Giancarlo Bagnasco, da Stazzano al Grifone rossoblu
Agli albori di Chieketè, abbiamo pubblicato una biografia di Giancarlo Bagnasco, l’unico calciatore professionista stazzanese. Ora ampliamo quelle informazioni con una intervista in cui il calciatore di Genoa, Messina, Alessandria, rievoca le tappe della sua carriera
Il mio primo «ingaggio»? Una latta d’olio d’oliva Il secondo? Un pezzo di parmigiano”. Lo raccconta sorridendo seduto al tavolino dello storico bar delle bocce di Stazzano. La sua Stazzano. Giancarlo Bagnasco, 84 anni, in paese da tutti soprannominato “Barone”, è una figura storica nel panorama sportivo locale. Uno dei pochissimi calciatori del territorio a essere approdato in Serie A. Non una semplice comparsa, anzi. Bandiera del Genoa inizio anni Sessanta, tre campionati a Messina e il ritorno a casa. Oltre una decina d’anni a duellare con le ali sinistre di tutta Italia, lui terzino destro veloce e arcigno con il Grifone nel cuore.
I colori di una vita
Giocavo nella Serravallese, avevo sedici anni. Unica compagine piemontese a disputare il campionato ligure. Che avventure! A Ponente i campi erano terra e pietra. Se cadevi ti facevi male per davvero. Le trasferte a Levante, invece, erano meno complicate da quel punto di vista. Santa Margherita, Sarzana, Spezia. Partivamo in treno alle 6 del mattino. Quell’anno, una delle ultime partite la giocammo contro il Pontedecimo. All’epoca ero ancora ala destra. Segnai un gol, ci salvammo e i nostri avversari ricevettero, come «regalo», proprio il sottoscritto.
Scherzi del destino, come quello legato a una particolare tonalità di colori. Il rosso e il blu. I colori della Serravallese (e ora del Libarna) identici a quelli che campeggiano sulle maglie del Genoa.
Due giorni a settimana in treno fino al campo di allenamento subito dopo la scuola. Studiare era diventato impossibile, ma mia madre non voleva sentire ragioni. Vennero a casa mia i dirigenti di Samp e Genoa e lei fu inflessibile. “Ne riparliamo quando si diplomerà”. Litigammo, ma alla fine riuscii a diplomarmi ragioniere senza perdere un anno.
“Zigo”, Meroni e i duelli con Jair
L’approdo in città è solo rimandato. Lo contatta la De Martino, che oggi chiameremmo Primavera. 1959, Bagnasco ha 19 anni e, intanto, si è trasformato in terzino destro. Il ruolo di una vita.
Me le ricordo bene le partitelle del mercoledì contro la prima squadra. Marcavo Paolo Barison. Centravanti, fisico possente e impossibile da contrastare sui calci d’angolo. In velocità non mi scappava, sono sempre stato rapido, ma sui corner dovevo tirarlo per la maglietta, altrimenti mi anticipava. Io cattivo? Mai. Menavo, come tutti, perchè allora era una lotta, ma non ho mai avuto screzi con compagni di squadra e avversari.
E a proposito, mentre gli amici del bar passano lanciandogli un saluto al volo, vale la pena ricordarne qualcuno.
Jair il rivale più tosto. Difficile da marcare, mi faceva impazzire. Una volta a Milano dovetti usare le maniere forti, Lo Bello se ne accorse e me lo disse durante un’azione. La prossima volta la mando fuori. Un altro che mi ha fatto soffrire era Stacchini della Juve. Ero giovane, alle prime partite da titolare e lui sbucava da tutte le parti.
Di giocatori di livello, in quella Serie A, era pieno. Tutt’altra storia rispetto ai nostri giorni. Tempi di sopravvalutati e idoli che competono per qualche like in più.
E che dire dei compagni di squadra? Zigoni arrivava dalla Juve. Si presenta il primo giorno e dice «Io sono più forte di Sivori!» Gianfranco era matto. Se si alzava di luna storta non combinava nulla in campo. Se invece era in giornata….peccato fosse discontinuo. Gigi Meroni, invece, era di un altro pianeta. La palla non si staccava mai dai suoi piedi. Sembrava fosse incollata.
Un Garrincha italiano, scomparso troppo presto e Giancarlo, nel ricordare la sua fine, quasi si commuove.
Il migliore con cui abbia mai giocato. Altro personaggio epico. A scuola aveva imparato a cucire e si disegnava lui stesso gli abiti. In tasca, cascasse il mondo, sempre un mazzo di carte, perchè ogni momento era buono per una partita. In campo, gli avversari venivano ubriacati dai suoi dribbling. Soprattutto nell’anno del record.
Per i tifosi rossoblu, un sinonimo del campionato 1963/64.
Il record e la porta inviolata
Ottavo posto, miglior piazzamento del dopoguerra fino alla stagione ‘90/91. “In difesa per certi periodi della stagione eravamo insuperabili. Davanti, con Bean, Piaceri e Gigi, spaventavamo i nostri avversari. Bean aveva già fatto faville l’anno della promozione dalla B alla A, in coppia con Eddie Firmani”. In sei anni di casa a Marassi, “sempre pieno quando c’era da sostenerci”, il ragazzino di Stazzano ha tempo anche di cambiare ruolo. No, niente ritorno all’ala. Si va in porta. “Genoa – Foggia. Una battaglia sin dal primo minuto. Andiamo in vantaggio subito, grazie a un tiro di Vanara, alessandrino di Fubine. Calcio d’angolo per loro. Da Pozzo viene strattonato e tira un pugno al suo rivale. Rosso. Momenti di panico. Ci guardiamo tutti in faccia. E ora chi va in porta?” Un sorriso, prima della risposta. “Vado io!” afferma con spensieratezza. Perché, forse, il calcio non era ancora questione di vita, di morte e di troppi milioni come adesso. “Feci il mio dovere e mi tuffai anche su un loro tiro. A fine gara Oronzo Pugliese, allenatore del Foggia, era nero di rabbia”.
Domanda secca, curiosità di un amante di questo sport troppo giovane per ricordarsi di quella decade. Il più forte di tutti?
Rivera. Un’intelligenza calcistica fuori dal comune. Aveva debuttato in Alessandria giovanissimo, ma era impossibile non vedere in lui le doti del fuoriclasse. Il dualismo con Mazzola? Il capitano dell’Inter era più centravanti e aveva gente attorno che lo mandava in porta con il pallone. Jair, Corso, Peirò. L’Inter era grande per davvero quegli anni. Anche se, come tutte le big, era circondata da quella sudditanza che è sempre un po’ rimasta in questo mondo.
La data fatidica è il 5 gennaio 1964. A “San Siro” scende la tipica nebbia milanese. Non si vede nulla. “E passiamo in vantaggio. I nerazzurri attaccano, ma teniamo duro”. Nel tunnel al rientro negli spogliatoi pare si sentano certe voci. Qualche giocatore afferma che la partita non sarebbe finita. “Nel secondo tempo i padroni di casa assediarono l’arbitro per fare in modo che sospendesse la gara. E infatti, andò così. Con un piccolo particolare. All’epoca non si riprendeva dal momento della sospensione, ma dal primo minuto”. Risultato. Inter batte Genoa 1-0 con gol di Milani. Con tanti saluti al sogno dell’impresa.
Messina, i grigi e gli anni d’oro dei tornei
Ora sarebbe impensabile, ma ha idea di quanti di noi andavano a giocare i famosi tornei estivi? A Mede di Lomellina, una sera, c’erano cinquemila persone sugli spalti. E non erano amichevoli tra squadre di Serie A. A volte si trattava di sfide tra rioni, frazioni, quartieri o bar cittadini. Per un match pagavano anche centomila lire. Negli Anni Cinquanta e Sessanta tanti giocatori di A e B prendevano parte ai tornei. Fino a che Fulvio Bernardini, allenatore della Samp, non si rese conto che uno dei suoi, Giancarlo Salvi, partecipava spesso. Lo multò e da quel momento tutti fecero attenzione affinché i ragazzi non andassero a giocare.
Si dice che molti di loro si iscrivessero sotto falso nome, per evitare squalifiche. Altro calcio, difficile da raccontare a chi vive di highlights sul telefonino. Da Bosio a Stazzano sino alle grandi città, partite in notturna all’ultimo sangue, con lotte in campo e…sugli spalti. Per la gloria e per i premi. Quando l’estate finiva, però, si ricominciava.
“E quando il Genoa retrocesse andai al Messina. Tre anni in B. A giocare nei campi caldi del Sud, dove il pubblico era a cinque metri dal prato e se ti avvicinavi a recuperare una palla in trasferta ti tiravano di tutto. Noi, invece, eravamo super protetti. Se vincevamo eravamo degli eroi, se perdevamo era colpa del mister”. Ricorda con il suo sorriso, mentre saluta un’altra gloria del calcio locale, il serravallese Beppe Bailo. “Lui, Tommaso Talarico ed Emilio Brugna sono i più forti che abbia mai visto in zona. Un peccato, tutti e tre avrebbero meritato la massima serie”. Il triennio sullo stretto si conclude per motivi familiari. “Volevo avvicinarmi a casa, firmai per i grigi e sarei rimasto oltre l’anno di contratto, ma ebbi un diverbio con il presidente Sacco. Un altro personaggio da romanzo. Intimo amico di Andreotti, potentissimo e duro, mi lasciò fuori squadra nonostante i buoni uffici dell’allenatore Manente, che era stato un grande difensore della Juve”.
E allora Borgosesia, Novese, Arquatese, Libarna, Vignolese e il finale a Borgo Lavezzaro, tra le risaie novaresi. Ricordi? Troppi per non sforare le battute di una pagina. “Rivalità con la Samp? Certo, ma fuori dal campo eravamo amici. Noi scapoli ci ritrovavamo sempre una sera a settimana a cena al ristorante Mentana. Blucerchiati e Rossoblu, tutti insieme. E difficilmente scorderò quelle amichevoli di lusso contro Manchester e Valencia”. Rimpianti? “Uno: durante un Toro – Genoa. Nereo Rocco, simpaticissimo e amante del buon vino, dopo un eroico 0-0, disse ai giornali che gli ricordavo il Virgilio Maroso del Grande Torino. Il giorno dopo” chiude il vecchio “Barone” prima di salutare, “i miei compagni scherzarono su quel titolo. Giancarlo, hai letto? Si vede che il Paròn ieri era di nuovo ubriaco!”
ma l’Emilio Brugna di cui parla era arquatese ? Veniva chiamato “Mio” ? Giocava anche a tennis con “Tapioca”, mitico giornalaio di Arquata ? E purtroppo è morto nel frattempo?