Serravalle: la Scrivia e l’Autostrada
Il fiume e l’importante via di comunicazione sono sempre stati, nel bene e nel male, due grandi peculiarità del territorio Serravallese.
Quanto di positivo abbiano generato il torrente e la strada che pone Serravalle al centro del triangolo industriale GE-TO-MI lo sappiamo tutti.
Sappiamo bene quanta gratitudine devono i serravallesi e in genere tutto l’Oltregiogo, a questa fortunata combinazione che ha favorito l’insediamento di numerose attività logistiche, industriali ed economiche, facendo fiorire l’economia di tutta la valle e delle zone limitrofe.
La ricchezza d’acqua, gli spazi disponibili, la stazione ferroviaria e il casello dell’autostrada pressochè in paese hanno posto Serravalle in una condizione molto privilegiata, da questo punto di vista.
Proprio l’autostrada, però, e l’incolpevole torrente – nonché alcune delle attività industriali insediatisi lungo il corso di entrambi – sono stati anche causa di fortissimi disagi che la popolazione ha subito nel corso degli anni.
Fra i tanti episodi “NEGATIVI”, ricordo bene alcuni incidenti accaduti negli anni Settanta, Ottanta e Novanta del secolo scorso, con una caratteristica comune: il trasporto di veleni in autostrada e gli incidenti con susseguenti sversamenti di sostanze tossiche o velenose nella Scrivia associati alla chiusura degli acquedotti e alla sospensione dell’erogazione dell’acqua.
Secondo la Polizia stradale, come riportato dalla stampa dell’epoca, seicento di queste «bombe chimiche» ogni giorno transitavano sulla A7, in particolare nel tratto fra Serravalle e Ronco Scrivia, che era (ed è) il tratto col maggior numero di incidenti dell’intera autostrada Milano-Genova.
La Valle intera viveva sotto la spada di Damocle di un disastro ecologico.
Accadeva sovente che per l’inquinamento del torrente Scrivia a monte dell’acquedotto che allora serviva la nostra area, l’erogazione dell’acqua potabile venisse temporaneamente sospesa.
Più frequentemente le emergenze riguardavano, se ricordo bene, l’inquinamento da sostanze organiche, a seguito di forti piogge, o sversamenti accidentali.
Il danno maggiore, tuttavia, che comportò uno stop lunghissimo del servizio di erogazione, fu dovuto alla caduta del rimorchio di un’autocisterna nel torrente, a Pietrabissara, con conseguente perdita totale del carico costituito da più di diecimila litri di una sostanza tossica nota col nome chimico di tetracloruro di carbonio.
L’incidente accadde negli ultimi giorni del caldissimo mese di giugno del 1977, proprio quando il consumo idrico, come solitamente avviene in estate, raggiunge il massimo.
Non solo fu comunicato, come nei casi “normali”, il divieto d’uso dell’acqua per bere o per cucinare facendola preventivamente bollire prima dell’uso, ma furono anche fermate tutte le stazioni di pompaggio e l’intera zona, da Isola del Cantone a Tortona e oltre, restò senza una goccia d’acqua potabile.
Furono interessati dalla fermata, oltre a Serravalle, i comuni di Arquata, Cassano, Novi, Pozzolo, Villalvernia, Tortona, Carbonara, Carezzano, Castelnuovo Scrivia, Alzano e Molino dei Tordi, ai quali va aggiunto Cornale, in provincia di Pavia
Fermi gli acquedotti, nello stesso tempo le popolazioni furono invitate a non prelevare, per nessun motivo, neppure a scopo di irrigazione, le acque della Scrivia, dove inoltre non ci si doveva neppure bagnare.
La mancanza di rifornimento adeguato provocò, anche nella zona di Serravalle, la fermata di alcune industrie dolciarie, mentre altre furono costrette a lavorare ad orario ridotto.
Il primo problema di cui la prefettura si fece carico fu quello del rifornimento idrico. Fu creato un apposito ufficio, diretto dal viceprefetto, che ebbe il compito di coordinare l’invio di autobotti nei vari centri che ne erano sprovvisti. L’acqua di queste cisterne, che si approvvigionavano in fonti non inquinate dal tetracloruro, prima dell’uso doveva comunque essere bollita. Un servizio abbastanza tempestivo, che però non evitò i disagi: non si moriva di sete, è vero, ma la situazione era d’emergenza sia nelle case che nelle fabbriche e nelle attività artigianali per le quali l’acqua potabile era indispensabile.
Molte industrie anche nel Territorio di Serravalle dovettero fermarsi, a cominciare da quelle che producevano dolci e cioccolato.
Personalmente mi trovai a gestire due emergenze. Una, piccola e comune a tutte le famiglie, risolvibile andando ad attingere acqua con taniche e bidoni in altri paesi serviti da acquedotti differenti dal nostro. Il giorno successivo, comunque, arrivarono nelle piazze principali le cisterne ove la gente poté attingere l’acqua più agevolmente, con meno disagio e perdita di tempo.
L’altra emergenza, più pressante, dovetti affrontarla al Delta in qualità di responsabile della prevenzione infortuni e dell’igiene del lavoro;
in fabbrica lavoravano più di ottocento persone, su tre turni giornalieri, in quei giorni tutti senz’acqua per potersi lavare a fine turno. Molti lavori, in stabilimento, allora, erano insudicianti, per cui l’igiene delle mani durante il giorno, e la doccia a fine turno erano basilari per la sicurezza personale.
La mensa aziendale, inoltre, non poteva cucinare né lavare piatti e stoviglie, e le maestranze cominciarono a mugugnare sempre più forte. Effettivamente lo stare davanti a un forno fusorio o lavorare alle presse con solo un panino o due, rendeva difficile il reggere fino al termine del turno.
Non c’erano società di catering che potessero allora garantire l’allestimento per due volte al giorno di 250-300 pasti caldi…
La questione degli spogliatoi e dei fontanili dei servizi igienici di reparto fu risolta allestendo a tempo di record un impianto provvisorio di adduzione d’acqua industriale, acqua, per intenderci, pescata nei pozzi artesiani dell’azienda. Quest’acqua non aveva le caratteristiche di potabilità ma andava benissimo per l’igiene personale e la pulizia degli ambienti.
Per la mensa ci volle in un po’ più di tempo, perché non si riuscivano a trovare botti idonee nemmeno a pagarle a peso d’oro, essendo tutte quelle disponibili impegnate già nei vari comuni “assetati”.
Ne trovammo, finalmente un paio sufficientemente capienti e, con una pompa, le collegammo alle utenze della cucina della mensa aziendale per recuperare un minimo di normalità nella preparazione e nella distribuzione dei pasti… E fu un andirivieni continuo verso i comuni delle colline per riempirle di nuovo non appena si svuotavano.
L’allarme cessò dopo parecchi giorni. Ma la gente e anche molti responsabili dei comuni (primo fra tutti, ricordo, il sindaco di Novi, Pagella) avevano ancora tante perplessità circa la potabilità, nonostante le ultime analisi fossero rassicuranti. Queste comprensibilissime paure fecero durare più a lungo lo stato di “emergenza”.
DOPO DUE MESI si ritornò piano piano, complice il caldo di quei giorni, alla normalità.
Mai però a Serravalle fu venduta tanta acqua minerale come in quel periodo. E tanti continuarono ad andare a riempir taniche alle fontane sulle colline fino all’autunno inoltrato.
Una priorità si era evidenziata per Serravalle: le pompe di attingimento dovevano essere spostate dall’alveo dello Scrivia anche perché questo non fu né l’unico e né l’ultimo degli incidenti che ne provocarono un pericoloso inquinamento, con moria di pesci e danni ambientali notevoli.
Quando non erano i camion a cadere nel fiume erano le raffinerie, le industrie pesanti e i depositi di carburanti insediati vicino alle sponde a far paura.
Oggi, almeno da questo punto di vista possiamo stare più sicuri. Col tempo pressoché tutta Serravalle è stata messa in condizione di essere alimentata idricamente da acquedotti molto lontani dall’alveo della Scrivia (alta Val Borbera, Cosola…).