La “mia” Benedicta
“Carlin, sai niente della Benedicta?”.
Carlin era mio suocero, classe 1916.
“Non direttamente, sai che io ero in Albania e portavo i camion carichi di tutto da Valona al fronte della Grecia, dove i nostri combattevano. Poi dopo l’8 settembre ci hanno preso i tedeschi e ci hanno portato a marce forzate in Germania a lavorare. Io ero vicino a Essen in una galleria dove c’era un’acciaieria nascosta per via dei bombardamenti. Ci trattavano da cani”.
“I tuoi racconti di guerra mi piacciono, ma ora sto cercando qualcuno che racconti della Benedicta ai miei alunni di terza media”.
“Io conosco il Baleu, Sereno, Giacomo Sereno che lavora con me; lui c’era”.
Era il 1988, dopo undici anni a Torino ero tornato da tre anni a Gavi a insegnare nelle medie e i miei alunni della terza C erano ansiosi e curiosi di storie vere. Il Baleu, Giacomo Sereno, era un tipo riservato, un operaio semplice ma con ricordi indelebili. Nonostante fosse restio, riuscii a convincerlo a venire nella mia classe. Affacciato sulla porta, i miei alunni scattarono in piedi per salutarlo; questo lo intimidì ancor di più, ma riuscii presto a metterlo a suo agio, nonostante la situazione del tutto insolita per lui, abituato alle macchine per fare piastrelle.
Io sono del 1924 e quelli nati in quell’anno alla fine del 1943, durante la guerra, dovevano andare a combattere per Mussolini contro gli Americani. Se non ci andavi, c’era la pena di morte. I miei stavano alla cascina S. Pietro alla Centuriona, dove anch’io sono nato e non volevo andare a fare la guerra per Mussolini; così per non rischiare e d’accordo con i miei sono scappato su in montagna, alla Benedicta. Il comando mi aveva assegnato, con altri 4 o 5 ragazzi come me, in una postazione sul Brisco, sopra Bosio, vicino al Pian della Castagna. Quando il 7 aprile del ’44 sentimmo i rumori delle autoblindo e dei tedeschi che arrivavano già vicino a noi, fummo presi da una grande paura e ognuno reagì a modo suo. Io, che conoscevo bene tutti i sentieri che con mio padre battevo per legna, castagne e funghi, mi sono buttato nei boschi fitti di giorno, fino giù verso la Centuriona, poi la notte sono entrato in casa dove sono stato nascosto fino alla fine della guerra.
Questo il racconto di Giacomo Sereno, il Baleu, ai miei alunni di terza media di Gavi nel 1988, detto con schiettezza, diretto, senza fronzoli, con gli occhi lucidi, ancora incredulo di essere riuscito a scampare al rastrellamento e alla morte certa.
“Nicoletta, dimmi!”.
Nicoletta era una delle migliori alunne della mia classe a Gavi a cui nell’aprile del 1999 stavo raccontando i fatti della Benedicta; era una ragazzetta bionda, alta per la sua età, non timida, ma riservata e non alzava quasi mai la mano. Ci doveva essere qualcosa di importante e non potevo non ascoltarla anche se aveva interrotto la mia narrazione.
“Professore… mio nonno, il papà di mia mamma, è stato fucilato alla Benedicta”.
“Mi spiace, Nicoletta, mi spiace molto e… condoglianze alla mamma”.
“Però mio nonno sta a Bruxelles.”.
“Scusa? Tuo nonno è stato fucilato alla Benedicta, e ora è vivo e sta a Bruxelles?”.
“Sì, sta in Belgio con mia nonna”.
“Senti, Nicoletta, puoi dire alla mamma se uno di questi giorni viene a trovarmi a scuola?”.
È così che da mamma Silvana conobbi l’incredibile storia di Ennio Odino, nonno di Nicoletta. Non potevo lasciarmi scappare un’occasione così ghiotta per conoscere i fatti della Benedicta dal vivo. Stabilito il contatto, chiesi a Ennio di venire nella mia classe appena fosse tornato in Italia. Aveva quasi 80 anni, alto imponente, entrò deciso nella classe, la mitica indiavolata terza C; dietro a lui una signora bionda, ben messa, con gli occhi color del cielo sorridenti su un volto chiaro, sereno, accattivante.
Ho avuto una fortuna sfacciata, ragazzi, quel 7 aprile del 1944. Dal convento della Benedicta, sono stato portato nello spazio dopo la curva con 4 miei compagni, pensavo per interrogarci. Appena arrivato nello spazio, ho visto i morti e subito il plotone di esecuzione ha cominciato a spararci. Io sostenevo un partigiano ferito che mi si è parato davanti proprio mentre ci sparavano e mi ha salvato lui. Sono caduto giù con lui addosso. Aspettavo il colpo di grazia; si sono sentiti degli spari dal bosco e ho visto che il plotone di esecuzione si ritirava di corsa verso la Benedicta. Ferito ad una spalla e al fianco, mi sono trascinato verso il boschetto e ho continuato a strisciare. Un aereo “Cicogna” volava sopra e avevo paura che mi vedesse. Allora mi sono buttato in un buco pieno di foglie e mi sono tutto ricoperto. E sono scampato alla morte.
Ennio Odino, il partigiano Crik, l’unico sopravvissuto all’esecuzione, portato in classe da Nicoletta, l’alunna sua nipote, racconta in piedi, appoggiato alla cattedra, ai miei allievi impietriti, quasi increduli al racconto così vivo ed emozionante di quell’anziano venerando che tenta di nascondere una lacrima voltandosi verso la moglie belga che, seduta dietro la cattedra, lo osserva con amorevole affetto. Quasi due ore senza che una bambina chiedesse di andare in bagno, un ragazzo si alzasse… incredibile, mai accaduto nella mia classe.
E poi visto che le ferite non mi facevano più tanto male e non sanguinavano, ho provato a muovermi quando è calato il buio; pensavo di raggiungere giù a valle Alice, il paesino dei miei nonni vicino a Gavi; tre ore di cammino, ma ce la potevo fare. Era notte e a ogni passo schiacciavo rami secchi e il rumore mi sembrava così forte che tutti l’avrebbero sentito. Così mi fermai e mi appisolai. Conoscevo la zona e sapevo che alla mattina ci sarebbe stata la nebbia che mi avrebbe permesso di camminare più sicuro. Infatti, alle prime luci la nebbia copriva tutta la zona di Pian degli Eremiti, ai piedi del Tobbio. Scesi dal bosco sulla strada e… “Altolà, chi sei?” Una pattuglia di tedeschi e fascisti mi bloccò. La mia libertà era finita.
Ennio continua il suo racconto sempre più incredibile per i fatti narrati come rivissuti, resi vivi presenti drammatici come quasi 60 anni prima.
Portato alla caserma di Voltaggio, rischia di essere uno di quei 16 che vengono fucilati dietro il cimitero. Condotto nei giorni successivi a Novi, viene caricato insieme a molti altri su vagoni bestiame e fatto partire per destinazione ignota. A Milano lunga fermata per un bombardamento alleato. A Brescia vengono fatti scendere e condotti a uno a uno ai gabinetti. Il fascista che lo conduce dentro gli mostra, senza parlargli, il caricatore vuoto del fucile e poi si allontana. Ennio capisce che vuole aiutarlo a fuggire e infatti, uscito, si dirige tra il trambusto generale fuori dalla stazione, sale sul tram in sosta. “Per ognuno che non risulterà presente all’appello, 10 saranno fucilati!”, parole dure come un macigno diffuse al momento della sosta, gli risuonano in testa come un incubo. Torna indietro, passa davanti all’incredulo fascista e risale sul vagone.
Oltre un anno a Mauthausen narrato a dei ragazzi, i miei alunni, ammutoliti dalle parole dure e pungenti come filo spinato.
Il 5 maggio 1945 arrivarono gli americani a liberare Mauthausen… Il 30 giugno arrivai in Italia. A Serravalle ritrovai i miei genitori giunti da Genova. A tutti provai a raccontare le esperienze vissute, ma erano allora talmente inaudite da sembrare irreali… Così noi, i pochi scampati dall’inferno, quasi per tacito accordo, per anni abbiamo ricordato in silenzio e tenuto in serbo la nostra storia.
La ripresa degli studi, l’inserimento nella vita quotidiana grazie alla sua passione per la bicicletta, l’incontro con Fausto Coppi, l’esperienza da gregario del Campionissimo in tutti gli allenamenti e le gare, l’incontro casuale nel campeggio di Cogoleto con Suzanne, la ragazza belga che sposerà, il trasferimento a Bruxelles, la famiglia, i figli, l’impiego alla Commissione Europea, l’impegno a raccontare e denunciare i crimini nazisti dei campi di sterminio, la pensione e l’attività a narrare nelle scuole la sua incredibile vicenda di vita per stimolare il valore della libertà. Questo è Ennio Odino, il partigiano Crik che ho avuto l’onore di conoscere, il nonno di Nicoletta.
Sono stato corridore ciclista, ho corso al fianco del campione e caro amico Fausto Coppi e ho avuto tanti numeri sulla mia maglia di corridore… ma il solo numero che non posso dimenticare è 63783 quello che mi assegnarono al campo di sterminio di Mauthausen.