Ardito Desio e… la merda di Girardengo
Avevo diciannove anni e da tre mesi lavoravo al Delta.
Una mattina, mentre mi trovavo in fonderia per fare manutenzione elettrica all’impianto del forno di raffinaggio del rame, il mio capo venne a cercarmi e mi disse di andare subito nella palazzina della direzione e chiedere della Signora Zanardelli, senza darmi altri particolari.
Nientedimeno, della “mitica” signora Zanardelli! La segretaria di direzione considerata da noi poveri mortali solo un gradino al di sotto degli dei superni, gli ingegneri Ivo Potenza e Vincenzo Chiaramonte, rispettivamente Presidente e Direttore Generale della DELTA Società Metallurgica Ligure.
Sperai che il guasto che avrei dovuto riparare nella palazzina non fosse di impossibile soluzione.
Passai dallo spogliatoio per darmi una ripulita e cambiarmi le scarpe che in fonderia si erano insudiciate.
Entrai per la prima volta in vita mia nell’edificio della Direzione. A piano terra, nell’abbagliante nitore dell’atrio, vidi sulla destra il riflesso di un doppio vetro e al di là dello stesso un signore in camicia bianca e papillon scozzese, possessore di un paio di baffi curatissimi su un viso all’inglese che mi ricordò quello di Walter Pidgedon.
Mi avvicinai per chiedere informazioni e mi accorsi che quello che vedevo altro non era che il centralino telefonico e che Mr. Pregliasco (che nel tempo divenne uno dei miei primi formidabili amici) non era un lord inglese ma un centralinista novese il quale, con fare davvero snob, mi disse di salire le scale, girare a destra, entrare e raggiungere la penultima porta sulla destra, bussare e attendere. Ringraziai ed eseguii gli ord… pardòn, le indicazioni alla lettera. Bussai; al di là della porta sentivo il ronzio di una telescrivente e dopo una breve attesa che a me parve interminabile una bella voce si fece sentire: “avanti”.
La signora Zanardelli mi disse che l’indomani mattina alle otto precise mi sarei dovuto trovare nell’ingresso, perché mi sarebbero stati affidati degli ospiti da accompagnare a fare una ricognizione sul piazzale metalli, che avrei dovuto mettermi a loro disposizione per qualsiasi eventualità. Poi mi consegnò una “comunicazione interna” firmata dal Presidente nella quale mi si ordinava di vegliare sulla sicurezza degli ospiti e non permettere loro, per nessun motivo, di avvicinarsi troppo ai cumuli di rottami, di entrare nei reparti di produzione e, men che meno, in fonderia; avrei dovuto, nel contempo, ricorrere all’aiuto dell’Ufficio Tecnico e fornire loro le informazioni che eventualmente mi avessero richiesto se inerenti alla geologia del sito. Nella comunicazione lessi che uno dei due era un dottor Pincopallino, ricercatore dell’Università di Pavia e l’altro il Prof. Emerito Ardito Desio dell’Università di Milano.
“Quell’Ardito Desio?” Chiesi. E ne ebbi conferma dalla signora Zanardelli.
Non potevo crederci, non riuscivo a pensare ad altro. Qualche anno prima avevo letto di lui sui libri di scuola, l’esploratore della conquista del K2.
Ora veniva a fare delle prospezioni geologiche qui, ma per cosa?
Rileggendo la comunicazione con maggior attenzione capii che era stato chiamato come consulente per decidere dove scavare per trovare dell’acqua in grande quantità all’interno della proprietà aziendale. Doveva essere scavato un pozzo interno poiché l’attingimento dal pozzo nell’alveo della Scrivia stava provocando problemi con i vicini che vedevano abbassarsi le falde acquifere dei loro pozzi artesiani.
Inutile dire che l’indomani puntualissimo mi presentai in direzione e immaginatevi la mia delusione quando soltanto il dottor Pincopallino si presentò all’appuntamento. Di Ardito Desio manco l’ombra. Sarebbe arrivato più tardi, intanto noi potevamo cominciare il sopralluogo. Chiesi se avrebbero introdotto una carotatrice per fare le prospezioni e mi fu risposto che non con le prospezioni avrebbero cercato il punto ove scavare bensì col… rabdomante. Non credevo ai miei orecchi.
Il giovane dottor Pincopallino, con l’intento fin tropo evidente di sbalordirmi, mi sciorinò un elenco di grosse industrie, tutte del gruppo IRI, che si erano affidate alla consulenza di Ardito Desio e del 100% di successi fin ora ottenuti utilizzando il rabdomante. Continuò per mezza mattinata raccontandomi dei viaggi effettuati con lui in Birmania per la realizzazione, sotto l’egida dell’ONU, di un progetto di irrigazione di grande rilevanza.
Mentre il dottorino prendeva zolle di terreno con le mani in vari punti del piazzale e le annusava, le sbriciolava e ne valutava consistenza e umidità, io riflettevo sul fatto che la nostra fabbrica essendo ubicata a pochi metri dal greto del torrente, sicuramente aveva dell’acqua sotto. Gioco facile per il rabdomante. Il punto che mi sfuggiva era come diavolo facesse ad individuare la posizione esatta ove situare le macchine per scavare il pozzo e infilare i tubi. Infatti in un terreno argilloso come quello della Fraschetta1 falde d’acqua di notevoli capacità, quasi affiorano, basta scavare per dieci quindici metri e si raggiungono livelli d’acqua del tutto accettabili; altre però possono trovarsi seppellite dall’argilla e racchiuse fra pareti dello stesso materiale, anche ad oltre cento metri di profondità. Tornavo a chiedermi se fosse vero che la bacchetta di salice trasmettesse alle mani del professore le vibrazioni che lui cercava. Dovevo pazientare e osservare.
Verso le dieci e trenta, finalmente, vidi avvicinarsi un gruppo di persone in abiti “civili”. Riconobbi il Direttore e il mio Capo in compagnia di un anziano signore dal viso simpatico e un po’ arrossato, specialmente il suo importante naso era come se fosse afflitto da un perenne raffreddore.
Nessuno ci presentò e lui nemmeno s’accorse di me. Avrei davvero avuto voglia di fargli un milione di domande. Ricordavo bene le letture sui libri e sui giornali dell’epoca relativi alla spedizione con Compagnoni, dell’estromissione di altri alpinisti, del suo fare autoritario e militaresco… Ma, tant’è, chi ero io per essere presentato a un personaggio così illustre?.
Si consultò col suo assistente, trasse di borsa il suo rabdomante e saggiò alcune zone. Poi con molta sicurezza indicò un punto a circa dieci metri dalla base della torre piezometrica, sotto l’ex villa Girardengo. Previde una posizione e una profondità di scavo molto favorevoli.
Andarono via circa mezz’ora dopo. Nel salutarlo, prima che salisse nella Lancia che lo avrebbe riportato a Milano, non potei far a meno di notare , con una certa delusione, la sua aria triste e la sua evidente stanchezza.
In maggio cominciarono i lavori di trivellazione che, secondo le previsioni sarebbero dovuti durare soltanto qualche giorno ma che, invece si protrassero all’inverosimile.
A manovrare il battipalo c’era un macchinista veneto che, man mano che il tempo passava senza nessun esito imprecava comicamente con delle lunghe giaculatorie nel suo dialetto che mi facevano sempre ridere.
Appena possibile passavo a vedere gli sviluppi del lavoro con il geometra del nostro Ufficio Tecnico che li seguiva.
Ci dicemmo più volte che Desio aveva ciccato di brutto, visto che a 70 metri di profondità non era stata ancora individuata una goccia d’acqua e il geometra aggiunse delle cose poco carine sulla parcella salatissima che era stata pagata per quella “inutile consulenza”. Ma tant’è, mi disse, per l’IRI è normale buttar via dei soldi a favore dei soliti personaggi.
Non approfondimmo.
Intanto anche gli operai del cantiere avevano preso ad ironizzare sul fatto che per un “buco nell’acqua” fosse stato chiamato un luminare come Ardito Desio che, per giunta aveva dato delle indicazioni a capocchia.
Un giorno incontrai il veneto alla mensa a ora di pranzo. Gli chiesi se ci fossero novità e lui, invece volle parlare di Girardengo e della sua villa che lo stabilimento in quel periodo utilizzava come casa per uno dei guardiani. Gli raccontai del fatto che l’area dello stabilimento era appartenuta al grande ciclista e che, quando la cedette al Delta la villa fece parte del pacchetto e che per qualche anno fu usata come sede degli uffici.
“Allora senti ah, a 85 metri la gà comexa’ a sortì ‘na roba che probabilmente xe la merda de Girardengo… o de to colleghi o del guardian!”
Il pozzo fu attivato a fine luglio con livello statico a quasi 100 metri e dinamico a 85, con buona pace di chi aveva previsto acqua in superficie.
E il bello di questa storia è che l’acqua quasi in superficie c’era, e ce n’era tanta da annegare il mondo.
A meno di 30 metri lineari di distanza dal pozzo fu realizzata dalla SMI2 (che nel frattempo aveva comprato lo stabilimento dall’IRI) una nuova fonderia.
Durante lo scavo delle fondamenta, della fossa di colata e di una grande vasca per lo stoccaggio della tornitura di ottone da sottoporre al lavaggio, fu necessario impermeabilizzare gli scavi più volte per evitare che scaturisse acqua in quantità incontrollabili.
La profondità massima raggiunta dagli scavi non superò mai i 20 metri.
Come volevasi dimostrare.
1 Lo stabilimento è ubicato in un’area che è una propaggine del terreno alluvionale denominato “della Fraschetta” che comprende una vasta regione a sinistra del fiume.,
2Società Metallurgica Italiana del Gruppo Orlando di Firenze