La liquirizia del sig. Rappetti
Nel 1969 c’era la consuetudine, nel settore Officine Meccanica, Elettrica e Attrezzeria del Delta, di fare un incontro con il caposettore ogni mattina alle otto. Un briefing veloce per fare il punto della situazione dei lavori in corso, scegliere le priorità per gli interventi del giorno, programmare i lavori a più lungo termine, eccetera.
Tutte le mattine accadeva, prima della riunione operativa, che il sig. Rappetti[1] equiparato[2] dell’Officina Meccanica e padrone[3] del locale dove si teneva la riunione, terminasse il lavoro che aveva cominciato alle sette, che consisteva nel controllo delle bolle di lavoro dei manutentori attribuendo i codici di costo ad ogni intervento, quello dei cartellini per il controllo delle presenze e il riordino del medagliere per i permessi e la dispensa delle attrezzature.
Il segnale di via libera consisteva nel fatto che Rappetti riponesse le carte ed estraesse dal cassetto la sua famosa ed immancabile bustina di confettini di liquerizia che offriva volentieri a tutti. E tutti ne accettavamo di buon grado sapendo che lui era contento di offrirle. Tutti, ma non il geom. Boiardi, il caposettore, che invariabilmente rifiutava. Questa specie di rito si ripeteva senza variazioni tutti i santi giorni e terminava alle otto in punto quando la riunione aveva inizio. Rappetti se ne andava per riporre i cartellini delle presenze nelle rastrelliere presso gli orologi di timbratura e per aprire il magazzino dispensa attrezzi che avrebbe presidiato per tutto il turno. Le attrezzature portatili, come trapani, smerigliatrici, cannelli e bombole di saldatura, chiavi ecc. venivano affidati ai manutentori previa autorizzazione del caposquadra e consegna di una medaglia di identificazione che doveva essere restituita con l’attrezzo stesso.
Uscito Rappetti, il geometra si sedeva al suo posto e presiedeva la riunione, non mancando di far sentire la sua burbera e severa presenza. Era terribilmente esigente con tutti e, nelle decisioni che prendeva, inerenti alla manutenzione ordinaria, era chiaro e lampante che dava priorità ai reparti diretti da persone con cui andava d’accordo e lasciava per ultimi quelli i cui capi erano in urto con i suoi metodi. Così andava il mondo, allora. Comunque, per gli interventi straordinari sapeva mantenere un’ottima capacità di giudizio e si dimostrava sempre un organizzatore coi fiocchi.
La riunione doveva essere sempre la più breve possibile, per questo ci faceva stare in piedi. Quando prendeva una decisione stroncava sul nascere ogni tentativo di opposizione.
Al termine, giusto prima di uscire, con nonchalance, apriva il cassetto di Rappetti e si appropriava di una manciata di confettini di liquerizia riempiendosene la bocca prima tornarsene nel suo ufficio. E questo accadeva tutte le mattine che il buon Dio mandava sulla terra.
Un giovane equiparato dell’Officina Meccanica, Giancarlo Simonelli, ebbe un’idea per giocare uno scherzo memorabile all’ipocrita mangiatore di liquerizie. Trovò un o -ring[4] in gomma nera, dello stesso diametro delle liquerizie, con un cutter[5] lo sezionò in una trentina di tubetti del tutto simili ai confettini Saila, e per rendere ancora più verosimile la cosa li lucidò uno per uno con un velo d’olio lubrificante. Trovò una bustina di mentine vuota, vi versò qualche liquirizia vera, e la riempì coi confetti di gomma; il mattino successivo con mossa davvero rapida sostituì il pacchetto che Rappetti aveva riposto nel cassetto prima d’uscire. Naturalmente tutti sapevamo del cambio men che l’ignaro geometra e lo stesso Rappetti che non avrebbe sicuramente retto il gioco.
Quel che accadde alla fine di quella riunione fu oggetto di risate tramandate ai posteri, perché di quello scherzo, fra gli addetti alla Manutenzione, si continuò a parlare fino a tempi piuttosto recenti.
Nel momento stesso in cui il geometra si riempì la bocca di confettini, si catenò una serie di domande alla quale non rispose. Mentre ognuno di noi lo incalzava con quesiti più o meno pretestuosi, lui, impassibile come Buster Keaton, continuava a masticare molto lentamente, guardando fisso davanti a sé e ogni tanto sputava una liquerizia, nel cestino. Sempre con nonchalance, una alla volta, fino a svuotarsi la bocca.
Ci mise oltre un quarto d’ora e noi fummo bravissimi a non ridere nemmeno una volta in sua presenza, nemmeno quando alzandosi s’allontano bofonchiando in genovese che “ mancu ‘e ciappelette sono più bunne cumme quele di’nna vòta.”
[1] Rappetti era un ex operaio dell’officina, diventato invalido (aveva il secondo dito della mano destra paralizzato in estensione) a cui erano state affidate mansioni amministrative accessorie.
[2] Categoria intermedia fra operaio e impiegato. Erano equiparati quasi tutti i capisquadra e alcuni lavoratori tolti dalla produzione per motivi vari e passati a fare lavori vari in ambito amministrativo o d’ufficio.
[3] In effetti nell’anticamera vasta dell’ufficio del capo della Manutenzione Meccanica era ubicata la vecchia scrivania con grandi cassetti ove Rappetti svolgeva parte del suo lavoro e spesso ripeteva che era il padrone di casa.
[4] Guarnizione di gomma a profilo cilindrico
[5] Coltellino a lama retrattile parecchio affilato