Aria di Natale
(Immagine in evidenza, Claude Monet, la Gazza)
Fino all’avvento del consumismo, era per Sàunta Cateréina che si cominciava a fare un minimo di progettazione pre natalizia, visto che questa santa tanto cara anche ai nostri avi, ricorre esattamente un mese prima della Natività: tempo più che sufficiente per concludere del tutto i lavori agresti (per Sàunta Cateréina is mèta i bö’ ‘nt’à cascéina) e cominciare a procurarsi qualcosa per le festività di dicembre-fine anno, rifornendosi alla tutt’ora rilevante fiera che si tiene a Novi.
“L’è Natòle!” iniziavano dunque un po’ tutti ad esclamare, sia come constatazione/augurio, sia pure come ingenuo richiamo giustificativo per le operazioni commerciali che i bottegai avrebbero di lì a poco messo in atto. Secondo qualcuno, questa data avrebbe avuto come naturale conseguenza commerciale qualche ritocco ai prezzi perché si trattava di merce che arrivava non senza difficoltà solo in questo periodo, prenotata da tempo senza essere sicuri che ne sarebbe arrivata a sufficienza.
Non dobbiamo tuttavia sottintendere che gli approvvigionamenti, soprattutto quelli alimentari di stagione, per quanto modeste fossero le quantità acquistabili, adempivano a due condizioni su cui neppure ora i nutrizionisti e gli economisti discutono: le merci di stagione arrivavano solo in stagione (e questa è cosa salutare), e determinati cibi o preparazioni culinarie erano inscindibilmente legati a determinate circostanze e solo a quelle, per caratterizzarle. Ad esempio, come si usa dire, che Natale sarebbe, senza panettone? Si attendeva il Natale proprio perché il panettone sarebbe stato infornato solo per questa occasione. In sostanza i nostri avi sapevano dare peso e valore al corso ed all’alternanza del tempo e delle stagioni ed ai loro prodotti, un aspetto che la frenesia contemporanea dovrebbe assolutamente recuperare.
Mentre le massaie si procuravano i capponi debitamente castrati a casa a suo tempo o prenotati da allevatori di fiducia nelle vicine campagne, le drogherie locali ricevevano appositi mastellini di mostarda, che sarebbe poi stata venduta a peso cercando di porzionarla in qualche recipiente magari portato dall’acquirente, visto che le confezioni monouso o monorazione non erano ancora presenti. La mostarda sarebbe stata il “contorno” del secondo piatto di carne del pranzo di Natale, piatto che di solito era appunto carne bianca di volatile, con la quale sarebbe stato innanzitutto preparato il brodo per il primo piatto.
Questo poteva consistere nei mostaccioli (cannelloni). riflesso della tradizione genovese che da noi venivano immersi nella pentola non interi ma spezzati, per renderne forse più veloce la cottura e senz’altro più agevole l’afferrarli con le posate, o ancor meglio nei ravioli (rigorosamente ripieni con tre tipi di carne) oppure ancora nelle lasagne. Queste, che simboleggiano le fasce con cui venne avvolto Gesù Bambino, venivano condite rigorosamente con sugo di funghi e servite il 24 dicembre, giorno della Vigilia, poiché, conformemente ai canoni paleocristiani, orientali ed alla cucineria influenzata dal Francescanesimo e non solo, le vigile sono giorni di preparazione spirituale in attesa dei grandi eventi del calendario liturgico; quindi vanno applicate apposite pratiche e regole anche alimentari, quali una sorta di “magro” o mini-digiuno purificatore in vista della ricorrenza.
Di pari passo i negozi di abbigliamento esponevano capi da “rinnovare” a Natale, poiché se la Pasqua e la primavera significano cambio di stagione (e questo ha biblicamente il significato di pulire ciò che resta dell’inverno, a cominciare dal lievito vecchio che cede il posto a quello nuovo, simbolizzato dal pane eucaristico e dalla Risurrezione), nondimeno il solstizio d’inverno porta la manifestazione del “nuovo sole” che è Cristo al cui manifestarsi nella storia dell’umanità non si può solo assistere, ma partecipare con abiti certamente non usati o dimessi. Era infatti buona e rispettabile pratica quella di indossare almeno un capo nuovo, seppur esiguo, d’abbigliamento.
C’erano poi tutta una serie di credenze popolari legate alla magica notte del 24 dicembre, che in tutte le culture alpine nordeuropee ed in particolare in quelle celtiche, rappresenta un momento talmente incantato da permettere almeno due cose precise e distinte: è in questa notte che i guaritori tradizionali trasmettono riservatamente i loro poteri di guarigione ai loro prescelti successori, ed è sempre in questa notte che gli animali parlano, facendo valutazioni sui loro padroni, motivo per cui questi ultimi devono tenersi assolutamente distanti dalle stalle, a pena di terribili conseguenze.
Considerando i preparativi natalizi veri e propri, non dobbiamo innanzitutto dimenticare che prima di Natale nelle scuole dell’obbligo, ossia alle elementari, si prevedeva la preparazione di apposite letterine riccamente illustrate con motivi inerenti la ricorrenza, vale a dire (senza nessun dubbio o variante) scene della Natività riccamente contornate da angeli: Babbo Natale (*) non si sapeva neppure chi fosse, non era neanche considerato! (vedi nota al termine)
Detto impegno era pure un esercizio di bella calligrafia oltre che di bei propositi, mediante cui mettere per scritto tutto un rodato repertorio di buone intenzioni che tali rimanevano fino alla loro riesumazione per il Natale successivo. Imprescindibili erano la richiesta di perdono ai genitori per le marachelle quotidiane compiute, l’impegno ad impegnarsi di più a scuola, il tutto connesso a doppio filo con pedissequi auguri utili a captare la benevolenza dei parenti ecc. Di una cosa si era comunque ben consci: al di là dei buonismi che si sarebbero diluiti diventando adulti, qualcuno, specie nel dopoguerra, non augurava certamente una stucchevole pace e prosperità ma qualcosa di cui c’era veramente bisogno, avendone sentito la privazione nel periodo bellico o a causa della bassa estrazione sociale, con scarse possibilità economiche vissute sulla pelle. In poche parole: à fàme l’è à fàme e bisogna saper apprezzare ciò che si riesce ad avere.
* NOTA BENE. La Pro Loco ha istituito Babbo Natale per decenni con distribuzione di regali, mediante apposita sfilata ed animazione per le vie del centro, gesto che tutt’ora resiste. Chi furono i Babbo Natale storici? Segnalatecelo!