Tina Lera Buganè, MARZABOTTO
Si è spenta domenica 20 ottobre, nella sua casa di Serravalle Scrivia, dove risiedeva da molti decenni. È stata giornalista, firmando articoli per le riviste della galassia Rizzoli e per il quotidiano genovese “Il Corriere Mercantile”, scrittrice e poetessa.
Era nata a Marzabotto nel 1928, ma se ne era andata molto presto, insieme alla famiglia, protagonista di uno dei tanti cicli migratori che hanno spopolato le campagne e le montagne italiane e che l’hanno portata, infine, a Serravalle.
Aveva così potuto evitare l’orrore dell’eccidio che i nazifascisti perpetrarono in paese a inizio autunno 1944, ma alla memoria delle 1.830 vittime di quel tragico episodio fu sempre molto legata: ad esse è dedicato il suo romanzo Sole nero a Casaglia, che vide la luce, dopo una intricata vicenda letterario-editoriale, nel 1978 (con riedizione per Araba Fenice nel 2004, ancora reperibile in libreria e online).
Alla strage di Marzabotto ha dedicato anche una poesia, vincitrice di un concorso nazionale indetto nel 1963 da Poste e Telegrafi, che pubblichiamo qui per ricordarla, in attesa di proporre, nel prossimo futuro, una sua esaustiva biografia e altri suoi scritti.
MARZABOTTO
Sono tornata al mio paese
e alle donne nere sedute sulle scranne dicevo:
sono Santina.
Ma gli occhi vacui nei vizzi volti d’antiche saracene
m’interrogavano remoti.
Sono Santina, sono di qui.
E loro guardavano la mia veste di seta
arrotolandosi schive il grembiule sui fianchi.
Sì, sì, dicevano,
mentre la bocca sdentata sul mento aguzzo
restava vacua come gli occhi.
Non ricordate dunque? Sono nata nella casa d’Anzlò.
Volevo essere di loro,
volevo si vedesse subito che i loro morti erano miei.
Sono tornata sulle rive del Setta in punta di piedi
per ascoltare le voci di allora,
le risa,
che porto dentro intatte.
Seduta sui sassi calcinati
ho guardato le ragnatele dondolarsi tra i gelsi impolverati,
ho guardato i giunchi snelli
che s’aprono, ora, soltanto al vento.
Dove siete volti della mia infanzia?
Lo so, lo so.
Li hanno raccontati i vostri occhi mori spalancati d’orrore.
i corpi legati a grappoli sulla montagna dei morti.
Perché? Perché?
Vorrei strappare le mie vesti di seta,
affondare tra questi sassi
come in nuovo grembo che mi rigenerasse;
non sapere perché, poi,
le vostre voci non sono scese dalla montagna di fuoco.
Quella cosiddetta “civile” è la forma più complessa di poesia, talmente è facile scivolare nel retorico e nel patetico. Scogli d’altura letteraria che credevo superati soltanto da Calamandrei e da Pasolini. Solo da loro. Poi ho letto i versi di Tina Lera.
poesia bellissima, scritta col cuore che è rimasto attaccato a quella gente e a quel paese, conscia dello strazio subito
Questi versi camminano con Santina, tornano a casa, interrogano i volti, reclamano diritto di cittadinanza, di storia di appartenenza. Anche di un dolore atroce, reclamano, la propria parte. A quella terra chiedono di rigenerare la vita, la terra che l’ha custodita per così tanto tempo: le risa e le voci intatte, ora la custodisce ancora e sempre
È una poesia …. stupenda !!!
Grazie!!