MONTECUCCO, don Piero
Sacerdote (Serravalle Scrivia, 6 marzo 1939 – Voghera (PV) 10 giugno 2021)
Il 10 giugno 2021 all’età di 82 anni concludeva il suo cammino terreno don Piero Antonio Montecucco, figura significativa di sacerdote nella Diocesi di Tortona. Don Piero, come lo chiamavamo tutti, era nato a Serravalle il 6 marzo 1939. Dopo la strage nazi-fascista del 1944 partecipa ai funerali dei Martiri della Benedicta, seppur bambino quell’evento lascia in lui un’impronta indelebile e lo spingerà a scelte di vita per la giustizia e la pace, il vivo ricordo di quell’evento lo ha lasciato scritto lo stesso don Piero in un articolo sulla rivista dell’A.N.P.I. dell’aprile del 2005. La via scelta per dare concretezza a quell’aspirazione è la via del sacerdozio e don Piero la percorse compiendo gli studi nei due seminari diocesani, il minore a Stazzano e il maggiore a Tortona.
Nel 1962 venne ordinato sacerdote dal Vescovo Mons. Egisto Domenico Melchiori. Nel gruppo dei nuovi ordinati ci sono altri 2 sacerdoti legati a Serravalle, uno per motivi di origine: don Pino Viano; e uno per motivi di ministero: don Lino Zucchi. Divenuto presbitero il Vescovo invia Don Piero come vicario parrocchiale presso la parrocchia di Pombio (Voghera) dove eserciterà il suo ministero per un anno fino al 1963. La stima del Vescovo diocesano successivamente lo porta a diventare segretario vescovile di Mons. Francesco Rossi. Don Piero sente però che il suo ministero dovrà attuarsi su altre vie e quindi al termine del Concilio Ecumenico Vaticano II sceglie di essere sacerdote lavoratore in fabbrica. Dall’inizio degli anni ’70 fino al 1991 svolse questo ministero con generosità, dono di sé, mettendo a disposizione dell’ambiente operaio le sue doti di mente, di cuore, e la sua ricchezza spirituale. Dal 1991 al 2021 fu rettore della Chiesa del Carmine a Voghera, la sua seconda famiglia, dove esercitò il suo ministero secondo i criteri che lo avevano sempre accompagnato in vita, con quell’attenzione tutta particolare ai problemi del sindacato, alle questioni sociali di Voghera, alla collaborazione con le varie associazioni cittadine e non solo che operano in tal senso.
Il saluto dei famigliari, dei “suoi” della comunità del Carmine, del Presbiterio Diocesano con la celebrazione dei funerali in Duomo a Voghera il 12 giugno sigilla il cammino di servizio di don Piero. I suoi resti mortali riposano nel cimitero vecchio di Serravalle Scrivia insieme a quelle della cara mamma.
NON DIMENTICATE I MARTIRI DELLA BENEDICTA
(articolo di don Piero Montecucco comparso su “Patria Indipendente”, giugno 2005)
“La mia memoria di sessant’anni fa è legata a un funerale. Sono grato a mio padre per avermici accompagnato. Le quindici bare erano allineate lungo i due lati della piazza del Mercato. Ciascuna di esse era attorniata dai genitori e dai parenti, che hanno potuto accogliere le salme dei giovani solo un anno dopo che erano stati trucidati dai tedeschi alla Benedicta nella notte del 7 aprile 1944. Nell’inverno 1943 – 1944 intorno al Monte Tobbio, nell’appennino ligure piemontese, si erano rifugiati i primi nuclei di giovani renitenti alla leva e partigiani, che rifiutavano di continuare la guerra e iniziavano il loro percorso di opposizione al fascismo. Nella primavera 1944 i giovani affluiti in montagna erano ormai diverse centinaia e facevano capo alla Benedicta, un cascinale annesso ad un convento benedettino medioevale. Anche se molti di questi giovani erano male armati e privi di istruzione militare, la loro presenza rappresentava un pericolo potenziale per tedeschi e fascisti, che decisero di organizzare un rastrellamento, allo scopo di sgominare le bande e di creare il terrore nella popolazione civile.
Come si può facilmente immaginare, la notizia di questo eccidio si diffuse rapidamente e suscitò una grandissima impressione nella popolazione di tutta la zona e nei paesi da cui provenivano i giovani partigiani. Anche in una cascina isolata tra le colline, lontano dai paesi, come quella dove io ero nato e abitavo, le notizie della guerra si sapevano e si vivevano con grande trepidazione, anche perché vi erano coinvolti alcuni familiari. E ricordo bene, pur essendo un bambino, come la milizia fascista faceva sentire tutta la sua pressione sulle famiglie dei renitenti alla leva. La guardia comunale veniva da noi ogni due o tre giorni a cercare mio zio Talino. E un giorno arrivarono in gruppo i militi armati di tutto punto, sottoposero mio nonno ad un pesante interrogatorio, salirono sul fienile e lo passarono col tridente, pensando che mio zio fosse nascosto sotto il fieno… L’eccidio della Benedicta non ottenne lo scopo di piegare lo spirito popolare e di fermare il movimento partigiano. Che, anzi, dopo una seria riflessione sugli errori compiuti, riuscì a riprendere vigore e a riorganizzare nuove formazioni di resistenza, che intensificarono le azioni contro i nazifascisti, soprattutto in Val Borbera, dove alle “Strette di Pertuso” un centinaio di partigiani tennero testa per tre giorni, dal 25 al 27 agosto ’44, a 3.000 militari tedeschi e fascisti.
Trovarono più di novanta corpi sotterrati in due fosse comuni…
Li ricomposero nelle bare che avevano portato sui carri, nascoste sotto il fieno, e scavarono una fossa per ciascuno di loro.
Sono rimasti sepolti alla Benedicta fino alla fine della guerra.
“Finita la guerra, un gruppo di parenti e volontari risalirono alla Benedicta per restituire i corpi alle famiglie e ai cimiteri dei paesi. Li hanno portati a valle nelle nuove casse su delle slitte trainate dai buoi. Poi con le bare sui camion sono arrivati a Serravalle, alla Porta Genova, dove aspettava la gente, tantissima gente… una fiumana, che ha accompagnato in corteo i Martiri della Benedicta alla piazza del Mercato, dove sono stati vegliati tutta la notte…” Ma in molte case le sofferenze non terminarono… Molte famiglie si ricomponevano per il ritorno a casa dei congiunti dalla guerra. Di alcuni di loro non si avevano notizie da molto tempo. Ma di altri non si ebbero mai più notizie…
Ora riposano insieme nella cappella del cimitero costruita per loro.
Ormai non si ricordano più come “i ribelli”, e neanche come “partigiani”, ma al mio paese vengono chiamati “Martiri”, perché sono “Morti nel tramonto della tirannia e Risorti nell’alba della libertà”. Al centro del mio paese c’è una lapide che ammonisce “Non dimenticate i Martiri della Benedicta”
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