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Il Castello di Borgo Adorno

Da lassù, la vista della val Borbera è unica. Una finestra che abbraccia un panorama che va da Roccaforte sino alle Alpi lombarde. Durante le giornate terse d’inverno, non è poi difficile scorgere l’immensa Milano e nemmeno il Monviso verso occidente. O il gruppo del Monte Rosa, oltre le colline del Canavese. Lassù sarebbe la piccola frazione di Borgo Adorno, comune di Cantalupo. Oltre 700 metri sul livello del mare, un pugno di abitanti e un gigante di pietra simbolo della vallata che segue il corso del Besante, piccolo ruscello affluente del Borbera. Quel simbolo è il castello di Borgo. Una delle poche strutture presenti in questo lembo di Basso Piemonte ancora esistente, nonostante fosse stato eretto a cavallo tra Alto e Basso Medioevo. Edificio privato, di proprietà della famiglia Adorno – Guidobono Cavalchini. Antoniotto, uno degli ultimi discendenti, è la nostra guida speciale, dentro un sabato di primavera che sta per tendere, ancora, all’ultimo spruzzo di gelido inverno.

Tra storia…

Antoniotto Guidobono Cavalchini unisce una cultura importante a una passione infinita per il “suo” palazzo, per il quale ha dedicato la vita, come lui stesso afferma. “Sono settant’anni” esordisce, “che lavoriamo per restaurare la struttura. Quattro piani, il sottotetto, il giardino che ora è in semina. Non è facile, ogni giorno, girando tra stanze e corridoi, scopri che occorre sistemare una parte del maniero”. Una fatica per la quale val la pena lottare, non fosse altro che, oltre a Borgo, in alta valle, di rocche medievali, ve ne sono davvero poche. “Palazzo Spinola a Rocchetta, sede del Museo della Resistenza e della Vita Sociale. Palazzo Doria a Cabella, residenza privata e poi ci siamo noi, qui sopra Pallavicino. Un peccato, se consideriamo che di altri restano solo le rovine. Come a Carrega, un luogo unico dal mio punto di vista. Oppure Roccaforte, Montebore, Dernice, al confine con la val Curone. E pensare che, sino al 1500, anche Pallavicino ne aveva uno”.

Secondo alcuni storici, tutte queste fortezze erano state edificate a difesa dell’antica città di Libarna. Il viaggio nel tempo, dunque, compie un ulteriore salto all’indietro e, dal Medioevo, si arriva al tardo Impero Romano. Parliamo dei “castrum”, ovvero di accampamenti fortificati nei quali risiedevano, in forma stabile o provvisoria, le unità dell’esercito romano, come per esempio le legioni. Erano di forma rettangolare e intorno a essi quasi sempre venivano edificati numerosi sistemi difensivi. Il termine “castrum” è stato utilizzato fino al Basso Medioevo per indicare un luogo fortificato e anche un abitato con fortificazioni. E Borgo era uno di questi. “Insieme a Roccaforte e Carrega” prosegue Antoniotto, “faceva parte di una serie di costruzioni, con la particolarità di essere a pianta circolare. Siamo nel Terzo – Quarto secolo, ma il primo documento storico su queste mura risale al 1176”. All’epoca, la famiglia dominante era quella dei Malaspina. Origine longobarda, perdono via via potere a causa di divisioni ereditarie. “E in quel momento, entra in gioco un personaggio fondamentale, nella storia di Borgo. Parlo di Opizzino Spinola. Capitano del Popolo a Genova, conquista poco alla volta la valle Scrivia. Borgo Fornari, Ronco, Isola del Cantone”. Siamo all’inizio del XIV secolo. Opizzino riesce a scacciare i Malaspina senza spargimenti di sangue. Come? “Semplice” prosegue la nostra guida d’eccezione, “comprando i loro terreni”. Nel luglio del 1313, Spinola ottenne l’investitura su diversi feudi dell’Oltregiogo. In tal modo, questi ebbero un riconoscimento ufficiale e divennero imperiali con tutti i privilegi annessi, escludendo qualsiasi ingerenza futura dei comuni di Genova e Tortona. “Infatti, una piccola stanza era adibita a cella. Segno che, anche a Borgo, venivano eseguite sentenze capitali per i prigionieri dell’epoca”.

Passano i secoli all’ombra del monte Giarolo e, nel 1518, Tolomeo Spinola, ultimo discendente della dinastia, rimane senza eredi e si trova costretto a passare in eredità il maniero a un’altra famiglia. Quella di Agostino Adorno. “Genovesi anch’essi. La famiglia che ha dato più dogi a Genova in tutta la Storia. Erano commercianti con basi in tutta Europa, dalle Fiandre al Mar Nero, sino al Sud Italia. Il castello diviene di proprietà dei Botta Adorno e tale rimane sino ai giorni nostri”. La stessa famiglia era titolare anche di una rocca nei pressi di Pallavicino, distrutta da una frana tra Cinquecento e Seicento. Momento nel quale decidono di concentrarsi solamente su Borgo. “Le lotte intestine sono un lontano ricordo. Non è più interesse dei signori dell’epoca ergere nuove strutture a difesa militare. Molto meglio progettarlo e viverlo come una casa gentilizia”.

L’imponente panorama dinnanzi al castello. Una vista che non ha prezzo

…e modernità

L’incedere del tempo, tra invasioni, guerre e indipendenza italiana, non scalfiscono l’immagine di questo bastione valligiano. Unico in tutti i sensi e tra poche righe capirete il motivo. Come nel 1518, però, l’assenza di eredi nella linea famigliare porta con sè il rischio di totale abbandono. “Nel 1935” prosegue Antoniotto Cavalchini “muore un mio cugino e, di fatto, il castello si svuota. Durante la Guerra Civile, nel biennio ‘43 – ‘45, diventa sede delle brigate partigiane, che lo usano anche come ospedale. Terminato il conflitto, al piano terra viene aperta un’osteria. All’inizio degli anni Cinquanta, i miei genitori decidono di tornare a farlo rivivere. Anche se, molte delle opere d’arte e degli arredamenti, non vengono ritrovati”. Il lavoro di restauro prosegue giorno dopo giorno, ma la sua unicità? Eccola spiegata dalle parole del padrone di casa. “Lo considero una sorta di casa-museo. Qui dentro, infatti, ho deciso di collocare la collezione di dipinti e lavori di mia madre, l’artista Clemen Parrocchetti, diretta discendente degli Adorno”.

Particolare della cappella

E in effetti, attraversando saloni, cucine con fuochi per il pane e gli arrosti, le pentole di rame appese al muro, baldacchini e stanze dedicate allo studio, sembra proprio di essere all’interno di una Biennale di Venezia. Luogo simbolo della cultura del nostro Paese e non solo, dove Clemen espose nel 1978. Artista controcorrente, femminista convinta, eredita dal padre Antonio la passione per gli acquarelli e per la musica jazz. Chet Baker e Louis Armstrong di casa a Milano, durante un’irripetibile stagione musicale al Teatro alla Scala negli anni Cinquanta. Oltre alle tele, lavora su qualsiasi materiale. Tra i numerosi quadri, vi sono anche opere realizzate con gli spaghi da cucire, presepi moderni, poltrone intarsiate e altro ancora. “La presenza di mia madre è ovunque qui dentro. Ha dipinto sino agli ultimi anni della sua vita, senza perdere mai la sua verve artistica”. Una vita, la sua, segnata dall’amore per la cultura. Eredità da tramandare alle nuove generazioni, anche grazie alle prossime apertura, previste per la stagione primaverile-estiva, quella di punta in val Borbera. “Il Castello è la mia vita. Ho lavorato per sistemarlo per decenni e spero di poter coinvolgere i miei nipoti per il futuro. Affinché – chiude Antoniotto Cavalchini “la storia di Borgo Adorno non venga dimenticata”.-

Una rocca austera e antica, con al suo interno una galleria artistica che rimanda al secondo Novecento. Una singolare combinazione rende unico il Castello di Borgo Adorno.
La galleria fotografica che vi proponiamo spazia dall’imponente vista che il visitatore si trova davanti, una volta giunto tra gli alti crinali della val Besante, ai dipinti firmati Clemen Parrocchetti. Artista femminista e madre di Antoniotto Guidobono Cavalchini, il padrone di casa nel castello. Quadri e non solo, si stagliano tra i muri che profumano storia. Saloni, cucine, studio, finestre sul verde della val Borbera. Un luogo unico, che soddisfa le curiosità sia degli appassionati di Storia che di Arte pittorica.

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