A pucisioun ‘d l’Adulurata. Il meteo
di Gian Paolo Vigo
Si giunge così al pomeriggio della fatidica terza domenica di settembre.
“Ma su piöva“? Bisogna fare i conti con una variabile imprevedibile: il meteo. Difficile che a metà settembre succeda un retéimpu tale da annullare in pochi minuti tutto il “crescendo” preparatorio. Sarebbe preferibile un racasoun d’acqua lungo la processione, si tornerebbe di corsa in chiesa ma almeno si è usciti sulla pubblica via.
Anche da noi in caso di maltempo avveniva un atto apparentemente goliardico ma in realtà molto più perfido: il gesto della camamèla.
Veramente era una procedura che interessava maggiormente la rivalità tra le due confraternite cittadine. Se la pioggia faceva annullare la processione di una delle due associazioni, il sodalizio “rivale” faceva collocare, di soppiatto, un sontuoso mazzo di camomilla davanti alla porta dell’Oratorio da dove non sarebbe uscita la processione annullata causa maltempo. Da una parte, trattandosi di un’erba medicinale tranquillante, avrebbe potuto avere il significato consolatorio di “calmatevi, non si può fare diversamente, piove, non si può uscire con la processione ma non è colpa vostra”. In realtà in alcune zone della pianura Padana augurare a qualcuno di “andare nel campo della camomilla” era parificabile ad un anatema (vai all’inferno, oppure vai al camposanto) ed era considerato dunque un gesto di sfida tra rivaleggianti, pur involontariamente coinvolti. Per fortuna non era il caso della processione dell’Addolorata, sarebbe stato come se la comunità se la fosse presa con sé stessa, al pari delle malattie autoimmuni… Sarebbe stata camamèla per tutti, quindi per l’Addolorata questo gesto non usava. Molto bello, invece un augurio sgorgato (è proprio il caso di dire così) dal cuore oltre che dalle parole di un portatore della Val Borbera che ad inizio anni ’90 in attesa della decisione da parte delle autorità di fare o meno la processione dell’Addolorata (poi annullata causa pioggia), esclamò: “se vuole uscire sa come fare” (si riferiva a Cristo raffigurato nei nostri imponenti crocifissi da parata -detti appunto “i cristi”- intendendo ovviamente che se il Signore aveva voglia di visitare Serravalle presentandosi attraverso i simulacri, si sarebbe certamente tolto la voglia di farlo non facendo piovere). Non si tratta di fatalismo, ma di sconfinata, innocente confidenza nell’onnipotenza divina anche nelle cose più irrilevanti dove però si vedeva comunque la presenza e l’intervento dall’alto (dunque se pioveva era perché dall’alto aveva fatto piovere perché era necessario).
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