Decadenza del centro storico
È meglio essere ricchi, sani ed eleganti o poveri, malati e malvestiti? Questa domanda un po’ surreale, nello stile filosofico di Massimo Catalano, pensandoci bene, non ha una risposta così ovvia: basti riflettere sul fatto che nella prima categoria rientra Donald Trump e nella seconda un frate francescano con il raffreddore! E che attinenza c’è tra questa apparentemente insensata domanda e il centro storico di Serravalle Scrivia? È quello che mi accingo ad argomentare.
Da quando frequento questo paese – e sono più di cinquant’anni – sento dire che il centro storico sta morendo. Non ci sono esitazioni o dubbi sulla diagnosi delle cause: tutti sono d’accordo che sta morendo di traffico di attraversamento. Nel nome del paese, che palesa la sua conformazione fisica, è racchiusa la causa del suo male. E la cura la sanno tutti! Interrompere i flussi di attraversamento dell’abitato con una circonvallazione.
Sarà mai possibile realizzarla? Sono tempi grami questi e sembra difficile poter pensare a un’opera pubblica così impegnativa, anche se, intorno a noi, altri (Gavi, Novi ligure, ecc.) sono stati certamente più attivi su questo fronte. Io sono sicuro che prima o poi la mitologica circonvallazione sarà costruita, o comunque i flussi di attraversamento si ridurranno significativamente perché utilizzeremo altre opzioni di trasporto diverse dai veicoli che conosciamo. Ciò che temo tuttavia è che nel frattempo l’agonizzante centro storico sarà definitivamente defunto: per svuotamento e conseguente interruzione definitiva di manutenzioni.
I cittadini serravallesi, dopo il boom economico postbellico, culminato negli anni ’60 e una riacquistata (da molti, se non da tutti) dignitosa facoltà economica, hanno comprensibilmente aspirato ad allontanarsi dall’asse urbano così trafficato, per andare ad abitare in zone più tranquille e meglio dotate di servizi: in quegli anni i tavoli da cucina di rovere massiccio hanno ceduto alle lusinghe della cucina americana con i piani di formica; sembrava che quella fosse la modernità e il progresso. Per la gioia di molti antiquari! Non avevamo capito che con quei tavoli, con quelle nuove più moderne e certamente più comode abitazioni stavamo abbandonando anche quote della nostra identità e cultura.
A complicare le cose, la veloce crescita economica ha innescato anche da noi il richiamo di braccia da altre parti d’Italia: e, a queste persone che venivano da fuori, bisognava ben dare spazi dove abitare: da qui la crescita del paese nelle aree libere più facili da dedicare a nuove costruzioni: quelle tra il centro storico e il casello autostradale a nord. Non pretendevano quelle case di essere belle: dovevano avere molti alloggi e non essere troppo care! E con la crescita del paese in quella parte (oltre il viale della stazione) sembrava logico spostare anche i servizi che a quei cittadini servivano: le poste, la farmacia, e i negozi. Tanto più che le sedi di questi servizi nel centro storico erano ovviamente vecchie e inadeguate.
Così lentamente, ma inesorabilmente, senza troppo riflettere se il “nuovo” fosse anche il “buono” (certamente per il singolo e nell’immediato lo era! Ma per la colettività?) il centro del paese che, già aveva ricevuto un impulso in questo senso con l’arrivo del treno, alla fine dell’Ottocento, si è spostato verso nord, dando inizio a quel processo di svuotamento dalle funzioni urbane vitali dei vecchi edifici del centro storico.
Qualcuno ha resistito più a lungo, forse conscio del fatto che abbandonare sedi storiche significava perdere anche prestigio e tradizione. Qualche nobile tentativo, dagli esiti quasi fallimentari, di recupero è stato fatto. Ma la tendenza era ormai consolidata.
L’acquisizione di Palazzo Grillo da parte del Comune ed il progetto di collocarvi “La casa della salute”, un complesso di servizi alla persona che riunisse in quel luogo molte collocazioni del settore cura della persona disperse (ambulatori, presidio dell’ASL, consultori, ecc.) aveva alimentato la speranza di poter generare flussi di persone che rivitalizzassero quella parte di paese, spingendo anche altri imprenditori privati a ricollocarsi in quell’intorno se motivati anche da una mutata considerazione dei contenitori edilizi storici, non più visti come ruderi da abbandonare, ma come ambienti dotati di fascino e di apprezzabili patine e suggestioni; l’arenarsi di quel progetto (per motivi politici nazionali e crisi economica) ha inferto un duro ulteriore colpo.
Rimangono a presidio di quella parte di paese le sedi del potere politico e spirituale: il Municipio e la Collegiata.
Questi due poli sono ancora capaci di generare attrazione e flussi vitali di persone che tengono l’agonizzante centro storico, per usare una metafora fin troppo nota in questa tragica temperie, in coma farmacologico.
Se uno dei due poli, cedendo alle sirene della sete di spazi più adeguati o moderni, dovesse indebolire il presidio, magari solamente trasferendo altrove qualche funzione o servizio significativo, temo che ciò sarebbe fatale per far raggiungere al centro storico di Serravalle Scrivia quel punto di non ritorno, varcato il quale, anche una comunque tardiva realizzazione della sospirata e vagheggiata infrastruttura – la circonvallazione – non permetterebbe più alcuna rinascita: potrebbe soltanto diventare una estensione del sito dell’antica Libarna, un pezzo di archeologia moderna, il monumento alla miopia di chi, quando erano presenti le condizioni che lo avrebbero permesso, si oppose ed ostacolò per tutelare piccoli ed effimeri interessi particolari.
Dunque, tornando alla paradossale domanda dell’incipit, credo sia necessario riflettere con molta profondità ed una visione lungimirante prima di assumere decisioni che a prima vista sembrano scontatamente volte a “migliorare”, mettendo sul piatto della bilancia anche i costi sociali di lungo periodo che esse comportano: è questo purtroppo il difficile compito di chi quelle decisioni è chiamato ad assumere e che sulle conseguenze di esse inevitabilmente verrà giudicato, non forse dai concittadini nell’immediato, quanto piuttosto dalle future generazioni.