É ciàpe
Quel che segue è tratto in buona parte dalle interessanti chiacchierate con Mauro Persano.
Fino ai primi decenni del ventesimo secolo le strade dei paesi erano sterrate, quando andava bene erano pavimentate con ciottoli. Anche Serravalle non faceva eccezione, persino la via principale era sterrata; immaginate il percorrerla nelle piovose settimane autunnali e invernali, quanta fanghiglia sotto le scarpe o gli stivali e che fatica per i carri e i primi mezzi a motore che la attraversavano.
Ecco come si presentava la futura via Berthoud nei primi due decenni del secolo XX …
…. un grande numero di carri trainati da cavalli asini muli buoi, ai quali si affiancavano i primi mezzi motorizzati, percorrevano giornalmente la via. Si provvide allora a lastricare la (quasi) intera tratta del paese con delle grandi e pesantissime pietre a forma di parallelepipedo, atte appunto a resistere nel tempo all’intenso traffico ed al peso dei mezzi carichi di materiali. Tale pavimentazione iniziava dalla zona della Porta Genova e terminava poco prima della attuale piazzetta Carducci, dove ora ha sede la Croce Rossa.
Queste enormi pietre erano lisce e l’opera appena completata appariva perfetta e funzionale. Per i serravallesi era una bella e comoda novità poter uscire di casa e, qualunque fossero le condizioni atmosferiche, poter camminare, passeggiare, passare il tempo in strada senza polvere e fango.
Anche per i mezzi di trasporto e di lavoro sembrava un grande progresso ma presto ci si accorse che la pavimentazione liscia era esteticamente bella ma particolarmente insidiosa per i carri carichi di materiali, pensate ai numerosissimi mezzi che trasportavano mattoni, tegole, materiali da costruzione, che iniziavano il viaggio dalla fornace Balbi e attraversavano il paese per portarli in stazione o ad altri paesi più a nord ma anche alle zone del nostro paese nelle quali l’edilizia era in espansione.
Erano carri quasi sempre trainati da cavalli o buoi, e i loro zoccoli scivolavano su quelle pietre così lisce, soprattutto nelle giornate di pioggia ma non di rado anche quando splendeva il sole! Così i carri stracarichi spesso urtavano quelli provenienti in senso opposto, e rappresentavano un pericolo per le numerosissime persone che a quei tempi affollavano la via principale.
Fu preso in esame il problema e decisa la soluzione.
Arrivarono degli esperti scalpellini dalla bergamasca, che con perizia e alacrità provvidero a scalpellare tutte le pietre della via, creando sulla superficie di ognuna delle incisioni rettilinee distanziate tra loro di una quindicina di centimetri.
Nelle due immagini sottostanti potete vedere l’effetto.
I nostri padri, nonni, bisnonni chiamavano questa realizzazione con un nome breve ma significativo: é ciàpe.
Successivamente, con il sempre maggiore numero di transiti di veicoli motorizzati e gommati, le ciàpe mostravano una minore adeguatezza al nuovo tipo di circolazione ed anche, probabilmente, una minore versatilità nelle eventuali manutenzioni degli impianti sottostradali quali l’energia elettrica, il gas, le fognature, le future o prime strutture di telecomunicazione. Per cui nei primi anni 80 furono completamente estratte e sostituite dall’inesorabile asfaltatura.
Questa minore adeguatezza alle nuove infrastrutture dei servizi ed alla circolazione gommata hanno ahimè avuto il sopravvento sulla estetica, sulla storicità, sulla bellezza e comunque sulla godibilità della via. Il giorno in cui avremo una alternativa alla percorrenza del traffico gommato nella nostra via principale, probabilmente penseremo con rimpianto alle ciàpe dei nostri avi.
Ciàpa (vedi Vocabolario e Grammatica della lingua serravallese di Roberto Allegri, alla voce ciàpa )