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EUR – Il nuovo che avanza

Frank Lloyd Wright, indiscusso geniale esponente dell’architettura del Novecento, ha detto: «Un medico può seppellire i propri errori, ma un architetto può solo consigliare al cliente di piantare rampicanti».

Certo che, posto che si possa considerare un errore, per nascondere il palazzo che a Serravalle va normalmente sotto la denominazione di Eur[1], ci vorrebbe un rampicante di dimensioni enormi!

Ma forse il punto è proprio qui! Si può considerare un errore? O è un prodotto del suo tempo?

Siamo negli anni ’60 e l’onda lunga della ripresa postbellica spinge ancora con notevole energia. Proprio nel 1960 nasce la definizione per l’economia italiana di boom economico e il Financial Times  attribuisce alla valuta italiana l’Oscar della moneta più salda fra quelle del mondo occidentale.

A Serravalle, si legge negli Appunti sullo sviluppo demografico del Comune di Serravalle Scrivia (a cura del Servizio demografico comunale – 2004):

Negli anni Sessanta, la “meridionalizzazione” proseguì intensamente e per i nuovi Serravallesi si compì un percorso d’integrazione sociale, fattivo e raramente conflittuale. La natalità alquanto modesta all’interno delle famiglie serravallesi, venne invece sostenuta dalla vivacità demografica degli immigrati, che in questa fase, conservarono ancora la tradizione della famiglia numerosa. Dati alla mano, appare evidente un nuovo repentino incremento della popolazione, che porta i residenti ad aumentare di 812 unità, dal 1961 al 1970, mentre nel 1962 si supera per la prima volta quota 5000 abitanti. Nel medesimo lasso di tempo si registra una vigorosa impennata delle nascite, con un totale di 716 nati.  

In quegli anni si assiste anche nel nostro territorio, come in molta parte d’Italia, all’esplosione del moderno: sagaci antiquari (repucéini!) piemontesi e liguri girano per le cascine scambiando vetusti e pregiati tavoli di noce con “moderni” tavoli, con piano in formica e esili gambe cromate, e antiche madie o credenze in legno massello con armadietti pensili all’americana in truciolato “nobilitato”; chi abita in case ottocentesche con soffitti a volta, non solo a Serravalle, ma anche nei Comuni contermini che non hanno lo stesso sviluppo industriale, aspira ai razionali appartamenti in un “moderno” palàsciu multipiano con ascensore.

La forte spinta di espansione edilizia, determinata dalla richiesta abitativa, induce il Comune a dotarsi di un Programma di fabbricazione (Pdf)[2], che viene deliberato nel 1963[3]. Ma le Superiori Autorità (leggi Provveditorato alle Opere Pubbliche, cioè un ufficio statale, dal momento che le Regioni non sono ancora state istituite) respingono lo strumento urbanistico e il connesso Regolamento Edilizio!

Il Caffè Stazione e il suo giardino

Va anche aggiunto che in quegli anni (e per molti ancora) il diritto a edificare – ius aedificandi – viene considerato dalla giurisprudenza inscindibilmente connesso a quello di proprietà; cioè a dire che chi è proprietario di un’area può anche costruirci sopra. Naturalmente ci sono leggi statali vigenti all’epoca che delimitano quantitativamente questo diritto: ma i margini sono molto ampi! 

Così la locale Commissione edilizia, nella seduta di fine novembre del 1963, si trova di fronte alla richiesta di costruire un enorme palazzo su un’area che fiancheggia il viale della Stazione, ancora occupata da un edificio ottocentesco di gradevole aspetto (il c.d. Caffè Stazione), di due piani fuori terra. L’edificio è dotato di portici lungo il viale della Stazione e di un ampio e piacevole giardino sul retro: i tavolini del giardino (non si chiamava ancora dehors!) consentono, nella buona stagione, piacevoli soste; e qualche moneta nel jukebox garantisce agli avventori un gradevole sottofondo musicale alle consumazioni.

Ma i fratelli Giovanni e Mario Rusca, imprenditori genovesi[4], vedono in quell’area, così centrale e ben servita, la possibilità di un buon affare: l’economia industriale locale fa ancora saldo perno sulle attività dei viaggiatori, i rappresentanti che fanno la spola tra i produttori in loco e i clienti all’ingrosso (distributori o negozi) che provvedono alla vendita dei prodotti; per loro servono un albergo, con ristorante, possibilmente vicino alla stazione. E, con l’occasione, si può sfruttare la cubatura ancora disponibile per offrire alla forte domanda soluzioni abitative di un certo prestigio.

La Commissione Edilizia, che opera a livello comunale, è figlia del Consiglio (o Commissione) d’Ornato, che fra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento si occupava prevalentemente degli aspetti estetici delle costruzioni edilizie. Dopo la legge 1150 del 1942, l’oggetto di valutazione viene spostato dal piano estetico (ritenuto dal Legislatore troppo discrezionale) a quello igienico-dimensionale (valutato invece come molto più oggettivo).

Dunque, la nostra Commissione si trova a dover esaminare il progetto presentato, avendo come strumento di giudizio, oltre al buon senso – quello del buon padre di famiglia – solo il  Codice civile, come dichiara il Sindaco, Pietro Repetto, nel corso di quella seduta:

«… conseguentemente [alla bocciatura delle “norme in materia edilizia” – n.d.R.] il Comune si trova ad essere privato di ogni mezzo per far fronte a richieste e domande di costruzione che provengano da privati e si trova ad aver a disposizione le sole norme del Codice civile vigente, attesa la mancanza di un regolamento edilizio debitamente approvato.»

Cionondimeno, il Sindaco prosegue nella sua relazione[5]:  il progetto in esame prevede una costruzione

«[…] di piani 12, pari ad un’altezza di m 40 […] e che tale altezza è dallo stesso ritenuta eccessiva;
– Considerato che per le ragioni suesposte non vi sono mezzi giuridici e legittimi per limitare detta altezza e che l’unico modo a giudizio dello stesso è quello di raggiungere un bonario accordo tra le parti:
[…]»

propone allora il Sindaco alla C.E. di rinviare il progetto per chiederne l’abbassamento di due piani. Con due voti contrari la C.E. fa proprie le considerazioni del Sindaco, giudicandole applicabili al caso in esame a ad ogni altro caso fino all’approvazione del programma di fabbricazione e relativo regolamento edilizio, e all’unanimità invece esprime parere contrario al progetto esaminato.

Nella seduta seguente, del 10 febbraio 1964, presieduta ritualmente dal Sindaco Repetto, la C.E. approva il progetto presentato (9 piani). Dice la Commissione:

«[…] esaminati i disegni … e ritenutili conformi a quanto indicato nel verbale [cita il verbale precedente n.d.R.] a maggioranza di voti cinque favorevoli e due contrari[6]decide di approvare il progetto testé presentato…»

Dunque, finisce così? No! Perché la Società immobiliare Stazione, nel marzo del 1965[7], chiede di poter sopraelevare l’edificio (in fase di costruzione) di tre piani: e il Comune ne autorizza due! Alla fine di tutto questo trambusto il progetto originale verrà realizzato quasi completamente.

Sembra dunque di poter concludere, almeno rispetto alla prima domanda, che errore non fu: certo anche gli Amministratori del tempo avvertivano che quel palazzone trapiantato nel cuore del paese, per quanto potesse essere interpretato come segno del nuovo che avanza[8], rappresentava un elemento di rottura; non si spiegherebbe altrimenti la “eroica” battaglia[9] del Sindaco Repetto e della Commissione per frenare quell’intervento.

L’impostazione progettuale del quale non lasciava nessuna illusione sugli intenti: non di architettura, non di progettualità si stava parlando ma di sfruttamento intensivo di capacità volumetriche dell’area. In altre e men nobili parole: di speculazione edilizia!

Uno dei prospetti del palazzo

Basta guardare la planimetria del sedime di progetto (proiezione al suolo dell’edificio) che occupa completamente l’area edificabile e considerare i dodici piani previsti per capire che si trattava di sfruttare al massimo le potenzialità edificatorie dell’area[10].

Che il progetto architettonico c’entrasse poco è facile capirlo, anche per chi non ha specifiche competenze, guardando i prospetti previsti negli elaborati tecnici (mi repelle chiamarli progettuali): una triste, anodina, provinciale caricatura del razionalismo, tutto moduli uguali, con multipli e sottomultipli, alla ricerca di una scansione regolare che invece di suggerire armonia, inclina l’animo ad una melanconia uggiosa.

Quanto alla seconda domanda, forse il palazzo dell’Eur è davvero un monumento, figlio del suo tempo; nel senso etimologico della parola[11]: per ricordare un momento storico nel quale a molti sembrava che la modernità e il progresso consistessero nel cancellare ciò che appariva vecchio e superato per sostituirlo con ciò che assicurava vantaggio economico immediato e sviluppo (?). È di quegli anni la tenace opposizione dei commercianti serravallesi alla costruzione di una circonvallazione, perché temevano potesse sottrarre loro potenziali clienti.

L’Eur ci è rimasto, la circonvallazione ancora non c’è.



[1] Il palazzo prende il nome dall’Hotel, ristorante Eur,che occupava parte del piano terreno e il primo piano dell’edificio.

[2] Il Programma di fabbricazione è uno strumento urbanistico, come il Piano Regolatore Generale (P.R.G.), ma limitato al solo ambito edificato del territorio – mentre il P.R.G. è esteso all’intero territorio comunale – previsto dalla Legge 17 agosto 1942, n. 1150. Al Pdf era obbligatoriamente associato un Regolamento Edilizio, che normava sotto il profilo edilizio le nuove costruzioni, delimitando le altezze massime, le distanze dai confini, le superfici minime dei locali, le destinazioni d’uso, ed altri aspetti di questo tipo; dava conseguentemente gli strumenti alle Commissioni Edilizie per valutare l’ammissibilità dei progetti.

[3] Delibera Consiglio n. 30 del 22 luglio 1963.

[4] Solo nel febbraio del 1965 i due imprenditori vendono l’iniziativa all’Immobiliare Stazione, S.a.s. con socio accomandatario il Dott. Antonio Balbi.

[5] La Commissione Edilizia è normalmente presieduta dal Sindaco, che ne è componente di diritto: in questa occasione, per consentire al Sindaco di uscire dalla sua veste di Presidente, viene da lui delegato il geom. Lorenzo Demicheli, noto professionista locale. 

[6] Gli stessi contrari nella seduta precedente.

[7] Il Sindaco è dal 1964 Umberto Piccabellotti e la Giunta comunale – prima Giunta del dopoguerra non di sinistra – vede la partecipazione come Assessore (all’edilizia?) di quel geom. Lorenzo Demicheli (PSI) che aveva presieduto la Commissione Edilizia del novembre 1963.

[8] Ironica espressione coniata da Ciriaco De Mita e poi utilizzata come titolo di un ben noto libro di Michele Serra.

[9] Le romantiche sciabole da parata del Diritto amministrativo di tirocinanti della democrazia contro i tonitruanti cannoni di una occhiuta e cinica finanza dei palazzinari.

[10] È lo stesso criterio posto alla base dell’ex-tempore “Il lotto d’angolo”(si chiamavano così, per nobilitarli, i “compiti in classe” universitari), proposto agli studenti della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, che fornì il pretesto per l’accendersi dei moti studenteschi milanesi del maggio 1968.

[11] monuménto (ant. moniménto) s. m. [dal lat. monumentum «ricordo, monumento», der. di monere «ricordare»]. – 1. a. Segno che fu posto e rimane a ricordo di una persona o di un avvenimento– Vocabolario della lingua italiana – Treccani