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SERICANO, Giuseppe (Brescia)

Partigiano, deportato, testimone civile (Serravalle Scrivia, 29 settembre 1923 – 29 marzo 2017)

Nasce e trascorre la giovinezza in una cascina in località Crenna, dove aiuta i genitori nella conduzione dei campi.
Chiamato alle armi è in servizio militare come alpino a Ivrea al momento dell’armistizio (8 settembre 1943). Riesce a sfuggire all’arresto da parte dei nazisti e a raggiungere casa.

Per alcuni mesi rimane nascosto, ma dopo la promulgazione il 18 febbraio 1944 del Bando Graziani che prevede la pena di morte per i renitenti, il pericolo di essere arrestato è enorme:  per lui, come per tutti i ragazzi delle classi 1923, 1924 e 1925, non è più possibile restare nascosti. Giuseppe Sericano decide di non rispondere al bando e di raggiungere le bande partigiane in fase di costituzione intorno al monte Tobbio.

Il BANDO GRAZIANI in uno dei tanti manifesti che che comparvero sui muri delle città italiane occupate nel febbraio 1944

Le sue testimonianze, di cui diremo più avanti, rappresentano un documento di grande rilievo per ricostruire, insieme alla sua vicenda personale di deportato, alcune fasi del rastrellamento della Benedicta, in particolare la sorte toccata ai ragazzi di Serravalle Scrivia. Conviene dunque seguirla passo passo, per la sua eccezionale rilevanza storica (Nell’articolo Giuseppe Sericano testimone civile dell’eccidio della Benedicta e della deportazione è possibile leggere integralmente il testo della prima testimonianza rilasciata da Sericano di cui si ha documentazione scritta).

Avevo vent’anni. Non avevo, diciamo, preparazione politica…Piuttosto che andare a finire con quella gentaglia di tedeschi o che, abbiamo cercato di andare dove andavano i più tanti, va! Alla Benedicta eravamo mezzi sbandati, perché c’era poco ancora: non c’era armi, non c’era niente!

Come per molti giovani nati e vissuti nel ventennio fascista la scelta di aderire alla Resistenza non è frutto di una precisa posizione politica (che per quasi tutti matura proprio nei mesi dell’esperienza partigiana) ma piuttosto del rifiuto della guerra di cui il fascismo propagandava la bellezza e la realtà quotidiana  si era incaricata di svelare l’orrore.


I luoghi in cui matura la scelta resistenziale sono la famiglia e soprattutto la comunità locale: a Serravalle, come in tutti i paesi dell’Italia occupata dai nazisti e dai fascisti di Salò, gruppi di amici discutono tra di loro e decidono di partire insieme per raggiungere le bande partigiane:

Partimmo,  un gruppo di 12 o 13 di Serravalle nella prima decade di marzo, avevamo una pistola Beretta e due pallottole; ricordo che c’era ancora la neve molto alta e, dopo essere andati in comune per farci fare lo scontrino ferroviario per Tortona, fingendo di presentarci ai repubblichini, salimmo invece sulle montagne raggiungendo dapprima la località “Sermoria” presso Carrosio. Era notte e ci ricoverammo in una stalla in attesa che facesse giorno. Poi un di Serravalle ci portò al Roverno, dove trovammo il capitano Odino e il tenente Merlo.

I ragazzi di Serravalle salgono verso la Benedicta

Sericano però è un ex alpino e si rende conto che l’organizzazione proposta e imposta da Odino non è adatta per una formazione partigiana, né dal punto di vista militare né, soprattutto, sotto l’aspetto etico:

Il capitano Odino raccoglieva i figli di papà provenienti da Genova e li portava su per tenerli lì nascosti. Quando, poi, c’era da fare qualche azione o andare in missione a fondovalle per fare rifornimento di viveri, andavano sempre gli stessi.
Odino ci faceva fare istruzione militare formale, che nulla ha di partigiano: il saluto, l’attenti, il presentatarm, come presentarci al superiore, etc. passandoci di volta in volta quei due o tre moschetti che avevamo; io a Odino gli dicevo che ci sarebbero volute delle armi e che l’istruzione doveva riguardare come sparare e come ammazzare i fascisti e non le vecchie formule del fu regio esercito. Tutto ciò era oggetto di contestazione da parte mia verso il cap. Odino, e costui per tutta risposta mi chiamava sovversivo, anche perché portavo sul berretto un nastrino rosso di paracadute che era stato lanciato a quelli della Benedicta.

Mercoledì 5 aprile 1944 mentre è di guardia Sericano viene avvertito  da un uomo proveniente da Voltaggio dell’inizio delle operazioni di rastrellamento. Corre ad avvertire Odino, il quale decide di spostarsi verso la Benedicta. Pino Sericano non è d’accordo, percepisce il pericolo di ritrovarsi nella zona controllata dai nazisti; si stacca dai compagni e, in compagnia di un suo cugino in forza alla banda, inizia a vagare per i campi al di sotto della Benedicta.
Cercano di passare tra le maglie del rastrellamento senza fortuna; restano nascosti sino a quando, nel tardo pomeriggio di venerdì 7 aprile, decidono nuovamente di tentare di sganciarsi dal rastrellamento:

I movimenti nazifascisti per circondare i partigiani attestati alla Benedicta

all’imbrunire del venerdì ci spostammo verso la Carrosina e, nel tragitto, vedemmo passare un grosso gruppo di nostri compagni scortati dai tedeschi: erano i sopravvissuti dalle fucilazioni della Benedicta, che venivano portati a Voltaggio e, non avendovi trovato posto, trasferiti a Genova alla Casa dello Studente. Anche lì era pieno, e lo stesso al carcere di Marassi, per cui furono riportati nuovamente a Voltaggio: fra costoro c’era Marco Guareschi e altri nove o dieci. Mentre eravamo nascosti sotto la Benedicta sentivamo le raffiche di mitraglia attenuate dal rumore del corso d’acqua, ma pensavamo ad altro che ad un eccidio del genere; non si udivano urla o lamenti.

Il tentativo non riesce, Sericano e il cugino vengono individuati da un gruppo di tedeschi e si dividono. Dopo una giornata nascosto nel greto del Gorzente Sericano decide di spostarsi verso gli Eremiti dove però viene intercettato da un gruppo di tedeschi e fatto prigioniero. Sfugge alle minacce di fucilazione immediata ma viene portato a Voltaggio, subisce un pestaggio e inizia di fatto il suo viaggio verso il campo di concentramento.

A Voltaggio venni portato nelle camere di sicurezza della stazione dei carabinieri che era custodita da un carabiniere ausiliario e nella cella trovai Daffunchio di Serravalle, morto a Mauthausen,, Marco Guareschi. Daffunchio e Marco mi riferirono in quel l’occasione che alla Benedicta erano stati uccisi tutti i nostri compagni e che loro avevano già girato la Casa dello Studente, Marassi, ed erano stati riportati a Voltaggio, da. dove erano partiti, perché a Genova non c’era più posto. Da loro seppi anche che erano stati uccisi tutti quelli di Serravalle e che Bagnasco era stato fucilato poco prima dietro il cimitero di Voltaggio.

Sericano e gli altri prigionieri vengono condotti a Novi Ligure, dove li attende un treno formato da carri bestiame sui quali sono costretti a salire stipati uno sull’altro:

L’unica persona che venne a parlare fu la signora Guareschi, la mamma di Marco, che conosceva la lingua tedesca: salutò il figlio, che era nello stesso carro ferroviario di noi di Serravalle, e parlò un po’ con tutti per rincuorarci.
Due o tre ore prima di partire da Villa Rosa, nel pomeriggio del martedì, avevamo avuto la visita di due signori borghesi e di una donna, che erano venuti là in macchina e ci avevano fatto firmare una dichiarazione che diceva che andavamo volontari in Germania a lavorare; era una specie di contratto e di “libero” impegno da parte nostra. Nei vagoni, però, furono applicate delle scritte in tedesco che dicevano “Deportati politici pericolosi” – “Campo di concentramento di Mauthausen.

Sericano e gli altri due serravallesi partono verso il campo di concentramento con il convoglio numero 39 formato probabilmente a Genova (8 aprile?) e partito da Novi Ligure il 121. Dopo cinque giorni terribili ed estenuanti di viaggio (“Abbiam fatto un buco per poter sporcare, andare di gabinetto, se no dovevamo farlo su della carta, se ce n’era, o berretti, finché c’era dei berretti, poi li buttavamo giù dal finestrino…”), il 16 aprile 1944 il treno arriva a Mauthausen.

Fummo subito rapati e denudati, portati sotto le docce, bollente e ghiacciata, all’uscita ci diedero un paio di mutande, una camicia e un paio di zoccoli, composti da una tavoletta di legno segata a forma di piede e da un filo di ferro che andava sul dorso del piede.
Ci guardavamo un po’ in faccia, e…. non ci conoscevamo più! Io cercavo i miei  compagni, non li conoscevo più! E poi mi han chiamato Daffunchio e  Guareschi: ma chi è che li riconosceva rapati a quel modo lì? Tutti nudi! E rapati!
 Fummo, poi, portati nelle, baracca della quarantena. Noi avevamo il triangolo rosso con la punta in giù.

Sericano perde quasi subito i contatti con i due amici serravallesi perché viene trasferito a Gusen, dove viene impiegato nella produzione di materiale destinato all’aeronautica tedesca: “Dodici ore di lavoro duro al giorno, ci concedevano mezz’ora per mangiare un po’ di pane nero e un mestolo di brodaglia di rape”

Gusen è uno tra i più terribili sotto campi di Mauthausen:  la mortalità dei deportati supera il novantacinque per cento. Sericano si salva solo grazie a una serie di circostanze terribili e fortunate allo stesso tempo:


Nella disgrazia che mi è successa c’è stata la mia fortuna. Sono stato morsicato da un cane dobermann di un soldato SS a un polpaccio, una ferita profonda..
Marco visita e vengo trasferito nella baracca di annientamento (eliminazione) dove chi entrava non usciva più vivo. Questa baracca faceva parte del campo, ma si trovava in un altro recinto dove passava la ferrovia, nei pressi delle cucine. I morti, dopo averne preso il numero di matricola per l’identificazione, venivano caricati su carri ferroviari e portati al crematorio di Gusen o Mathausen.
In questa baracca di eliminazione entrammo la sera di domenica in 380 e alla sera del martedì eravamo rimasti in 25. Il boia era un ucraino e dopo averci messo in fila, nudi, col solo numero di matricola sul petto, dava un colpo di bastone ad imo ad uno alla nuca e il prigioniero che seguiva doveva mettere il piede sulla gola del colpito, che era ovviamente caduto a terra di solito già morto, e impedirgli di respirare finche non dava più segni di vita. In pratica ci facevano ammazzare fra di noi. In 13 mesi fu la prima volta che pensai a mia madre e piansi, vedendo la morte in faccia.
Senonché, mentre ero in fila con gli altri per essere eliminato, entrò un capitano tedesco con un tizio che aveva una fascia ad un braccio. seppi poi che era della croce rossa internazionale. Mi ricordo ancora le parole che disse: “Adesso basta uccisioni”. Ci guardò, poi tutti uno per uno e afferrai un’espressione di rammarico in italiano: “Caspita, in che condizioni sono ridotti”. La vita nel Lager faceva perdere ogni sentimento, prevaleva in noi il desiderio di sopravvivere e spesso,  per questa esigenza, non si era più uomini, ma bestie.

Siamo nell’aprile 1945, la guerra sta volgendo al termine. Il 5 maggio il campo di concentramento di Mauthausen-Gusen viene  liberato dalle avanguardie dell’11° divisione corazzata statunitense. Giuseppe Sericano è uno dei pochi sopravvissuti:

ero indebolito, pesavo 31 chili… Devo dire grazie ai fratelli Tuo, Pietro e Salvatore, di Sampierdarena perché mi hanno portato fuori; io non ero in grado di camminare, e allora hanno legato due grossi bastoni e mi hanno fissato nel mezzo e  io son riuuscito ad uscire dal campo così…

Sericano viene visitato: è molto debilitato e ferito ma è in condizione di intraprendere il viaggio verso casa. Dopo alcuni giorni di quarantena, Insieme ad altri compagni di prigionia, inizia il tortuoso percorso da Mauthausen verso il Piemonte. Sono necessari giorni, perché le linee ferroviarie sono interrotte in diversi punti a causa dei bombardamenti e le strade sono anch’esse in condizioni disastrose.
Arriva a Serravalle a metà giugno 1945 e quasi nessuno lo riconosce, anzi, c’è perfino chi lo considera un impostore. Del resto era già stato dichiarato morto insieme ai suoi compagni di prigionia:

Quando sono arrivato, proprio quella settimana lì, avevano messo un manifesto che ci sarebbe stata una funzione per Angelo Daffunchio, Marco Guareschi e Giuseppe Sericano, perché qui in paese avevano detto che ero morto. E io sono andato alla funzione, e hanno cancellato il nome dal manifesto”.

Rimane a casa alcune settimana e poi, dopo diverse visite di controllo, viene ricoverato all’Ospedale di San Martino di Genova dal luglio al novembre 1945. Uscito dall’ospedale cerca lavoro ma non riesce a trovarne…. “Tu sei tubercoloso”, si sente rispondere… Si arrangia come può, con lavori saltuari, sino a quando decide di raggiungere una zia emigrata in Argentina che è  riuscita a trovargli un lavoro stabile.
In Argentina, dove si sposa, rimane per circa dieci anni.

Documento di riconoscimento rilasciato dalle autorità militari statunitensi

Ritorna in Italia nel 1958 e per molti anni sceglie di non parlare della sua esperienza concentrazionaria. Nei  primi anni Settanta, viene contattato da Carlo Demenech, un ex partigiano superstite  del rastrellamento della Benedicta diventato Vicequestore di Alessandria. Demenech sta conducendo una ricerca per ricostruire il rastrellamento e l’eccidio della Benedicta incentrata sulle testimonianze dei sopravvissuti. Sericano si lascia convincere e rilascia per la prima volta una lunga testimonianza riportata i questo sito (si vedano glia approfondimenti).

Da allora diventa uno dei più importanti testimoni civili del novese e della provincia di Alessandria. Rilascia diverse interviste, sia audio sia video, e contribuisce con la sua testimonianza alla realizzazione di importanti ricerche sull’eccidio della Benedicta e sulla deportazione in Piemonte. Partecipa a molti dibattiti pubblici e interviene spesso con la sua testimonianza sulla deportazione a laboratori didattici nelle scuole di Serravalle e della provincia. Collabora assiduamente, sino a pochi mesi dalla morte, con l’Associazione Memoria della Benedicta.

Giuseppe Sericano ha ottenuto il riconoscimento di Partigiano  combattente nelle fila della Terza Brigata Liguria.



Intervista filmata con Giuseppe Sericano realizzata ne 2007 dalla scuola secondaria di I grado “Martiri della Benedicta” di Serravalle Scrivia

Una lunga intervista video con Giuseppe Sericano è disponibile sul sito dell’Associazione Memoria della Benedicta


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  1. secondo fonti Aned e secondo alcune ricostruzioni storiografiche il convoglio partì da Novi Ligure l’8 aprile. Tuttavia pare più plausibile la data del 12 sia in base alla cronologia del racconto di Sericano, sia perché l’8 aprile sembra troppo vicino alla data del rastrellamento per poter organizzare il convoglio []

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