PONTE ROTTO, di G.B. Lazagna
L’esperienza partigiana è stata fonte d’ispirazione per una sterminata produzione di volumi memorialistici assai diversi per impostazione e valore, dalla grande letteratura a scritti di non eccelsa qualità e di carattere autoreferenziale.
In questo panorama variegato, Ponte rotto di Giambattista Lazagna, occupa un posto particolare: è stato pubblicato in molte edizioni e ha conosciuto uno straordinario successo legato soprattutto alla vicenda politica e processuale del suo autore durante gli anni di piombo.
Tuttavia, queste motivazioni di carattere “militante”, hanno confinato in secondo piano altri aspetti di straordinaria importanza del volume, che secondo Italo Calvino si colloca tra gli scritti “d’indiscutibile valore morale e di una capacità naturale d’emozione”, pregi che caratterizzano molta della memorialistica scritta “a caldo” subito dopo la liberazione1.
Prima questione di notevole rilievo: Ponte rotto, che narra le vicende della resistenza tra Genova e la Valle Scrivia, nel territorio partigiano dove operava la Divisione partigiana garibaldina Pinan-Cichero, fu uno dei primissimi volumi dedicati alla Resistenza ligure-alessandrina ad essere dato alle stampe. Uscì, come ricorda lo stesso autore, che all’epoca lavorava presso la redazione genovese de l’Unità, “il 28 febbraio 1946, con la prefazione di Giovanni Serbandini (Bini) e la copertina del pittore Renato Cenni, col patrocinio dell’allora settimanale «Il Partigiano» stampato a Genova in continuazione dell’omonimo giornale Partigiano”.
Fu scritto dunque nei mesi immediatamente successivi alla Liberazione e rappresenta quindi una testimonianza quasi in presa diretta della vicenda partigiana sull’appennino ligure-alessandrino.
Il secondo aspetto, ancora più importante, riguarda la natura stessa del libro. Ponte Rotto è considerato un libro di memoria autobiografica: lo stesso Calvino, come abbiamo visto, lo colloca tra i più significativi esempi di diaristica partigiana e lo definisce “un bel diario”. In realtà l’autore scrisse sotto forma di memoria personale un testo assai più ambizioso e complesso. Proprio la scelta stilistica di Lazagna, che finì con l’ingenerare anche qualche incomprensione all’interno del mondo partigiano, è probabilmente responsabile di un interpretazione riduttiva del testo. Vale la pena dunque ricordare brevemente come Ponte Rotto fu concepito e realizzato dal suo autore.
Giambattista Lazagna apparteneva a una delle più note famiglie dell’antifascismo genovese; il padre, Umberto, liberale, partecipò anch’egli alla resistenza e divenne capo di stato maggiore della VI Zona operativa ligure e, come tale, fu tra gli estensori dei piani per l’insurrezione di Genova.
Lazagna, avvicinatosi al Partito comunista negli anni dell’Università, divenne Vice Comandante della Divisione Pinan Cichero e dopo la Liberazione fu tra i principali dirigenti dell’ANPI genovese e tra i fondatori dell’Istituto per la storia della resistenza in Liguria, uno dei primi a nascere in Italia e custode di un ricchissimo archivio dove sono conservate le carte di tutte le formazioni operanti in Liguria e nel Basso Piemonte. Grazie a questi incarichi, prima di stendere il suo libro, poté consultare i fondi documentari delle formazioni partigiane e dei Cln, memorie partigiane, archivi personali. Di questa documentazione fece largo uso nella stesura del volume, raccontando grazie ad essi anche vicende ed episodi che non appartenevano alla sua esperienza personale.
Negli anni Novanta, nel corso di numerosi incontri con Lazagna, ho avuto modo di discutere con lui a proposito della stesura del volume e di consultare il materiale preparatorio e gli appunti da lui scritti in vista della redazione finale: queste carte hanno tutte le caratteristiche tipiche del “lavoro dello storico”. La scelta dello stile diaristico per la stesura del libro fu dovuta probabilmente ad un insieme di fattori: in particolare, Lazagna, che non era uno storico, si sentiva sicuramente più a suo agio con la cifra narrativa, che non lo obbligava a confrontarsi con apparati di notazioni, lunghi e probabilmente noiosi per il pubblico a cui la pubblicazione si rivolgeva; inoltre, l’urgenza di lasciare una testimonianza diretta della propria esperienza era particolarmente sentita tra i partigiani, e anche il Vice Comandante della Pinan-Cichero non volle rinunciare a raccontare la sua storia in prima persona, lasciando spazio nelle pagine finali anche al suo disincanto per il rapido affievolirsi delle speranze maturate nei mesi della vita partigiana.
Il lavoro di ricostruzione storica presente in Ponte rotto resta tuttavia particolarmente evidente nella cura con cui vengono minuziosamente datati i singoli episodi di guerriglia, e nelle pagine in cui Lazagna ricostruisce i movimenti insurrezionali, facendo ricorso ad uno studio attento delle relazioni redatte dai diversi distaccamenti che operarono tra Genova e Tortona.
Anche se Lazagna scelse di scriverlo in forma di diario personale, Ponte rotto non è dunque solo un libro di memorie, ma, in qualche modo, anche un saggio di storia: anzi, il primo volume che affronta la storia della Resistenza ligure-alessandrina con una attenta analisi di fonti documentarie di provenienza partigiana.
Il titolo del libro si ispira al Ponte del Carmine, situato alle porte di Pertuso, frazione di Cantalupo Ligure, fatto saltare dai partigiani il 3 ottobre 1944 per impedire ai nazifascisti di raggiungere l’Alta Valle Borbera (l’episodio segnò in qualche modo uno spartiacque nella storia della resistenza del tortonese e del novese, e consentì nelle settimane e nei mesi successivi di dare vita all’esperienza della Zona Libera dell’Alto Tortonese.
Nel suo libro, Giovanbattista Lazagna dedicò diverse pagine alla Battaglia di Pertuso, durante la quale, nell’agosto del 1944, i partigiani resistettero per cinque giorni agli attacchi di nazisti e fascisti.
Ampio spazio è dedicato anche alle vicende partigiane occorse in Valle Scrivia, e in particolare a Serravalle Scrivia, nei giorni della Liberazione. Serravalle era infatti una località strategicamente di grande importanza a causa dell’elevato numero di militari che vi erano dislocati: più di 300 uomini tra nazisti e fascisti.
Nonostante siano trascorsi quasi ottanta anni dalla sua prima pubblicazione, Ponte Rotto resta un testo fondamentale da cui partire per ricostruire la vicenda della Resistenza nelle vallate della VI Zona ligure dove operò la Pinan-Cichero.
L’ultima edizione di Ponte Rotto, ancora facilmente reperibile in commercio, è dovuta alle Edizioni Colibrì nel 2005 (ultima ristampa 2019).
- Italo Calvino, La letteratura italiana sulla Resistenza, In “Il movimento di Liberazione in Italia”, 1949, fasc. 1, pp. 40-46 [↩]
Pingback: LA LIBERAZIONE di SERRAVALLE, nelle pagine di “Ponte Rotto” di G.B. Lazagna – Chieketè