L’infermiera della Mutua (Biancamaria Trevisan detta NANA)
Di fronte al calzaturificio Pasqualino, (poi calzature Gualco e poi ha chiuso anche lui) e al macellaio Maggiolino c’è una traversa di via Betrthoud, via Giovanni XXIII, lì esisteva la lavanderia “ Dazzi” e andando su e svoltando a sinistra si trova un edificio lungo e basso che era la sede del distretto sanitario di Serravalle “LA MUTUA”.
Era un centro molto ben attrezzato dove si potevano avere cure dentistiche, visite ginecologiche e usufruire di varie terapie ambulatoriali.
Io ci andavo spesso con mia mamma che soffriva di mal di schiena e faceva “I forni” terapie di calore che le alleviavano il dolore. Fu lì che ebbi il mio primo incontro con un dentista a causa di qualche carie che mi portavo dietro da tempo. Avevo anche i denti un po’ storti ma l’apparecchio i miei non se lo potevano permettere così quelli me li sono tenuti com’erano. Il medico che mi curò i denti era una persona abbastanza grossolana e non cercava in nessun modo di mettermi in agio, pareva quasi si divertisse a spaventarmi e mi mostrava ridendo l’ago della siringa che mi avrebbe piantato nelle gengive. Così io ero sempre spaventata e in ansia quando dovevo andare da lui.
Per fortuna in quel distretto lavorava la Nana, che era l’unica che riuscisse a convincermi a varcare la soglia della stanza adibita a studio odontoiatrico.
Nana, aveva una corporatura massiccia, capelli scuri, volto dai lineamenti decisi e sorriso aperto. Camminava a grandi passi, forse perché era sempre di corsa, in affanno contro il tempo che non era mai sufficiente per ottemperare a tutti gli impegni. D’altronde era una delle poche donne che in quegli anni lavoravano a tempo pieno fuori casa e faceva di tutto per conciliare il lavoro con il suo ruolo di moglie e di madre. L’aspetto era rassicurante e riusciva a rasserenare non soltanto me ma tutti quanti. Era una delle persone che più ispirassero fiducia tra tutte quelle che ho conosciuto nella mia vita. Sdrammatizzare era il suo motto e poi trattava tutti come se fossero persone di famiglia. Abitava nella mia stessa via e Fabio, mio fratello, era molto amico del figlio Alessandro di qualche anno più piccolo. Lei era contenta che i bambini giocassero insieme e non le importava che mettessero in disordine la casa, la sua priorità era che stessero bene e si divertissero.
Fumava strane sigarette alla menta, le “Pack”, diceva che quelle non danneggiavano la salute e non puzzavano. Professionalmente era davvero in gamba: iniezioni, flebo, e analisi, per lei non avevano misteri, ma soprattutto sapeva consigliare ed ascoltare la gente con il suo fare semplice che conquistava. Verso sera, quando rientrava dal distretto che allora si chiamava INAM, faceva quasi di corsa la strada, con ai piedi i suoi bassi mocassini neri. Doveva cucinare e finalmente godersi la famiglia.
Una persona davvero solare che apprezzava tutto quello che la vita offre ma che ha dovuto allontanarsi da questa vita troppo presto lasciando un grande vuoto e uno smisurato rammarico in tutti quelli che avevano avuto la fortuna di conoscerla.
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