ASSERETO, Biagio
Biagio Assereto (Genova 1383 ca. / Serravalle 25 aprile 1456)
Cancelliere, diplomatico, patrono e ammiraglio della Repubblica
di Genova.
Condottiero, consigliere e diplomatico del duca di Milano e signore
di Genova Filippo Maria Visconti.
Podestà della Repubblica Ambrosiana di Milano
Visconte (e poi conte) di Serravalle dal 27 settembre 1435
al 25 aprile 1456
Il modo più semplice per cogliere il profilo storico rilevantissimo di Biagio Assereto è sostare davanti alla facciata rinascimentale di Palazzo San Giorgio di Genova, in via della Mercanzia.
Le decorazioni, che riprendono l’iconografia secentesca, danno vita a un vero e proprio manifesto della potenza della città durante il Medioevo e il Rinascimento. Ritratti a figura intera, al di sotto di San Giorgio che sconfigge il drago, stanno i testimoni eminenti degli antichi fasti della Superba (da sinistra verso destra): Caffaro di Rustico da Caschifellone, crociato e annalista che scrisse il resoconto della Prima Crociata e narrò la conquista di Gerusalemme e di Cesarea; il principe e grande ammiraglio Andrea Doria; il capitano del popolo Guglielmo Boccanegra; Guglielmo Embriaco, detto Testa di Maglio, eroe della prima Crociata; Cristoforo Colombo e infine Biagio Assereto, l’ammiraglio trionfatore nella battaglia navale di Ponza del 1435.
Grazie a quel trionfo navale sorprendente e alle fortune politiche che ne sarebbero seguite, il duca di Milano e signore di Genova, Filippo Maria Visconti conferì all’ammiraglio Biagio Assereto il feudo di Serravalle (scorporandolo dal comitato di Voghera, già dei Beccaria) e lo accolse nella sua famiglia, attribuendo a lui e a tutti i suoi legittimi discendenti il cognome, lo stemma e i privilegi dei Visconti.
Biagio Assereto Visconti anticipò l’uomo nuovo auspicato dal Machiavelli, ed emerse nella società mercantile genovese, in virtù del suo valore e dei suoi molti talenti, nonostante le sue origini popolari. Infatti, Biagio nacque a Genova sul finire del XIV secolo in una famiglia di artigiani, che le cariche pubbliche e i legami di parentela avevano innalzato nella cerchia politica cittadina (suo padre Costantino aveva sposato Orietta, della ricca famiglia Ghisolfi ed era stato eletto nel Consiglio degli Anziani).
A vent’anni Biagio divenne notaio, segno di una solida formazione umanistica, ma pochi anni dopo fece valere anche la sua capacità di comando militare a bordo di una galea, di cui fu egli stesso il patrono. Esercitò la professione notarile nella ratifica di alcune convenzioni tra la Repubblica di Genova e il Ducato di Milano e prese parte, come capitano e cancelliere d’armata, alla spedizione del 1423 nel regno di Napoli contro gli Aragonesi e a favore della regina Giovanna II d’Angiò-Durazzo.
Due anni dopo partecipò alla spedizione per la riconquista dei territori genovesi della Riviera di Levante occupati da Tommaso Fregoso, signore di Sarzana, ex doge di Genova e alleato degli Aragonesi e dei Fiorentini. L’anno seguente Biagio diede la caccia a tre corsari fiorentini e riuscì ad avere la meglio. Nel 1427, al largo delle Cinque Terre, con quattro galee sbaragliò una flotta armata dal Fregoso e dai Fiorentini.
La carriera di Biagio divenne inarrestabile: eletto Cancelliere della Repubblica, affiancò l’arcivescovo Bartolomeo Capra, governatore visconteo. Fu nominato podestà e castellano di Recco e commissario di Portofino. Nel 1433 conobbe il duca di Milano Filippo Maria Visconti, dimorò nella sua corte e ne conquistò il favore. Divenne così il diplomatico più importante nella Repubblica presso la corte viscontea e nel 1434 fu nominato podestà di Pavia.
Il 2 febbraio 1435 morì la regina di Napoli e iniziò la guerra per la successione al trono tra Luigi III d’Angiò-Valois e Alfonso V d’Aragona. La Repubblica di Genova e il Ducato di Milano inviarono verso Napoli l’ammiraglio Francesco Spinola con due navi cariche di munizioni e viveri, per prestare soccorso alla guarnigione viscontea. Le due navi approdarono a Gaeta e restarono intrappolate nell’assedio condotto, anche via mare, dagli Aragonesi. Genova reagì e a costo di grandi sacrifici, armò una seconda spedizione. Nonostante l’avversione dei nobili, abituati da secoli a essere ammiragli della Repubblica, fu eletto ammiraglio il popolare Biagio Assereto. Il 22 luglio, la flotta formata da tredici galeoni e tre galee, forte di duemila e cinquecento armati salpò alla volta di Gaeta. Intanto Francesco Spinola, pur ferito a una gamba, oppose una strenua resistenza agli assedianti. Quando ormai sembrava inevitabile la capitolazione, giunse la notizia dell’approssimarsi della flotta dei soccorsi. Il 5 agosto, nei pressi dell’isola di Ponza, gli aragonesi inviarono contro le navi comandate da Biagio una grande flotta composta da quattordici navi grosse, undici galee e sei borbotte con a bordo seimila armati.
Il re Alfonso V d’Aragona si rifiutò di parlamentare e comandò in prima persona l’attacco, dopo aver imbarcato sull’ammiraglia il fior fiore della nobiltà aragonese perché fosse testimone del suo trionfo. Le cose andarono diversamente e alla sera, al termine della battaglia durata dieci ore, il re si ritrovò prigioniero del popolare Biagio Assereto, al quale si rifiutò di consegnare la sua spada, che gli fu requisita senza problemi dal nobile genovese Giacomo Giustiniani. Nel mare di Ponza, duemila e cinquecento Genovesi ebbero la meglio su seimila Aragonesi. Oltre al re d’Aragona furono catturati cinquemila uomini, tra i quali l’infante, il re Giovanni di Navarra, il gran maestro dell’ordine di San Giacomo, il duca di Sessa, il principe di Taranto, il viceré di Sicilia e quasi trecento esponenti dell’alta nobiltà aragonese. Il bottino fu immenso e solo due navi sfuggirono alla cattura. Seicento furono i morti fra gli Aragonesi e novanta fra i Genovesi. La vittoria diede vigore agli assediati di Gaeta, che irruppero tra le fila nemiche e le sbaragliarono.
Sulla via del ritorno, un messo di Filippo Maria Visconti recò l’ordine di condurre i nobili prigionieri a Savona anziché a Genova, perché fossero tradotti direttamente a Milano. L’adempimento della decisione del Duca agevolò l’investitura di Biagio a Visconte di Serravalle e diede inizio ai risentimenti e alle recriminazioni dei Genovesi, anche nei riguardi del loro eccellente ammiraglio. A novembre dello stesso anno il Duca non solo liberò il re e i nobili aragonesi, ma pretese che fossero ricondotti a Napoli sulle stesse navi vittoriose a Ponza. Con un rapido voltafaccia, Filippo Maria Visconti rovesciò la secolare politica genovese filo angioina e impose l’alleanza con gli Aragonesi. La conseguenza fu la rivolta anti ducale della Repubblica che denunciò il patto del 1421 con il quale aveva accettato la signoria viscontea.
Biagio si recò a Milano con l’intento di rinnovare il patto del ’21 ma l’assenza di buona volontà da entrambe le parti mise fine al suo tentativo. Solo a quel punto scelse il campo visconteo al quale ormai lo legavano vincoli feudali e adottivi. I suoi familiari rimasti a Genova furono imprigionati e riebbero la libertà alcuni mesi dopo solo grazie a uno scambio di prigionieri tra il Ducato e la Repubblica. Rinunciò all’investitura del feudo di Monaco, conferito poi a Giovanni Grimaldi e in cambio ottenne Arcola in Lunigiana.
Si ritirò nel castello di Serravalle, ma dovette assumere il comando della flotta viscontea sul lago di Garda, dove conobbe la sua prima e unica sconfitta, per mano della flotta fluviale veneziana e si salvò a stento. Venne destinato a Parma come commissario ducale, poi dal ’42 al ’44 da Serravalle tramò con gli Adorno e i Fieschi ai danni del doge Tommaso Fregoso.
In seguito, il nuovo doge Raffaele Adorno si offrì di fare da padrino al suo ultimo nato. Assunse il comando delle operazioni navali sul lago di Como e respinse i tentativi dei Veneziani di impadronirsi della fortezza di Lecco.
Nel marzo del 1447 morì Filippo Maria Visconti. Biagio contava di ritirarsi a Serravalle, ma nel gennaio del 1448 con la nascita della Repubblica Ambrosiana tornò a Milano e fu eletto podestà della città. Nel mese di luglio dello stesso anno combattè vittoriosamente la battaglia fluviale sul Po nei pressi di Casalmaggiore nella quale i Veneziani persero trentadue galeoni, due galee grosse, due galee sottili e trentaquattro navi da trasporto. Nel ’49 rientrò a Milano e in veste di podestà dovette procedere contro ribelli, traditori, omicidi e falsari.
Ben più impegnativo fu il problema del vettovagliamento della città stretta nella morsa della carestia. L’anno successivo Milano fu assediata da Francesco Sforza, genero del Visconti, il quale rivendicava lo scettro ducale. Biagio convocò l’Assemblea generale cittadina, che, infine, proclamò lo Sforza nuovo signore di Milano. Rientrato a Serravalle, il suo feudo divenne il luogo di riunione di tutti i fuorusciti genovesi.
Nel 1451 il nuovo duca lo riconfermò feudatario di Serravalle con il titolo di conte.
Serravalle, a metà strada tra Milano e Genova, era di un’estrema importanza strategica e ultimo baluardo ducale contro Novi, legata alla Repubblica di Genova, e contro i marchesi del Monferrato. Inoltre, per Serravalle passava la strada del sale e il sale, in ogni caso, doveva assolutamente raggiungere Milano.
Nonostante il buon governo di suo figlio Franco Assereto Visconti, durante le sue ripetute assenze, Biagio dovette mettere mano al riordino del feudo, a partire dal suo ripopolamento. Per far fronte alla mancanza di uomini, attirò gli schiavi fuggiaschi con la promessa della libertà e di migliori condizioni di vita. Nacquero così numerose controversie con i proprietari degli schiavi rifugiati in Serravalle.
Intanto lo Sforza riuscì a coalizzare contro Venezia le città di Firenze, Mantova, Bologna e Genova. Toccò al conte Biagio Assereto intervenire presso gli oppositori del doge di Genova affinché desistessero da ogni attacco armato contro la Repubblica. La quiete durò poco, perché sia i marchesi del Monferrato sia il capitano generale di Genova Niccolò di Campofregoso, cercarono di impedire in tutti i modi il commercio del sale destinato a Milano. Il Campofregoso, inoltre, si vantava di voler fare di Serravalle un orto. Per mesi Biagio, abbandonato a se stesso fronteggiò con le sue sole forze, gli attacchi provenienti da più parti, non solo, ma dovette collaborare al reclutamento di nuovi balestrieri, guastatori e fanti destinati alle truppe di Bartolomeo Colleoni in procinto di invadere il Monferrato al soldo del Duca. Nello stesso periodo fu oggetto di un agguato infruttuoso dei sostenitori novesi dei Campofregoso.
Con la consueta energia Biagio continuò a battersi e a tramare affinché Genova rientrasse nel Ducato, liberata dalle lotte intestine delle famiglie aristocratiche, e a opporsi ai suoi denigratori presenti anche tra i feudatari ducali. Fu per quest’ultima ragione che strappò con la forza ai Lonate, suoi denigratori, le terre di Vignole (che dovrà poi restituire a seguito di un’ingiunzione del Duca).
Benché avesse ormai superato la soglia dei settant’anni continuò ad agire con fermezza e inalterata energia.
Condusse la sua lotta per una nuova patria fino in fondo, finché si spense in Serravalle il 25 aprile 1456 e fu sepolto nella chiesa arcipresbiteriale.
La storica Giovanna Balbi ha saputo riassumere con sapiente misura la straordinaria vicenda umana di Biagio Assereto Visconti: «Il feudo di Serravalle e l’ascrizione alla famiglia dei Visconti furono i due atti che suggellarono la sua intensa attività: ma questo equo riconoscimento parve agli occhi degli scontenti Genovesi il premio del tradimento. Così la sua condotta verso Genova, dapprima leale, devota, rispettosa, fu giudicata dopo Ponza, oltraggiosa: ma fu in un certo senso più coerente il comportamento dell’Assereto, che ebbe il coraggio di dare un colpo netto al passato e di crearsi una nuova patria, di fronte all’ambiguità e allo squallore ideale di tanti Spinola, Adorno, Fieschi, che, pur rimanendo in Genova in nome di una tradizione secolare, si schieravano ora con questo, ora con quel nemico della propria città.»
Lettura suggerita
Giovanna Balbi, Uomini d’arme e di cultura nel Quattrocento genovese: Biagio Assereto, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, Nuova Serie, II, fasc. II, 1962, pp. 97–206;
Dove è finita la salma di Biagio Assereto?
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