Scrivia 1963 – tutti a pesca con la bilancia!
Un bel giorno dell’estate inoltrata del 1963 mio cugino Carlo, soprannominato il Gancio – Gancéin in Serravallese – arrivò a casa con un oggetto stretto e lungo custodito all’interno di un tubo di cartone. Scaricato dell’ automobile e liberato dall’involucro, mi resi conto che non avevo la minima idea di che cosa potesse essere. Quattro sottili aste metalliche, lunghe circa un metro, unite due a due ad una estremità, erano avvolte da una retina a maglie fitte che mi ricordava la rete per i capelli di mia nonna. Dopo averlo maneggiato un po’ e disteso a terra, apparve un aggeggio grosso dieci volte tanto da come si presentava ripiegato. Oltre a quello tirò fuori dall’auto anche una canna di bambù in tre pezzi che si potevano unire. Fissò i due oggetti legandoli con una corda e apparve una così detta bilancia, che altro non era che una rete da pesca.
Era un sabato, a quei tempi ancora lavorativo. Domani – disse il Gancio – si va tutti in Scrivia e si mangia lì, spaghettata e frittura di pesci. Fummo tutti entusiasti di quella proposta. Ci preparammo a passare una splendida giornata all’aria aperta, sotto il sole estivo, provando la nuova arma letale del Gancino che già, ridendo sotto i baffi, assaporava la pesca miracolosa. Il giorno dopo, di buon’ora, eravamo impazienti di vivere questa avventura con il pieno d’entusiasmo, come scolaretti in gita.
Ci incamminammo verso la Campea, poco distante da casa, con un po’ di mercanzie al nostro seguito: un vecchio ombrellone, vistosi occhiali da sole e la micidiale bilancia ostentata al cielo da mio cugino, come fa il prete con l’ostensorio durante le processioni. Arrivati sul greto del torrente, Gancéin ci spiegò la sua tattica infallibile per procurarci la frittura di pesce che a mezzogiorno avremmo dovuto gustare. Confessò che era la prima volta che usava la bilancia. Aveva sempre pescato con la canna o con le mani sotto ai sassi, però era certo della carneficina, della strage che con quell’infallibile attrezzo avremmo compiuto. Lo schema era questo: lui avrebbe posizionato la bilancia in un laghetto sotto una ravesa, cioè un tratto dove l’acqua correva veloce, mentre io, mio fratello Enzo e mio padre Andrea, correndo giù per la ravesa, avremmo spaventato e spinto i pesci nella rete che lui improvvisamente, con un energico tirone, avrebbe issato.
Tutto chiaro? – disse – Ci sono domande? Nessuna ed iniziammo a correre tra i sassi nell’acqua. Camminare su pietroni in mezzo alla corrente non era così facile, figuriamoci correre. Qualcosina riuscimmo a fare, con qualche caduta e conseguenti bagni. I pesci, in grande quantità, sgattaiolavano allontanandosi dai nostri piedi in direzione di nostro cugino. Il Gancino, vedendo arrivare una marea di siluri argentei pinnati, dette un super tirone all’asta di bambù. La bilancia uscì in parte dall’acqua; era stipata di pesci, pescioni e pesciolini che sembravano elettrizzati da quanto si divincolavano.
Un po’ per il discreto peso, un po’ per l’equilibrio instabile dovuto all’appoggio insicuro, il Gancio fini a gambe all’insù. Risultato: pesci tutti scappati e cugino Carlo nell’acqua fino al cuoio capelluto, con rischio di annegamento. Decidemmo di cambiare zona; questa Carlo la definì inadatta per il tipo di pesca. Risalimmo allora la Scrivia verso il Ponte della Madonnetta. In alcuni tratti del torrente non potemmo calare la bilancia perché molti bagnanti avevano già monopolizzato i laghi più belli, difendendoli con tuffi a bomba sparaflutti. Provammo dal Fiadù, ma l’acqua era troppo alta e Carlo, di statura non cosi slanciata, disse che nei laghi grossi e profondi c’erano pesci grossi e tondi, inadatti per la frittura. Provammo allora nelle ravese dell’acqua di Zolfo e sopra al Lago dei Cavalli, prima della Diga. Anche lì la bilancia non sorti quel grande effetto. I pesci sembravano evitarla; in molti ci passavano sopra tanto velocemente che non si riusciva a catturarli. Provammo anche nel Lago dei Glöpi e dalla Direttissima.
Solita monotona musica. Sembrava che i quaiastri, i barbi & company si fossero passati la voce, evitando noi e la rete da pesca. Sta bilancia proprio non funzionava e anche la frittura saltò. Ci consolammo con la solita anguria e la spaghettata preparata da mamma Maura e da Carla, moglie del Gancio, che ci avevano aspettato alla Campea, dove pranzammo tranquilli come papi. La giornata di pesca fini così, tra un misto di delusione e di relax en plen air nel meraviglioso scenario della nostra Scrivia. La bilancia bella e nuova finì nel dimenticatoio, appesa in cantina dal Gancino – indovinate un po’ – ad un gancio.
Non fu più usata: ancora adesso giace lì, in compagnia delle ragnatele.