Raul SOLDI pittore di viaggi e miraggi
Foto in evidenza: Raul Soldi all’opera nel Teatro Colòn di Buenos Aires
del resto, alla fine di un viaggio, c’è sempre un viaggio da ricominciare…
C’è aria di valico e precipizio, di limitar di boschi e rocce memori: a Pietrabissara, la Valle Scrivia sembra stringersi in un nodo, a segnare il confine che, in una direzione, porterà subito a strade verso il mare, dall’altra scivolerà a dilatarsi di pianura. Ma Genova, qui, è davvero un’idea come un’altra, proprio quanto Milano. Anche le case solide, serie paiono un muro per frenare l’incontro fra monte e torrente, e a molti sfugge la presenza di una strada che s’inerpica là sopra. Oggi, con tante curve asfaltate, si sale tra ricordi e tracce di mulini e cave fino a Borlasca, Pinceto e altre piccole località: a fine ottocento, e nella prima metà del Novecento, un tuffo di mulattiera segnava un tempo di lontananza, cammino impervio per motivate ragioni, comunicazioni complicate e nemmeno troppo agognate.
Solo certe cadute di luce, certi nidi di muschio tra sassi nascosti o svolte di ruscelli tra i rami potrebbero essere riconosciute dagli abitanti che partivano verso un’America che, così come Roma, faceva loro paura. Quest’ultima, tuttavia, non è una suggestione di scrittura, ma la dichiarazione a un giornale, in cerca delle sue radici italiane in un paesaggio trasformato, di un artista tra i più noti del Novecento argentino: Raul Soldi (1905-1994), autore, fra le altre cose, del travolgente affresco della cupola del teatro “Colón” di Buenos Aires, e di una struggente cappella della basilica dell’Annunciazione a Nazareth. Ma, per raccontare la sua storia, dobbiamo tornare indietro.
Incontriamo una ragazza, agli albori del ventesimo secolo: è giovane, avvezza al lavoro in campagna, ormai sola dopo la morte del padre e l’emigrazione dei parenti più stretti. Dell’Argentina, probabilmente, conosce solo un sogno e una paura, quanto scaturisce da scarne lettere venute da un posto con le strade tanto larghe e piane da non vedere la fine, le stagioni al rovescio, città che inventano brulicante avvenire. Andare, e non voltarsi: meglio di un futuro dove non guardi oltre perché vedi solo creste boschive, nella frazione di Pinceto, con i giorni scanditi da vento, castagne e freddo rotolare di mattini. Come tanti prima e dopo di lei, chiede aiuto a un compaesano informato per ottenere i documenti, cede qualche terreno, e imbocca la strada per il porto, l’imbarco, una folla ignota.
Su quella nave, con Celestina, viaggiano anche il caso e i musicisti di un’ensemble cremonese, diretti in tournée. Tra questi, un violinista: un mondo intero sembra dividere i due, e, invece, contro ogni prevedibilità, si innamorano, e il loro sogno americano diventa di coppia. L’orchestrale non suonerà nei teatri che aveva immaginato, per poi tornare carico di racconti di musica, applausi e avventura. Giungerà oltreoceano pronto a sposare la ragazza cresciuta nel paesino, perfino a farle scoprire un talento musicale. Gli inizi della loro vita insieme non saranno facili, nonostante un tocco bohemienne che affascina: l’unico alloggio che riescono ad avere è nei sotterranei del teatro “Politeama”, poi in un edificio attiguo. Angelo Soldi, lo sposo, suona e interpreta piccole parti nei melodramma. Presto, nel 1905, viene al mondo un figlio, quel Raul che la cupola del nuovo teatro “Colón” la affrescherà. Il bambino cresce tra i ricordi di una terra che non conosce, una precoce passione per il disegno, grande fantasia, e, spiegherà, una lama di luce che attraversa uno spiraglio del sipario. Passano gli anni, Raul è ormai un ragazzo, le condizioni economiche della famiglia sono migliorate, e si può far rotta fino al paese materno.
Raul Soldi, diciannovenne, va incontro al suo destino. La sua passione artistica sboccia lontano dalla grande città, là dove il tempo pare galleggiare sugli alberi e la polvere povera, e non cambiare mai. La famiglia, che attira attenzione per il possesso di una macchina fotografica e per il dono di un radiotelefono all’isolata località, annunciato perfino sul giornale diocesano, viene ospitata da parenti a Borlasca.
Qui, nella chiesa parrocchiale, sono al lavoro alcuni decoratori e frescanti. Raul osserva, poi si accinge ad aiutarli. E prende coraggio, tanto da domandare al parroco il permesso di dipingere la figura di San Fermo sopra la porta dell’omonima cappella di Pinceto.
Il sacerdote è dubbioso, ma il giovanissimo artista lo convince con un pizzico di senso pratico: gli ricorda che, se il risultato non sarà soddisfacente, a cancellarlo basterà una mano di bianco. Quel dipinto, invece, entra nel cuore del paese. Purtroppo oggi non resta che un bozzetto. Negli anni Ottanta, con fatale disinvoltura, l’originale fu ricoperto.
Raul, in quel grappolo di case scabre, vede aprirsi la strada del futuro.
Il ritorno diventa la sua partenza: traduce in un dipinto, di taglio accademico ma intenso, anche il desiderio di sua madre di fare un dono alla chiesa locale. Per questa occasione dipinge un “Ecce Homo”, e si concede un piccolo vezzo stilistico: la sua firma è parzialmente celata tra i capelli del Cristo. Nel frattempo, accumula schizzi del paesaggio collinare, dei boschi, delle rustiche costruzioni. Si cimenta anche con la ritrattistica, con qualche complicazione da commedia, poiché la bambina potenzialmente sua modella prediletta odia posare e fugge e si nasconde, con sgomento della famiglia fiera della figliola con le trecce bionde e gli occhi cerulei.
Negli anni seguenti, con diversi soggiorni e fino al definitivo ritorno in Argentina nel 1932, Raul Soldi compirà in Italia anche i suoi studi e le prime esperienze artistiche ufficiali: Brera, la vicinanza coi Chiaristi lombardi, la frequentazione della galleria Il Milione nella cerchia di Aligi Sassu e Giacomo Manzú.
Tornato a Buenos Aires, vive una vera esplosione creativa che corrisponde a una fama crescente. Dal 1940, secondo i critici, sviluppa il suo periodo più felice sul piano pittorico. Ritrae figure di circensi e girovaghi, di musicanti e acrobati, immersi in luci morbide e colori soffusi, come in viaggi dell’immaginario e in miraggi onirici.
Come Fellini con la sua nota frase, anche Raul Soldi diventa un aggettivo: “soldinas” si dice di cose sognanti e vagamente nostalgiche. L’apice sarà proprio la cupola del teatro.
Curiosamente, però, uno dei momenti più alti della carriera di Soldi tornerà a riguardare un paesino, Glew, nella campagna argentina, e una modesta chiesa al cui parroco l’artista chiede il permesso per affrescare le pareti. Nasce così un importante ciclo pittorico, e perfino il cronista di un rotocalco coglie un rimando a una vecchia cappella italiana, e sale a Pinceto per un reportage.
Anche Raul Soldi, negli anni settanta, era tornato su queste colline, cogliendo la trasformazione inarrestabile, imprevista, e, nel contempo, certe segrete immutabilità.
Il giornale argentino ipotizza che Soldi affreschi le sue figure anche quassù, ma non si va oltre l’idea. Raul Soldi muore, celeberrimo, a 89 anni.
Chi ha un po’ di fantasia, può vedere figure evanescenti di circensi in certi stracci di foschia che la primavera e l’autunno dimenticano tra le piante sempre più fitte di abbandoni, e colorarle con pensieri non detti di vecchie partenze.