Festa di Capodanno
Grazie a un don Lino consenziente, il Presidente ed io ci eravamo presi l’impegno, davanti ai giovani che avevano partecipato all’ultima adunanza del sabato pomeriggio, di organizzare per San Silvestro il primo Veglione “misto” nella Casa del Giovane. La buona riuscita della festa ci avrebbe “immortalati” sulle pagine dei verbali che descrivevano le attività ludiche dell’Azione Cattolica serravallese. Eravamo consapevoli che pianificare al meglio un evento simile non sarebbe stata un’impresa del tutto semplice. Dopo tanto penare ci avevano concesso il salone più grande che però aveva conosciuto l’esuberanza degli aspiranti durata diversi anni. La loro smania di divertirsi aveva contribuito al maltrattamento delle pareti ma i due migliori “organizzatori di eventi”, quali eravamo io ed il Presidente, avrebbero sicuramente rimediato all’inconveniente.
Ci eravamo procurati i poster di Gianni Morandi, Patty Pravo, Rita Pavone e dei Nomadi ed un enorme manifesto che reclamizzava un vecchio film, lo avevamo trovato in un camerino dei Luigini.
Con qualche puntina da disegno avevamo fatto sparire le macchie di muffa, l’intonaco scrostato e le scritte inneggianti alle varie squadre di calcio compreso quella del CSI Libarna.
Tavoli e sedie non mancavano ed in uno scatolone avevamo trovato delle tovaglie che forse risalivano ai tempi in cui il bar, con tanto di biliardo, era ancora al secondo piano. Le mamme si erano subito messe al lavoro per lavarle e stirarle. Avevamo deciso di far costruire dai chierichetti dei festoni di carta e delle decorazioni e con qualche moina avevamo ottenuto che le suore dessero loro una mano. Avevano accettato di buon grado quando avevamo raccontato loro che il parroco, in occasione del Natale, voleva rendere più allegre le pareti e i soffitti dell’oratorio. Per la musica ci saremmo dovuti accontentare della mia fonovaligia Europhon che, pur avendola ricevuta in cambio dei punti accumulati facendo la spesa nel Supermercato VeGè, era stata collaudata più volte e non mi aveva mai tradito in tutte le festicciole che da studente avevo organizzato in casa mia ed in quella degli amici.
Rimaneva però da risolvere un grave problema: né io e né il Presidente sapevamo ballare valzer, tanghi e mazurche e tantomeno lo shake o il twist. Avevamo trovato la soluzione, dovevamo ricordarci di dire allo sfigato, il timido che avremmo incaricato di cambiare i dischi, di scegliere solo dei “lenti”; con il ballo della mattonella chiunque se la sarebbe cavata e poi davamo per scontato che le fanciulle non fossero Etoiles della Scala e nemmeno abituè del Piper. Le birichine ci avevano però tirato il classico “tiro mancino” con la complicità delle suore.
Avevano recuperato un vecchio grammofono e si erano fatte dare delle lezioni di ballo dalle più esperte, quelle la cui mamma, approfittando del programma radiofonico “Ballate con noi”, aveva insegnato i segreti del ballo di coppia; per diversi sabati e persino la domenica pomeriggio avevano dimenticato di giocare a ping-pong ed al calciobalilla.
Persino il parroco sperava in una buona riuscita della festa e per dimostrarlo ci aveva fatto avere un chilo i paste secche di Marco Traverso, qualche cestello di bibite del Life ed una bottiglia di spumante di Carletto da stapparsi a mezzanotte.
Il nostro Presidente, persona educatissima, era andato dalla fiorista a prendere delle rose rosse col gambo lungo, una per ciascuna ragazza; non avrebbe potuto darne una soltanto a quella di cui si era innamorato. Il nostro impegno aveva dato i risultati voluti, anzi di gran lunga migliori di quanto avessimo sperato. Le ragazze, proprio grazie a quell’occasione avevano cominciato finalmente a sentirsi delle signorine; da quella sera avevano persino preteso il “Lei” dagli estranei.
Avevano sostituito le ballerine con le scarpette dal tacco alto, i calzerotti bianchi si erano trasformati in calze di nylon color bruno, avevano tinto le palpebre di azzurro e le labbra avevano approfittato del rossetto della mamma. Si erano radunate alle 20,30 davanti all’asilo, erano scese correndo salita Cappuccini e, come se l’avessero sempre fatto, erano entrate nelle Casa del Giovane con una disinvoltura che non avremmo mai neanche sperato di vedere. Anche il tempo sembrava avesse voluto darci una mano, non faceva troppo freddo e la neve era sparita dalle strade.
I giovanotti avevano sfoderato il look delle grandi occasioni, nessuno aveva dimenticato che con la camicia bianca ci voleva la cravatta, che bisognava lavarsi bene il collo, avevano usato il dopobarba di papà e soprattutto avevano abbondato col deodorante per le ascelle.
Contrariamente a quanto succedeva generalmente durante le feste che organizzavo a casa mia, non si erano formati i soliti gruppetti di ragazze ben separati da quelli dei maschietti; sedute ai tavoli si vedevano soltanto delle coppie. Tutti sprizzavano allegria da tutti i pori, gli unici tristi eravamo io ed il Presidente; i genitori delle nostre ragazze non avevano permesso che uscissero di sera e che tornassero a casa tardi. Con qualche bicchiere in più di moscato le cose si sarebbero normalizzate .
Purtroppo io avevo fatto colpo sulla più, adesso lo posso anche dire, racchia e assatanata neo maestra della compagnia. Continuava a perseguitarmi, voleva che ballassimo cheek to cheek e continuava a far suonare sempre lo stesso disco, “Non ti scordar di me”. Era un vecchio 78 giri cantato da Gino Bechi che mi era stato regalato da un amico che sapeva quanto mi piacesse la lirica e che era rimasto, per sbaglio, in mezzo ai 33 giri.
Mi ero riproposto di non cedere a nessun tipo di tentazione; se in un momento di debolezza le avessi concesso di prendersi qualche confidenza non me ne sarei più liberato, e lei si sarebbe presa la libertà di dire in giro che ero proprio io il suo ragazzo.
Don Lino per tutto il tempo della festa non aveva tralasciato un attimo di salire e scendere nervosamente le scale, col viso paonazzo che denotava preoccupazione; non smetteva di recitare rosari. Aveva dimostrato di nutrire una grade fiducia nei suoi ragazzi, non aveva mai provato a venirci a spiare aprendo magari anche solo un poco la porta. La serenità, la tranquillità e soprattutto la grinta gli era tornata a mezzanotte e qualche minuto. Armatosi di coraggio aveva spalancato la porta e dimenticandosi persino di augurare il “Buon Anno” aveva quasi gridato:
– Dai ragazzi, l’anno nuovo lo avete salutato ed adesso andiamo a dormire! Le pulizie le faremo un altro giorno e mi raccomando… diritti a casa!
Era mezzanotte e cinque!