Antifascismo e resistenzaOltregiogo - GaviSeconda guerra mondiale

La fuga del generale Emilio Magliano dal forte di Gavi

di Stefano Denegri (†) e Sergio Pedemonte

«Caro Stefano, due settimane fa ho mandato mie notizie all’avvocato Triulzi, pregandolo di comunicare le notizie stesse a lei ed a Rondanina. Non so se la mia lettera, date le difficoltà del servizio postale sia giunta a destinazione e perciò con questa mia mi faccio vivo direttamente presso di lei, nella speranza che, fra non molto, mi sia dato di venire ad abbracciarvi e dirvi ancora una volta tutta la mia gratitudine per ciò che avete fatto per me in occasione della mia evasione dal forte di Gavi Ligure. Come forse saprete, io rimasi a Torino presso quel Comando Militare Regionale partigiano piemontese fino alla fine di agosto, raggiungendo poi a piedi Cogne in Valle d’Aosta, dove assunsi il comando partigiano della valle. A posteriori debbo dire che sarebbe stato meglio per me attuare il primitivo mio disegno che era quello di recarmi a Genova per cercare di diventare il capo militare partigiano di quella città. Con il mio arrivo in Valle d’Aosta, i nazifascisti arrestarono mio figlio e mia nuora, che io riuscii a far liberare dopo 40 giorni di prigionia, mediante scambio con prigionieri tedeschi. Il 28 ottobre, trovandomi a Cervinia, fummo attaccati da cinque colonne tedesche, le quali ci chiusero ogni via di uscita dalla valle, obbligandoci a sconfinare in Svizzera. Avrei dovuto ritornare in Italia, su richiesta del generale Cadorna, nella prima decade di febbraio c.a. per assumere a Milano il Comando Regionale partigiano della Lombardia, ma per ragioni indipendenti dalla mia volontà, fui fatto partire soltanto il 24 aprile c.a., giungendo a Milano proprio il giorno dell’insurrezione. Mi trovo ora da circa un mese a Roma in-via Priscilla 98, e sto brigando per poter essere mandato a Genova. Spero che questo mio desiderio possa essere soddisfatto e nell’attesa di potervi vedere, mando a lei, alle sue cognate, a sua moglie, a Rondanina e all’avvocato Triulzi il mio più affettuoso saluto».

Questa lettera, datata 20 giugno 1945, era stata scritta dal generale Emilio Magliano a Stefano Ferretto, per informarlo di quanto era avvenuto dopo la sua evasione dal forte di Gavi il 14 luglio 1944.

Emilio Magliano nacque il 25 giugno 1893 a Calvignano (PV) da Giovanni Battista e da Beatrice Pareto; nel 1912 conseguì la licenza liceale nel Regio liceo “C. Colombo” di Genova e al termine degli studi decise di intraprendere la carriera militare. Negli anni 1912-1913 frequentò i regolari corsi dell’Accademia Militare, il 4 gennaio 1914 venne nominato sottotenente ed assegnato al 3° reggimento alpini di Torino. Nel settembre 1915 nel battaglione “Susa” venne promosso tenente e nel maggio 1916 capitano. Dette prova di coraggio e di quelle capacità che a seguito di una brillante azione, al comando di una compagnia, il 19 maggio 1917 gli valse la medaglia d’argento al valor militare. Nel maggio 1928 assunse il comando del battaglione “Intra” del 4° reggimento alpini e il 16 aprile 1934 fu promosso al grado di tenente colonello. Il 1° giugno 1935 venne trasferito alla 3a divisione CC.NN. “21 aprile” ed il 7 settembre 1935 si imbarcò per l’Africa Orientale, dove rimase fino al 12 dicembre 1936, periodo durante il quale diventò Capo di Stato Maggiore della divisione, ottenendo la medaglia di bronzo al valor militare. Rientrato in Italia, dal 1939 al 1940 fu comandante del 4° alpini; il 22 ottobre 1940 partì per l’Albania, dove fu nominato direttore dei trasporti dell’Intendenza Superiore. Il 7 dicembre 1942 fu promosso al grado di generale di brigata così che nel 1943 venne al comando divisione alpina “Pusteria” dove rimase fino all’8 settembre dello stesso anno, data in cui fu catturato dai tedeschi a Grenoble.

Nelle prime ore del 9 settembre Emilio Magliano venne convocato presso il comando della 157a divisione di riserva tedesca, dal generale Sodenstern e trattenuto prigioniero, mentre reparti germanici, circondato il comando della divisione “Pusteria”, lo attaccavano e ne occupavano la sede. Inviato in prigionia a Vittel (Germania), dopo alcuni mesi fu trasferito in Italia e convocato dal generale Rodolfo Graziani a Salò, dove si cercò di convincerlo ad aderire alla causa della Repubblica Sociale Italiana ed a tale scopo addirittura portato al cospetto di Benito Mussolini davanti al quale rinnovò il rifiuto. Per tale motivo venne internato il 15 aprile 1944 nel forte di Gavi, adibito in quel periodo a carcere militare, sotto la sorveglianza di soldati italiani della R.S.I., insieme ai generali Luigi Efisio Marras, Colombini e il contrammiraglio Carlo De Angelis, addetti militari a Berlino rispettivamente per l’Esercito, Aviazione e Marina, unitamente al colonnello Meucci e ad altri ufficiali superiori del R.E.

Non appena i familiari ebbero la notizia della sua cattura e detenzione, contattarono attraverso la signorina Fanny, sorella del generale, un amico di famiglia, l’avvocato Giovanni Guido Triulzi di Genova, pregandolo di trovare il modo di farlo evadere al più presto. L’avvocato Triulzi, contattò a sua volta Armando Rondanina, che conosceva il generale; i due decisero di trovare delle persone fidate unitamente alle quali poter organizzare un piano d’evasione: vennero così coinvolti i fratelli Stefano e Costante Ferretto di Isola del Cantone, amici di famiglia, i quali si dimostrarono disponibili. I quattro si misero subito al lavoro, decidendo per prima cosa di avere dei contatti con il generale; l’unica occasione per avvicinarlo, era presso l’hotel “Il Cavallino Bianco” di Gavi, dove egli si recava periodicamente sotto scorta, per fare il bagno, accompagnato dal suo attendente. Stefano Ferretto e Armando Rondanina. Fingendosi viaggiatori di passaggio, si recarono più volte presso quell’hotel, riuscendo a parlargli e quindi ad informarlo del loro piano. Vi furono alcuni problemi, tra i quali quello di far avere al generale le corde e tutto ciò che gli sarebbe servito per calarsi dalle mura del forte; ben presto si trovò la soluzione: Stefano Ferretto nascose il materiale in una cesta di vimini che poi riempì di albicocche. Recatosi a Gavi, la nascose all’interno di un confessionale del locale convento dei frati, dove successivamente venne ritirata dall’attendente del generale, il quale fortunatamente riuscì a portarla all’interno della prigione, offrendo addirittura alcuni frutti ai soldati di guardia. Giunse finalmente il 14 luglio 1944. Stefano Ferretto ed Armando Rondanina dovevano raggiungere a piedi Gavi, passando attraverso i boschi, in quanto le strade erano sorvegliate da soldati tedeschi e fascisti; venne allora deciso di trovare una persona fidata che conoscesse la via più breve e sicura per arrivare e tornare. In mattinata i due si misero in cammino e giunti nella frazione di Borlasca, contattarono un contadino del posto, Alessandro Persano (Sciandrin), al quale venne chiesto di accompagnarli fino a Gavi con la scusa che dovevano concludere degli affari. Il Persano, anche se perplesso, accettò e i tre dopo diverse ore di cammino, giunsero nelle vicinanze del forte. Finalmente dopo una interminabile e nervosa attesa, da un terrazzino del forte, videro la sagoma di un uomo che si stava calando con una corda nel sottostante terrapieno; quando l’uomo fu a terra i tre si avvicinarono chiedendo la parola d’ordine, precedentemente concordata: “Vortice” fu la risposta. Era il generale Magliano.

L’albergo Picollo di Isola del Cantone dove Magliano fu alloggiato

Aiutati dall’oscurità i quattro si avviarono verso Isola del Cantone e verso le prime ore del mattino del giorno seguente, giunsero in paese. Come stabilito nel piano, egli venne subito condotto all’interno dell’albergo “Picollo”, dove venne nascosto in una camera al primo piano; ad attenderlo vi erano la nuora Clotilde, moglie del figlio Giorgio e la proprietaria dell’albergo, Guglielma Picollo, cognata di Stefano Ferretto. L’albergo “Picollo” dal settembre 1943 era stato occupato dalle truppe tedesche della 76a divisione, il cui comando si trovava a Novi Ligure e a Serravalle Scrivia, con il compito di sorvegliare la camionale e vigilare una delle vie di accesso al Piemonte. Il distaccamento era comandato da un capitano, che aveva i suoi uffici nei locali siti al piano terreno dell’albergo. L’aver quindi utilizzato l’albergo “Picollo” come nascondiglio per il generale, era altamente rischioso; in effetti se scoperto, i tedeschi lo avrebbero arrestato, bruciato l’albergo e ucciso i proprietari, ma quale miglior idea se non quella di nasconderlo proprio nella tana del lupo, dove probabilmente, nessuno l’avrebbe mai cercato?

Bisognava comunque impedire che qualche soldato tedesco, alloggiato nell’albergo, entrasse nella sua camera: venne così indicato come un familiare affetto da tubercolosi, scoraggiando quindi ogni controllo. Il generale nel calarsi con la corda dalle mura del forte, si era ferito gravemente entrambe le mani, perdendo molto sangue durante il viaggio verso Isola del Cantone; le ferite vennero curate da un’infermiera del locale Asilo Materno, Gemma Pastorino. Le sorelle Picollo ricordavano che appena il generale arrivò all’albergo, vista la gravità delle sue ferite, gli vennero fatte immergere entrambe le mani in una tinozza contenente acqua, sapone e disinfettante ma subito svenne ed in un primo tempo si temette per la sua vita. In considerazione della temporanea menomazione alle mani che impediva al generale di poter effettuare anche le più semplici operazioni di igiene personale. Intanto a Gavi, non appena scoperta l’evasione del generale, venne dato l’allarme e subito effettuati dei rastrellamenti nella zona, che non diedero alcun esito. Tra i soldati di guarnigione al forte di Gavi, vi era un certo Battista Benvenuto, militare di leva, che abitava a Isola del Cantone e che qualche giorno dopo l’evasione, venuto in paese disse:

«Dal forte è evaso un generale con l’aiuto di partigiani venuti dal Piemonte, è scappato come una pantera».

Scheda di smobilitazione partigiana di Emilio Magliano

Il nostro protagonista rimase nascosto nell’albergo Picollo per 31 giorni, durante i quali, il prezioso ospite non poté uscire dalla sua camera, se non in pochissime occasioni, tra le quali la volta in cui, accompagnato da Stefano Ferretto, si recò a Borlasca facendosi passare per un medico che si recava in quella frazione per visitare la moglie del Ferretto stesso, Giuseppina Picollo, che lì si trovava sfollata perché in stato di gravidanza. Ma ogni volta che passavano truppe da Isola, il generale si metteva alla finestra, con le persiane chiuse, e mandava Ferretto in strada a cercare notizie sulla destinazione e provenienza dei reparti; in lui, uomo d’azione, si vedeva la volontà di proseguire una battaglia, di non rimanere inattivo.
Ormai le ferite erano rimarginate ed il generale decise di lasciare quel sicuro nascondiglio, anche in considerazione del fatto che i tedeschi erano sempre più sospettosi ed i controlli e rastrellamenti nella zona erano aumentati.

Accompagnato da Giuseppe Tavella, il generale Magliano partì da Isola del Cantone il 13 agosto 1944 ed in treno raggiunse Torino; successivamente si unì al figlio e alla nuora in Valle d’Aosta diventando il comandante della 2a Zona Partigiani “Valle d’Aosta”.
In seguito arrivò al grado di generale di corpo d’armata.

Si spense a Varese il 27 novembre 1967.


Giovanni Guido Triulzi, Costante Ferretto ed Armando Rondanina facevano parte del Comitato di Liberazione Nazionale di Isola.

P.S. = Guido Giovanni Triulzi (Ninetto) era nato a Genova (1888 – 1965) da Carlo e Fanny Malinverni. Laureato in Giurisprudenza, primo Sindaco di Isola nel dopoguerra, fu tra i fondatori de A Compagna e collaboratore del Caffaro, del Lavoro, della Voce Repubblicana come di tanti altri giornali. Fu perseguitato politico, membro del Consiglio Nazionale dell’Associazione Mazziniana Italiana, presidente del Centro Regionale Ligure della Lega Pacifista Italiana. Morì a Genova il 28 luglio 1965.

Troviamo un suo cenno nel libro Ponte rotto di di Giovanni Battista Lazagna.

«(…) Specialmente De Benedetti e Gallo avevano un rapporto con la biblioteca popolare “Mazzini”, in Via Garibaldi (a Genova). Il direttore era un certo avvocato Triulzi; c’era poi un custode, il signor Gruson, e ci facevano entrare in una saletta sul retro e ci mettevano a disposizione i libri: dei libri marxisti, repubblicani, ecc. (…) Lì abbiam cominciato a leggere i primi libri (…)».

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