch’io membro di quel Consiglio e mi piace che tutti lo debbano conoscere. Nessuno oggi deve supporre che quel muro sia stato imbrattato con delle vernici spray da dei monelli o peggio…da dei vandali e speriamo che magari qualche anima buona si decida di restaurare un pezzo della storia delle scuole Martiri della Benedicta. Con questo termino i trittico sulle strade che mi hanno accompagnato per almeno sessanta anni e che ancora oggi mi vedono più volte al giorno portare il cagnino Pluto a far pipì, e… si intende che io la cacca la raccolgo!
Marco Debrevi
NB. Quando provo ad affrontare certi argomenti lo faccio con lo spirito del nonno che racconta al nipotino di quando era giovane e non con quello dello storico obbligato a citare date, documenti ufficiali e testimonianze.
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