Il Griso della Crenna
Fiducia e fama: due elementi spesso interconnessi, a volte in vicendevole proporzione, altre tra loro in contrasto. La fiducia costruisce la fama? La fama determina la fiducia? Probabilmente non esiste risposta univoca: ma il protagonista di questa storia godette di entrambe, meritatamente o meno, tanto da restare in una certa memoria dei posteri, e in parallelo fu visto come facile a carpire la credulità e, in una certa misura, famigerato.
Torniamo indietro di più di un secolo, per incontrare una celebrità locale: Francesco Cabella, detto Griso della Crenna (si suppone per ragioni cromatiche e non manzoniane). Guaritore, empirico, imprenditore, per qualcuno naturalista per altri ciarlatano: in breve, il medicone, quel “megún” della località Crenna, fra Serravalle e Gavi, che nella fantasia popolare diventava una sorta di taumaturgo, tanto che di un malato considerato spacciato si diceva che neppure lui avrebbe potuto curarlo con qualche successo.
Francesco Cabella viveva in una bella villa, oggi sede del centro di meditazione Thabarwa Centre, e nei ritratti appare come un soddisfatto commerciante con cappello e baffetti, più che come l’asceta quale in alcuni scritti vuole presentarsi. Suo padre, al tempo, già assicurava capacità e saperi per curare uomini e animali; Francesco ne vanta l’eredità morale e materiale, salvo basare la promozione delle sue cure, e poi vere campagne pubblicitarie, sulla ben più lunga continuità di esperienze e rimedi di una remota zia suora, nonostante la figura di lei risulti nebulosa. Suor Teresa della Crenna, nata Maddalena Cabella, l’ava monaca del medicone, diventerà un brand, un logo, e un’immagine pubblicitaria che richiama le suore comunemente dette cappellone.
Negli anni che precedono e seguono la prima guerra mondiale, la carriera di Francesco Cabella è al culmine. Contadini e operai, nonché persone di classe agiata, lo consultano per malanni più o meno gravi e seguono le sue cure nei paesi delle Valli Scrivia e Lemme, e non solo.
Nel 1912, con due soci, Adolfo Fossati e Giuseppe Bertelli di Gavi, e un farmacista di Serravalle, Luigi Balbi, alla direzione, il guaritore diviene imprenditore a tutti gli effetti : viene fondata la ditta di prodotti medicamentosi Suor Teresa. La sede legale risulta a Genova, mentre lo stabilimento apre ad Arquata, presso l’attuale incrocio tra Via Roma e Via Antica Varinella, nell’edificio da qualcuno ancora chiamato “vinicola”. Il prodotto di punta è l’amaro Suor Teresa, proposto come tonico, aperitivo, digestivo e antimalarico .
In produzione vanno anche un linimento per i dolori, pastiglie lassative, pillole denominate “di Marte” che promettono di alleviare parimenti anemia e nevrastenia.
Viene anche lanciato un grande concorso, che sa di quiz televisivo ante litteram: chi indovina quanti chicchi di granturco il notaio ha messo in una bottiglia d’amaro, poi sigillata. Siamo nel 1913, i premi annunciati ammontano a diecimila lire.
Il lancio promozionale avviene su larghissima scala. In zona, il principale veicolo è “Il Popolo”, giornale della diocesi di Tortona, dove appaiono spazi pubblicitari e quello che oggi chiameremmo un redazionale, con parvenze di articolo ma finalizzato a propagandare un prodotto. Le reclame approdano anche su periodici nazionali. Francesco Cabella viene esaltato come “botanico”, e si tratteggia la biografia di Suor Teresa così come delineata sulle etichette del liquore omonimo. Le scelte pubblicitarie “disinvolte” , anche all’epoca, evidentemente non mancavano: la monaca è collocata alla direzione degli ospedali da campo napoleonici , ipotesi alquanto azzardata, e, in una cartolina, viene raffigurata con un bracciale di riconoscimento della Croce Rossa su un campo di battaglia proprio di epoca napoleonica. E pazienza se all’epoca la Croce Rossa non era ancora stata fondata, e pazienza se quello delle Figlie della Carità, l’ordine francese comunemente detto “delle cappellone ” dall’antico copricapo, era tra quelli aboliti a fine ‘700 e riammessi anni dopo. Sempre nel nome delle ricette della saggia religiosa, si stampiglia ovunque, a pochi giorni dalla costituzione del 1912, “casa fondata nel 1790”.
La composizione societaria, così come il luogo di produzione, cambierà più volte, ma i prodotti “della Crenna” vivranno a lungo, anche più del loro ideatore. Sempre più volti alla liquoreria e sempre meno alla farmacopea, i loro discendenti resteranno in commercio fino agli anni settanta.
Il periodo a ridosso del primo conflitto mondiale, insieme a successi e guadagni, porta però a Francesco Cabella anche guai giudiziari. La comunità scientifica non lo vede di buon occhio: i sostenitori del Griso dicono per invidia, i detrattori affermano, invece, che troppe sono le volte in cui i medici devono cercare di porre rimedio ai danni delle sue terapie, o vengono contattati troppo tardi perché la gente preferisce bussare prima alla sua porta. Tra i suoi “nemici storici” c’è un medico di Serravalle, Tito Rapallo : una rivalità che diviene addirittura parte di lazzi da campagna elettorale, visto che si allude, per parlar di facili promesse, a chi avvicina il Griso della Crenna garantendogli che potrà laurearsi in Medicina…. all’università di Rapallo.
Si arriva a udienze in tribunale, condanne, sanzioni pecuniarie. Non che tutto ciò intacchi la fama “du megún”, anzi, finisce con l’allargarla.
Scapolo, nonostante la fama di grande amatore, Francesco Cabella non ha un erede che apprenda le sue tecniche. Scrive, però, nel 1926,un trattato che presenta anche come testamento morale, “Il libro della salute” di cui qualche copia ancora si trova in case della zona.
Con una sorta di civetteria, l’autore rivendica la propria posizione irregolare, di outsider della scienza, e insieme l’utilità del suo manuale per chi vive in zone isolate, o addirittura nelle colonie, e per i sacerdoti che curano anime e corpi dei parrocchiani.
Inoltrandosi nella lettura, però, non si trovano particolari istruzioni per preparazioni erboristiche. Normali elogi vanno alla camomilla, al tiglio, al sambuco, al biancospino: meno rassicurante appare l’uso di cucchiaini di rame della vigna, nero animale (carbone ottenuto dalle carcasse), acqua di formiche rosse. Sorvoliamo su impacchi di calce, inalazioni di trementina, simpatiche applicazioni di cipolle fritte nella sugna. Le nozioni di anatomia e fisiologia, quando esposte, suonano rudimentali, quando non proprio errate.
Cabella muore ottuagenario nel 1946,dopo aver investito il suo denaro in una fornace di laterizi, a Novi, non lontano dalla quale si stabilisce.
Non è impossibile incontrare ancora qualche anziano che lo descriva come benefattore dell’umanità.
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