Il Mulino
(di Lorenzo Bisio)
Se ae Muein ti vè a balò
in cunsiglio at devu dò;
per no pagò e bigetu
u tuca entrò dau laghettu.
Vene avanti lentaimainte,
sta sulu ataintu cun ghe sia da giainte;
meiu n’cu na donna, e brasla streta,
in mè che sa fisa a to muruseta.
E sut beca Ninu Grosu
state no a cagò adosu;
dighe n’cu l’ogiu da cilan,
“a semu ndati a fò na man”
Terminata la stagione al Neu, con una grande festa di chiusura, e rafforzata la formazione titolare del Mini Bar con un altro fuoriclasse Andrea “Peo” Carrea, la movida durante quegli scapestrati anni 70, si sposta, durante l’estate, al Mulino di Borghetto di Borbera, un altro locale che ha fatto la storia della musica da ballo in provincia di Alessandria.
Nato da una geniale idea di Nino Grosso, indiscusso boss dell’epoca d’oro delle discoteche, insieme a Gigi Santi del Neu e a Sergio Tacchino del Lavagello di Castelletto d’Orba e del Palladium di Acqui Terme, il locale, ricavato all’interno di un antico mulino per macinare il grano, si afferma negli anni 70 – 80 come il punto di riferimento, di tutta la gioventù del basso alessandrino e del confinante entroterra ligure.
Vulcanico e multitasking “il Ninone” alterna al divertimentificio l’attività di costruttore, in società con Stefano Azzaretti, “il leone di Varzi”, l’ultimo compagno della “Dama Bianca”, Giulia Occhini, vedova del campionissimo autoctono Fausto Coppi.
Quest’ultima attività lo porta a tenere rapporti di lavoro, con papà Giorgetti, capo cantoniere in provincia.
Ogni qualvolta volta si tratta di asfaltare i viali d’ingresso o i cortili dei palazzi in costruzione, ecco che il “Ninone” chiede la consulenza e la collaborazione di mio padre, quando non si fa addirittura imprestare i fusti di bitume (sembra mai restituiti) e la calderina.
E questa loro conoscenza, che col tempo sfocia in amicizia, sarà per me fonte di problemi a non finire.
Il locale, stretto e buio nella parte interna, dove si trovava il bar, ha il suo pezzo forte nella pista all’aperto, un tendone tipo circo; oltrepassato il ponticello sulla roggia si accede alla piscina (tuttora esistente all’interno del parco acquatico Bolle Blu) e da qui si estende un laghetto circondato da canne di bambù.
I lettini sul fondo della piscina, poco illuminata, sono luogo di “imboscamenti amorosi”, mentre il laghetto diventa per noi del Mini Bar la principale via di accesso alla discoteca, scavalcando direttamente il guard rail sulla statale per l’alta Val Borbera.
Nell’oscurità, abbracciati come delle coppiette in camporella, riusciamo quasi sempre a farla franca, evitando di pagare il biglietto di ingresso.
Una volta dentro, come dice Guido Meda alla partenza delle gare di Moto gp, “skateniamo l’inferno”, nel senso che ognuno di noi da il meglio/peggio di sé, in base al tasso alcolemico in corpo.
Chi preferisce avvitare il gomito al bancone del bar, lanciando languide occhiate alle fanciulle che via via si avvicinano per la consumazione, per poi staccarsene solo dopo la mezzanotte, chi si butta subito in pista “a fò di versi”, cercando di attaccare bottone, anche con la “mano morta”, con le donzelle che ballano accanto, e chi, sulla base del giuramento pronunciato con il rito di affiliazione, rimane EsseC per tutta la serata, esibendosi in un vasto repertorio di tecniche di approccio, il top del romanticismo per le espressioni lessicali usate, che portano sempre ad un bel “due da picche”.
Principe del foro in questo campo “Mon general” Andrea Bobbio, che con la sua divisa estiva personalizzata (in linea con la moda della Milano da bere dei grandi stilisti), camicia azzurra Giorgio Armani e pantaloni in lino color crema del Bagatto, scarpe Granello e sahariana di Corneliani, che indossa anche nelle serate più torride per nascondere i laghi di Bracciano (ipse dixit) che gli si formano sotto le ascelle, staziona stabilmente all’imbocco del ponticello sulla roggia.
Qui, spalleggiato talvolta dal “Figio” Carrea, talvolta dal “Ciglia”, ferma, a mo di posto di blocco della Polizia Stradale, tutte le malcapitate ragazze che passano da quelle parti, ricoprendole di complimenti e carinerie del tipo “infraroito, roito, megaroito, botaroito, con uno due, tre propellenti”.
E questo gli attira spesso le antipatie degli altri maschietti presenti, specie se fidanzati delle medesime, che essendo dei bifolchi illetterati non capiscono il fascino sottile e indiscreto di quegli apprezzamenti verbali.
Tanto che più volte tentano di prenderlo per la giacca, anzi per la sahariana.
C’è poi chi, unico nel suo genere, come il Tano Rock, “Gitaunus”, per non perdere la forma fisica, raggiunta sul ring della palestra di Viani, in località Barbellotta di Novi Ligure, mima di tanto in tanto, quando gli scatta l’embolo, scambi ravvicinati di pugilato con ganci, jab, diretti e uppercut degni del miglior “Sugar” Ray Leonard.
E tra uno scambio e l’altro, per non farsi mancare di nulla, fa anche un po’ di flessioni alla Richard Gere, nel film American Gigolò, appendendosi al sostegno del tendone della pista da ballo.
Nessuno osa dirgli alcunchè, perché subito viene stoppato dal suo mantra di quei tempi :“Dopo 5 anni alle Nuove non ho paura di nessuno”.
Ma la “preparazione di base”, quella che in inverno e primavera si svolge al Mini Bar e da Giovannino a Cassano, e che garantisce prestazioni di altissimo livello nelle scorribande in discoteca, direte voi?
In estate non esiste un ritrovo fisso per registrare “la carburazione e il cilindro”, in vista dei Gran Premi al Mulino, perché di volta in volta andiamo in scena su palcoscenici diversi, e cioè le varie sagre di paese che nei week end si susseguono senza soluzione di continuità.
Alcune sono veri e propri appuntamenti fissi, a cui non si può mancare come la “Festa della torta di riso” ad Alice frazione di Gavi, perché segna la chiusura del nostro “tour estivo”, altre sono di volta in volta pianificate nei dettagli al pomeriggio al Mini Bar dai capi storici della compagnia, “Slerfa” Mario Grosso il “Mosca” Moscardini Lorenzo e il “Tano Rock” Gianluca Ontano.
In quelle occasioni, con le poche lire che abbiamo in tasca, riusciamo non solo a mangiare, ma soprattutto, a fare strike, come nel bowling, a tantissime bottiglie di “cancarone” a basso costo, il che ci permette di raggiungere gli ottani necessari per scendere in pista e fare la pole position tutti i sabati.
Il problema principale è raggiungere il Mulino dopo queste performance; infatti durante il tragitto (le tappe di trasferimento come al Giro d’Italia) , perdiamo sempre qualche membro dell’equipaggio per strada, talvolta per decisione del guidatore, talvolta per “problemi meccanici”.
Due avventure, anzi disavventure, mi vengono in mente a tal proposito, differenti per tipologia, ma sicuramente da top five nella classifica “all time”.
La prima è dovuta a una “scelta tecnica”, come si usa dire in ambito calcistico quando un giocatore non gioca e viene messo in panchina.
Io il Ciglia e il Tano siamo in macchina con “Slerfa” Mario Grosso, direzione Mulino, sulla sua fiammante Fiesta Ghia color oro metallizzato, nuova di pacca.
Per intenderci quella che qualche tempo dopo, come nello spot della Ferrero, ci siamo “snackati” io, lui, Pino “Hulshoff Parmella e due ragazzi di Arquata Scrivia, Peluso e il Quighe Junior.
In località Gambarato all’altezza dello stabilimento Gemeaz, siamo decollati su un tombino, per schiantarci prima contro un albero e poi, game over, contro il muro della fabbrica, riducendo la carrozzeria a un ammasso irriconoscibile di rottami, con “Slerfa ”che è uscito in volo dal vetro anteriore, come Spiderman, atterrando 20 metri più avanti.
Per fortuna, senza grosse conseguenze per tutti, a parte lui che per mesi, dopo un delicato intervento chirurgico al cranio, ha avuto problemi di memoria e di “soporifero letargo” agli attributi.
Comunque, ritornando a noi, quel sabato sera, all’altezza del rettilineo di Garrone, fra Arquata e Vignole, il Ciglia, seduto sul sedile posteriore, si accende una sigaretta (fuma solo da ingranato), e, non essendo Humphrey Bogart, con la “sbrosa” fa un buco sul coprisedile della Fiesta.
“Slerfa” incazzatissimo ci carica di miserie e ci fa scendere abbandonandoci li a piedi.
Il Ciglia, mortificato per l’accaduto, al grido di “voglio morire” cammina barcollante al centro dello stradone, ma poi, riportato alla calma da me e dal Tano, decidiamo di fare l’autostop.
Per nostra fortuna, dopo circa un chilometro, ci caricano dei ragazzi di Genova, anch’essi diretti al Mulino.
Essendo una Mini Minor, il Ciglia, che è il più corto, lo sistemano dietro fra le due ragazze (gravissimo errore) e io davanti, accanto al guidatore, con il Tano Rock in braccio ; una comodità che non vi dico.
Giunti a Vignole, all’altezza del distributore e della via sulla sinistra da cui che entra in paese, veniamo nuovamente e bruscamente appiedati.
Io e il Tano non riusciamo a capire perché, finchè il Ciglia non confessa candidamente che, schiacciato com’era fra le due ragazze, ne ha approfittato per allungare le mani.
Di fronte alla prospettiva di farcela a piedi per 4-5 chilometri, perché “bomba o non bomba”, come dice Venditti, arriveremo comunque al Mulino, preso da una scatto d’ira, paragonabile a quella del pelide Achille nell’Odissea di Omero, gli appioppo un “cartone” in faccia che lo fa cadere dentro il fosso sul ciglio della strada, atterrando su un fusto vuoto di bitume, abbandonato li dai cantonieri di mio padre.
Poi mi pento amaramente, io e il Tano lo aiutiamo a risalire, e a piedi ci incamminiamo verso l’agogna meta.
Arriviamo quasi in orario di chiusura, ma l’importante è poter dire “io c’ero”.
La seconda disavventura è dovuta a guasto meccanico; almeno questa è la scusa ufficiale dinnanzi ai genitori, che a giudicare dalla fiatata alcolica del figlio, all’altezza di quella di “Superciuk del fumetto Alan Ford, non l’hanno sicuramente bevuta.
“Mon general Bobbio” e “Figio” Carrea, reduci da un servizio da 12 di Mambo vodka lemon, bevuti al Bar dei Tigli a Cassano Spinola (bevanda allora alla moda, perché come si dice in gergo “va giù bene” anche se poi ti scassa dentro), non si sa per quale scelta razionale, o meglio irrazionale, decidono di arrivare al Mulino, percorrendo una strada alternativa, la famigerata Valle della Morte” che sbuca in prossimità del paese di Stazzano.
Una strada buia, stretta, piena di buche e soprattutto tutta a curve.
Ma tant’è sono i tempi in cui i giovani vanno pazzi per le gare di rally e la coppia che spopola nel mondiale è quella formata dai finlandesi Markku Allen (alla guida) e Ilkka Kivimaki (navigatore).
Per questo i due, col “Figio” nel ruolo di Alen e Bobbio in quello di Kivimaki, alla guida della Fiat 127 sport grigio metallizzato di suo padre, il grande “Censino” Carrea, supertifoso dell’Inter, affrontano il percorso con un piglio da veri professionisti, e festeggiano ogni insidia superata con un brindisi alla vodka lemon, avendo in macchina la bottiglia e soprattutto i preziosissimi bicchierini in vetro a forma cilindrica con impugnatura laterale.
Ma all’altezza del ponte sulla ferrovia a binario unico, in prossimità del cimitero di Stazzano, qualcosa va storto: raddrizzano una curva, volando, da un’altezza di alcuni metri, su un prato sottostante.
La macchina per miracolo ricade dritta sulle quattro ruote, ma non si mette più in moto, cosicchè i due aspiranti rallisti devono ritirarsi dalla competizione, abbandonando il sogno di segnare un tempo record nella prava speciale Cassano – Borghetto Borbera.
Ma la buona sorte li assiste; nessuno dei due si fa un graffio, a parte un evidente stato di shock emotivo del “Figio”, che una volta riportato a casa, alterna risate a pianti disperati, per cui il padre chiama il fratello di Piero Massone (“No Piero” per gli amici, in quanto si auto rimprovera ogni qualvolta sbaglia un colpo a tennis), neo laureato in medicina, che abita nello stesso palazzo, per fargli un check up.
Il risultato è confortante, qualche giorno di riposo e poi può tranquillamente rieentrare in prima squadra per il sabato sera successivo.
Ma insieme alle disavventure esterne alla discoteca, non posso esimermi dal ricordare anche alcune imprese memorabili consumatesi al suo interno.
Sono moltissime, ma cito solo le migliori.
La prima, medaglia di bronzo: manca la luce all’interno del locale, e in men che non si dica riusciamo a carpire dal bancone del bar una bottiglia di Whisky W 5 (una vera schifezza che ti brucia lo stomaco solo a sentire l’odore) e un fiocchetto di prosciutto crudo, utilizzato per fare i panini a tarda ora, quando ti viene lo sbrano notturno.
Fuga veloce ai servizi igienici e in quell’ambiente confortevole, profumato ed aerato, lo mangiamo tutto a morsi, senza pane, utilizzando come bevanda, al posto dell’acqua, la “benzina” contenuta nella bottiglia di whisky.
Inutile dire che la domenica mattina ho una sete tale che mi berrei tutto lo Scrivia, alghe comprese.
La seconda, medaglia d’argento: festa in bianco e nero, stavolta di giovedì sera.
Il “Ninone”, tutto vestito di bianco, dopo numerosi brindisi con gli invitati, ha la sfortuna di passare davanti a noi, appostati dietro una colonna.
E’ un attimo, vedendolo un po’ barcollante e piegato in avanti, riteniamo giusto mettere in pratica il pensiero di Platone secondo cui : “Il vino per l’uomo è come l’acqua per le piante, che in giusta dose le fa stare bene erette.”
Presa una bottiglia di barbera, abbandonata da qualcuno su un tavolino, dopo averla ben bene scheccherata, gliela spruzziamo sulla camicia e ce la diamo a gambe elevate, prima che lui si possa rendere conto di cosa sia accaduto.
A fine serata il “Ninone”, prima di accomiatarsi dai presenti e chiudere il locale pronuncia la famosa frase: “Sono Nino il padrone del Mulino (rima baciata) e voglio ringraziare tutti voi…… ma se becco quel figlio di p…..a che mi hai macchiato la camicia gli faccio un c..o così”.
La terza, medaglia d’oro: su una delle botti interne al locale balla una cubista alta, bionda, con “due roberti davanti” (come diceva Giorgio Faletti, quando impersonava il monello Carlino da Passerano Marmorito a Drive In) da premio Nobel dell’estetica e un lato B che “gli manca solo la parola”.
Pino “Hulshoff” Parmella, non contento di avere già fatto esplodere due petardi Raudi nel sottopassaggio della stazione ferroviaria di Novi Ligure, rientrando in treno dalle superiori, decide di accenderne uno e lanciarlo all’interno della botte.
Una cannonata tremenda, con spostamento d’aria tipo esplosione di una bombola del gas; spaventatissima la povera malcapitata cade dai trampoli tacco 16 e precipita rovinosamente al suolo.
Inutile specificare che, dopo indagini approfondite, in questi tre casi, e in tanti altri ancora, che non ho citato, i colpevoli vengono dal “Ninone” identificati e puniti severamente in base al terzo principio della dinamica (detto anche principio di Newton) “azione-reazione”.
La punizione più lieve consiste nel non potere andare alla domenica pomeriggio a fare il bagno in piscina, quella più grave prevede una o più giornate di squalifica in discoteca, specie se recidivi.
Essendo il “Ninone” amico di mio padre, tutte le mie marachelle notturne, a differenza dei miei amici, che riescono a tenerle segrete, diventano di dominio familiare nel volgere di qualche giorno (il tempo di incontrarlo per lavoro sulle strade della Val Lemme o della Val Borbera).
Così alle giornate di squalifica al Mulino si aggiungono “i lurdouni ncu ‘a man anversa” di mia madre (più volte si è rotta i capillari della mano per la leggerezza, a mo di buffetto, con cui mi colpisce).
Proprio per queste scorribande estive, a cui si aggiungono quelle invernali al Neu, unite alla nostra esuberanza e originalità verbale negli approcci amorosi col gentil sesso, ci siamo ormai bruciati, con le donne, sulla piazza locale.
Riunito il Gran Consiglio del Mini Bar, decidiamo negli anni a venire, dopo avere perso “il Mosca”, il primo a convolare a giuste nozze, ed uno dei pochi ancora felicemente sposato, (“i sai na brancò id discasè”, questo il giudizio tranciante di buonanima di mia madre non più tardi di 10 anni fa), decidiamo di spostarci su un territorio per noi vergine; l’Oltrepo pavese.
D’inverno si va al Club House a Salice Terme o allo Sporting a Rivanazzano, d’estate alla Foresta a Pozzol Groppo.
Qui conosco Ale la mia prima fidanzata ufficiale, una ragazzina carina e dolcissima, ancora minorenne, che ha vinto un terno al lotto (si dice così) a mollarmi nel giro di un paio di anni.
Ma ora, essendo diventati una squadra fortissimi, alla Checco Zalone, è tempo di iscriverci alle competizioni internazionali; si va al Torneo di Sitges, a 40 chilometri da Barcellona !
E sarà un trionfo !