Feste di Natale in corso
Immagine in evidenza: Giuseppe (Oscar Isaac) e Maria (Keisha Castle-Hughes) con Gesù Bambino nel film “Nativity Story” di Chaterine Hardwicke
Considerando il culto, va tenuto in conto che, quando poco più di 150 anni fa fu proclamata la Madonna Immacolata, alla ricorrenza dell’8 dicembre venne subito premessa una apposita novena, e questa preparazione contribuiva a suo modo a creare le premesse che di lì a poco avrebbero introdotto nel periodo natalizio vero e proprio.
Passate le varie soppressioni napoleoniche ed il periodo dell’Unità d’Italia, la religiosità popolare riprende in qualche modo le pratiche che sono costituite per lo più da devozioni popolari. E’ confortante vedere che i contatti sia con la Liguria che con la pianura, sia verso Piemonte che verso Lombardia, portavano anche da noi qualche possibilità di allestire il presepe in casa con piccole statuine in gesso o materiali affini.
I figurinai erano per lo più artigiani che lavoravano in casa ma se ne trovavano pure nelle fiere, cosicché sicuramente i nostri nonni avevano in casa qualche statuina di gesso o di terracotta, acquistata magari a Genova o da qualcuno (artigiano o ambulante) in qualche occasione, indi custodite gelosamente, avvolta delicatamente nella carta dopo l’uso.
Se il presepe non passava alle successive generazioni della stessa famiglia, almeno un soggetto non sarebbe mai stato ceduto a terzi: la statuina di Gesù Bambino (che veniva collocata nel presepe solo il 24 dicembre al ritorno dalla Messa di mezzanotte od il 25 al risveglio e che, se era fissata alla capanna, veniva tenuta velata prima di tale data). I costi non potevano permettere l’acquisto di più di una sola statuina l’anno, o di una casetta (di solito realizzata in sughero decorato); il resto l’avrebbero fatto la fantasia e i materiali raccolti localmente, a cominciare dalla rùfa (muschio), dalla tepa (sughero o corteccia d’albero), dall’irrinunciabile segatura o dalla sabbia, per realizzare il deserto.
Qualche papà che lavorava nelle numerose officine ed imprese locali, si cimentava nei primi rudimentali sistemi di illuminazione composti con luci residuate da qualche auto rottamata o da qualche banco d’elettrauto. Su tutto dominava l’abbondante impiego di fili elettrici a cui venivano allacciate “in serie” lampadine che finivano prima o poi per fulminarsi creando tutta una serie di problemi poiché bisognava smontare la cordoniera o quantomeno far passare una ad una le lampadine, per individuare e cambiare quella bruciata. In tempi più recenti, invece, tra i possibili fornitori di materiale presepistico sono ancora presenti, almeno nel ricordo di qualcuno, i negozi di Romeo Canuto o le cartolerie di Angelina o di Pelikan (Mariangela e Walter Pestarino), che presentavano una ricca rassegna di statuine ed accessori, in particolare la carta stellata e quella per simulare le montagne e le rocce, di fabbricazione scrupolosamente italiana. Quanto alle luminarie, fino agli anni ’80 era caratteristica quella che addobbava l’enorme abete presente all’ingresso dello stabilimento Inga Gambarotta. Una volta dismessa sia per obsolescenza, sia perché lo stabilimento chiuse, pare fosse finita all’Oratorio dei “bianchi” grazie all’interessamento di Scupélu ed usata per la facciata in occasione della festa della Madonna Assunta, ma divenne ben presto inservibile dato il numero elevato di raccordi da collegare e di portalampada da sostituire.
Dalle case l’allestimento della Natività era già prima passato alle nostre chiese ed è per questo che abbiamo nella parrocchiale addirittura alcuni “movimenti” come il mulino, la macina, il fabbro, l’arrotino, l’altalena, la capanna con la culla che oscilla, realizzati con rudimentali meccanismi da ingegnose mani che si riunivano alla sera o nel tempo libero per giungere a presentare annualmente qualche pezzo che potesse incuriosire di volta in volta di più. Secondo “Stenin” Mongiardini, i sagrestani dell’Oratorio dei “bianchi” avrebbero realizzato rudimentali statuine in terra cruda, attualmente disperse. Tornando alla Collegiata, quando poi si poté disporre pure dell’elettricità e di qualche “motorizzazione”, ecco che l’ingegno ad esempio di Gian Cravero approntò di sua progettazione e costruzione, una apposita pista di contatti elettrici su un disco di vinile che, fatto avanzare a basso numero di giri, permetteva effetti luce quali il giorno e la notte. Un motore di una lavatrice alimentava invece un apposito canale sagomato a forma di corso d’acqua all’interno dello scenario, almeno finché la tubazione tenne, salvo allagare la navata della chiesa parrocchiale nel periodo dell’Epifania a metà degli anni ’80.
Quel che non cambiava quasi mai, di solito, era lo scenario, eccetto quelli realizzati da don Turrici con installazioni di tipo denuncia delle situazioni post moderne, o col titolo provocatorio “Gesù nasce ancora solo”, privo di personaggi e con la presenza solo degli animali (alcune pie donne parrocchiane che non compresero il senso dell’allestimento, rimasero inorridite e sentenziarono: “sàinsa San Giusèpe e a Madóna, e Bambéin u smìa e fiö di’n òsi e d’in bö”). La collocazione del presepe era in apposita struttura costruita nei pressi dell’altare dell’Addolorata, da qualche anno è presso l’altare del Rosario. Degni di menzione gli allestimenti (fondali e paesaggi) a cura di Gigino Ferrari che vi profondeva la sua arte ed estro di decoratore. Per fortuna Gianni Torchia e gli Amici dell’Arte ne perpetuano l’opera.
In chiesa era attesa innanzitutto con fervore la celebrazione della Novena di Natale con appositi rituale e melodie, durante il quale venivano cantate le profezie che annunciavano l’incarnazione del Salvatore. Tale era l’affluenza che per venire incontro alle occupazioni dei fedeli, il canto della Novena avveniva sia al mattino che al pomeriggio, in orario di Messa, per favorire la partecipazione di chi andava a lavorare o tornava a casa dopo le sue occupazioni. Non c’era un vero e proprio momento in cui collocare sull’altare (sul trono sopra il tabernacolo e non in navata come accade ora) la statua del Bambinello, se non il giorno delle preliminari pulizie e preparativi della chiesa. In ogni caso il simulacro era coperto da un velo bianco o dorato che il celebrante avrebbe tolto all’inizio della messa, al canto del Te Deum (canto attribuito a Sant’Agostino).
Poiché è stato fatto accenno inscindibile alla ricorrenza del 6 gennaio, vale la pena ribadire la denominazione con cui questa data era fino a pochi anni fa normalmente conosciuta da tutti, e cioè Pasquetta. Dite quel che volete ma quella che i mass media ci propongono attualmente come Pasquetta (intendendo il Lunedì di Pasqua o “dell’Angelo” che dir si voglia), Pasquetta NON è perché, dato quanto sarà spiegato qui di seguito, Pasquetta è il giorno dell’Epifania, che cade il 6 gennaio. Questo poiché nel giorno dell’Epifania del Signore, culmine delle ricorrenze natalizie, è consuetudine antichissima annunciare la data del prossimo giorno di Pasqua e delle altre feste le cui date scaturiscono da essa.
Tale uso è da connettere alle lettere festali che anticamente da Alessandria d’Egitto, luogo dove gli studi astronomici erano particolarmente fiorenti, venivano inviate alle Chiese per notificare (altri mezzi di comunicazione di massa non esistevano ancora) la data della celebrazione solenne della Pasqua che come noto, viene calcolata ancor oggi in base alle fasi lunari. Da Natale ci si dava così appuntamento a Pasqua e da qui alle altre grandi ricorrenze cristiane.
Non risulta continuità di svolgimento del presepe vivente, eccetto qualche breve corteo in abito “a tema” e con qualche animale, tra piazza Bonaventura e la Collegiata, come atto di ingresso della Messa della notte santa, avvenuto ad inizio anni ’90 per poche volte. Proseguendo negli allestimenti occorre invece una trattazione specifica per l’albero.
Da noi non è l’abete di nordica tradizione anche se su di essa sono inseriti riferimenti cristiani. Nel nostro Appennino si tratta di un ginepro (Juniperus communis), o almeno di un ramo di ginepro. Secondo alcune leggende, il ginepro (noto per le sue proprietà fitoterapiche esaltate nell’antichità dall’alchimia e dalla medicina galenica) sarebbe stato la pianta dietro la quale si sarebbe nascosta, riparata ed ombreggiata la Sacra Famiglia in fuga verso l’Egitto (verosimilmente si potrebbe trattare di un altro tipo di ginepro, quello fenicio: Juniperus phoenicea).
Cosicché questo sempreverde che fino a non molti anni fa abbondava pure nei nostri boschi, divenne il ramo da decorazione tipico dell’inverno e della festa più importante che in questa stagione ricorre. Le decorazioni erano poche, semplici, si potrebbe dire che fossero addirittura misere se paragonate all’abbondanza e varietà di quelle oggi proposte dal mercato. Tuttavia erano significative degli sforzi fatti per procurarsele e della gioia ingenua dei destinatari nel vedersele arrivare. E qui viene il difficile, ossia bisognava fare l’albero ma bisognava assolutamente aspettare il 24/25 dicembre per staccare dallo znàivru le delizie che vi venivano attaccate come decorazioni.
Sì, poiché esse erano costituite da caramelle, agrumi, fichi secchi, il tutto infilzato su un filo che faceva il giro dell’ “albero”. Volendo arricchirlo, si potevano aggiungere striscioline di carta, meglio se lucida come ad esempio quella delle caramelle. Solo qualcuno avrebbe avuto la possibilità di vantare tra gli addobbi qualche palla o animaletto (uccellino con coda di vera piuma) o campanella di vetro soffiato, anch’essa gelosamente procurata e custodita come cimelio di famiglia.
Sotto l’albero sicuramente una cosa NON c’era: i regali, perché questi non li portava Babbo Natale o Gesù Bambino, ma i Re Magi o la Befana, quindi bisognava aspettare ancora fino al 6 gennaio. Qualcosa, con l’arrivo del boom economico, cominciò ad arrivare prima: ovvio che qualche bambino avesse intuito il ‘business’, programmando le consegne, con Gesù il 25 dicembre e i Magi il 6 gennaio; insomma l’importante era che arrivassero regali (auspicabilmente più di uno e più di una volta sola). Naturalmente non bisognava disturbare il passaggio di chi eseguiva queste “consegne” e quindi si doveva starsene in attesa, buoni buoni, a letto.
Inutile nascondere la delusione di chi, un pò più grandicello, si accorgeva che Babbo Natale o chi per lui non esisteva, ma unitamente alla delusione c’era forse una nota di consapevolezza data dal crescere in età ed in cognizione, cosicché si poteva cominciare a compiacersi del fatto che si cominciava ad essere “grandi” ed a non credere più alle leggende. Nondimeno questo atteggiamento si sarebbe di lì a poco ritrasformato in nostalgia ed avrebbe fomentato nuovamente la figura di Babbo Natale o chi per lui, da ripresentare ai propri figli… perpetuando in questo modo una delle magìe del Natale.
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