Complesso Conventuale dei Cappuccini a VOLTAGGIO
Premessa
Il Convento dei Cappuccini di Voltaggio è noto oggi soprattutto per la pregevole raccolta di quadri che custodisce al suo interno. Questo fatto ha contribuito a determinare una sorta di divisione fra Convento e Pinacoteca, quasi fossero due corpi distinti, due entità separate, mentre la collezione di quadri, seppure giunta in epoca tarda (fine 1800) nel Convento di Voltaggio, è stata per molti decenni parte integrante della Vita Cappuccina, quindi destinata ad un uso più privato che pubblico e funzionale a precisi programmi di comportamento, a coscienti tensioni di impegno ascetico e di personale perfezionamento dei monaci.
Cenni storici
II Complesso conventuale dei Cappuccini di Voltaggio sorge all’estremo limite meridionale dell’abitato, dove la Castagnola declina dolcemente verso il fiume Lemme, attraversato, un poco più a valle, da un ponte che risale agli ultimi anni del secolo XIX.
La sua storia è assai più antica e radicata nella vita del Paese rispetto a quella della raccolta di dipinti che ha dato origine alla Quadreria. Infatti, mentre quest’ultima si colloca nel secondo Ottocento ed è opera del collezionismo di un padre Cappuccino, la prima pone le sue basi sul finire del secolo XVI.
In quel tempo, la via di Voltaggio era consueta ai frati dell’Ordine, allorché a piedi (secondo la Regola) si recavano nelle città dell’entroterra padano o raggiungevano, per l’opposta direzione, Genova. Così al fine di offrire loro rifugio ed ospitalità, gli abitanti del Paese, delle cui istanze si fece portavoce Girolamo Scorza, proposero la costruzione di un convento; tale proposta venne deliberata nel 1595.
Poiché si dovette attendere il consenso del Serenissimo Senato della Repubblica di Genova, soltanto nel 1603 fu piantata la Croce nel luogo prescelto. I lavori procedettero alacremente e nel 1604 l’edificio venne terminato. La Chiesa fu costruita alcuni decenni più tardi e consacrata il 15 ottobre 1662, dal Vescovo di Albenga, Mons. Francesco De Marini (l’avvenimento è documentato da una lapide murata in controfacciata, a destra).
La costruzione originaria formava un quadrato aperto a ponente: a nord sorgeva la Chiesa; a sud, il primo braccio del dormitorio; a levante, il secondo, entrambi con doppio ordine di celle sui due piani.
La partecipazione di Voltaggio a questi primi anni di vita del Convento si esprime concretamente nei lasciti ereditari, negli oboli, nelle provviste che rappresentano una costante verificata in ogni tempo nel paese.
Il Convento pur costruito in prossimità del Lemme, fu dotato già nel 1620 di “acqua corrente” con un progetto di notevole contenuto tecnico, se rapportato ai modesti mezzi dell’epoca.
Nella vita del Convento non si registrarono cambiamenti di rilievo sino alla fine del secolo XVIII.
Il 26 aprile 1805, la Repubblica Ligure venne aggregata alla 27a Divisione dell’Impero Francese e Voltaggio entrò a far parte del circondario di Novi, nell’ambito del dipartimento di Genova.
Come tutte le istituzioni religiose, il Convento dei Cappuccini visse in quegli anni un’esistenza assai stentata e conobbe gravissime difficoltà fino all’incameramento dei beni dell’Ordine, avvenuta nel 1810.
Passato fra i beni del Demanio Pubblico, l’edificio religioso fu variamente utilizzato e più volte venduto.
Nel 1821 fu acquistato dal marchese De Ferrari, il quale lo restituì ai Frati, pur mantenendone la proprietà.
Il 29 settembre 1821, i frati rientrarono a Voltaggio; vennero compiuti i più urgenti lavori alle strutture murarie e, grazie ad una sottoscrizione, fu possibile riacquistare parte della suppellettile venduta all’epoca della soppressione. Passato indenne attraverso la legislazione della nuova legge sulla soppressione degli ordini religiosi (la proprietà De Ferrari rendeva il Convento un bene privato) il Convento fu ristrutturato in forma più radicale nel 1880, con l’essenziale contributo della Duchessa di Galliera.
Edificato un nuovo braccio a Ponente, ricostruito il tetto, rialzato il coro della Chiesa, il complesso conventuale risultò alla fine totalmente ripristinato.
A conclusione dei lavori, nel 1895, i Cappuccini riacquistarono l’immobile che tornò, quindi definitivamente tra le proprietà dell’Ordine.
Questa serie di iniziative è da collegare soprattutto al nome di Padre Pietro Repetto, la cui figura si identifica con la storia recente del Convento.
L’odierna sistemazione degli spazi mantiene le caratteristiche assunte dagli edifici di fine Ottocento. Anche l’utilizzo di due sale al piano-terreno del Convento (lati ovest e sud) a Museo non ha alterato in alcun modo l’insieme della struttura.
Nell’intero complesso, nato espressamente come convento dei Cappuccini, è agevole riscontrare la realizzazione architettonica consona ai canoni stabiliti dalla Regola dell’Ordine: tali caratteristiche sono fortunatamente sopravvissute alle vicende storiche e accomunano questo convento a molti altri Conventi Cappuccini della Provincia Ligure, a testimonianza di un unico motivo ispiratore.
In origine Convento e Chiesa sorgevano vicini, ma non compresi nel borgo dal quale li separava il fiume Lemme.
Ancora oggi, la via di accesso è costituita da una strada ciottolata in salita, alla quale fa da fondale la spoglia facciata della chiesa a capanna, dove si apre un grande finestrone semicircolare.
Questa essenzialità è un elemento tipico dell’architettura Cappuccina dal Cinquecento ai tempi più recenti. La chiesa è costituita da un’unica larga navata; ai lati due cappelle forano le pareti e sono collegate a vani di disimpegno.
Il bianco delle pareti contrasta vivamente con il legno scuro degli altari e dei parati di rivestimento. Altro dato comune sono le porte di accesso al coro situate nel presbiterio ai lati dell’Altare maggiore, sormontate da dipinti. Anche la sistemazione dell’austero coro alla cappuccina merita di essere evidenziata: l’arredo è assai semplice, in legno scuro e privo di decorazioni, come prescrive la Regola.
Caratteristica è anche la sistemazione della controancona, assai profonda e sporgente per la presenza della nicchia con la statua lignea policroma dell’Immacolata (Bartolomeo Carrea, 1803) al di sopra dell’Altare Maggiore.
La semplicità architettonica della Chiesa si ritrova nel nucleo compatto, scarsamente movimentato del Convento, in cui i vari ambienti sono caratterizzati da un estremo rigore, determinato dalla scelta di materiali poveri e dall’abolizione di elementi decorativi (vetrate preziose, mosaici, pavimenti policromi o altro…).