Il delitto di via Palestro
Dicono le cronache che Arturo Vaula uccise sua madre perché gli negò poche migliaia di lire.
Un orrendo delitto che nel 1960 suscitò raccapriccio e sdegno in tutta la popolazione di Serravalle e dintorni ed ebbe rilievo per molti mesi sulle pagine dei giornali locali e nazionali.
La personalità di Vaula emerge prepotentemente negativa da tutti gli articoli che lo descrivono. Un ladro, vagabondo, ubriacone, imbroglione, un lestofante che a vent’anni si trasforma in un assassino della peggior specie sopprimendo sua madre.
Le cronache narrano ch’egli, a causa del rifiuto della madre di dargli dei soldi, colpiva la sventurata dapprima alla nuca con un mattarello trovato in cucina, ma visto che il colpo non l’aveva uccisa, accecato dall’odio (dirà più tardi che odiava la madre sin da quando era bambino e che sognava spesso d’ammazzarla, e non per i soldi ma per l’amore non gli aveva mai dato) le tappava la bocca con fazzoletti e un canovaccio e poi la finiva strangolandola. Sottraeva dal suo grembiule i pochi risparmi (circa 6000 lire) e una banconota da 500 lire con la quale pagava l’ingresso al cinema ove, come se nulla fosse accaduto, andava a vedersi il film Le Nevi del Kilimangiaro.
Uscito dal cinema si recava in piazza Don Bonaventura, assisteva allo spettacolo dei burattinai che vi si teneva, e si ubriacava spendendo tutti i soldi che aveva in tasca e per i quali aveva ucciso sua madre, nelle varie osterie del paese. Esausto si addormentava in un prato. Alle 7 si presentava all’albergo S. Antonio, ove sua madre lavorava come donna delle pulizie. Alla proprietaria, signora Emilia Molinero, consegnava un biglietto dicendo: «Mia madre è ancora ammalata e mi incarica di darle questa lettera con cui la prega di consegnarmi i soldi del suo mensile, perché le servono per acquistare le medicine». La signora Molinero, conoscendo bene i difetti del giovane, non gli dava una lira e soltanto allora Arturo Vaula deve aver compreso la gravità della sua situazione. Raggiunta Novi Ligure con l’«autostop» si recava alla caserma dei carabinieri e si costituiva, confessando con distacco, quasi la cosa non lo riguardasse, il suo orrendo crimine.
Durante il processo non mostrerà mai il minimo pentimento anzi dirà che gli dispiace, non per aver ucciso la madre, ma per dover andare, per questo, in galera.
Gli verrà riconosciuta la semiinfermità mentale che gli eviterà l’ergastolo.
Verrà condannato a 23 anni ed in carcere più volte sarà preso di mira dagli altri detenuti che non sopportano di stare insieme a un matricida.
Rileggere la cronaca, però, porta a fare più di una riflessione su quanto accadde e a porsi tante domande.
La prima volta che i giornali parlano di Arturo Vaula è il 1953, quando lui ha tredici anni. Leggendo l’articolo che lo riguarda, nessuno potrebbe presagire che quel ragazzino sarebbe diventato la belva sanguinaria che diventò sette anni dopo, ma tutti noteranno il disagio e la pena di quel bambino sbattuto da un orfanatrofio all’altro da genitori a dir poco… assenti.
Uno strano ragazzo fermato ad Alessandria
Da tre giorni viveva all’aperto nutrendosi con delle caramelle – Dice di essere stato abbandonato dai genitori Alessandria, lunedì mattina. Agenti della Questura di Alessandria hanno fermato nei pressi del ponte Tanaro, in borgo Cittadella, il tredicenne Arturo Vaula. Da tre giorni viveva all’aperto, dormendo dove poteva e nutrendosi con delle caramelle. Rifocillato, il ragazzo, alto magro pallido, ha raccontato — sia pure con molte lacune e incertezze — di essere stato ricoverato all’età di 2 anni nell’Istituto delle suore del Sacro Cuore di Castelferro, in territorio di Alessandria, che provvede all’infanzia abbandonata. Tre anni fa circa usciva da quell’Istituto e veniva ospitato presso una famiglia di contadini del luogo che lo mettevano a lavorare in campagna; ma non trovandosi poi a suo agio, interessava la sorella Pierina di 17 anni, che afferma risiedere in Alessandria con lo zio, per essere prelevato. Verso la metà del dicembre scorso si recavano infatti a Castelferro il padre e la madre del bambino (che egli non aveva mai conosciuto) i quali lo conducevano con loro in Alessandria. Il fanciullo però non ricorda l’indirizzo a cui fu portato, né sa ove risiede la sorella Pierina. Nella nostra città avrebbe sostato alcune settimane, fino a quando giovedì scorso, durante una passeggiata in campagna con i genitori, sarebbe stato da costoro abbandonato dopo che gli consegnarono 1500 lire. Egli però non sa indicare neppure approssimativamente il luogo dove sarebbe avvenuto il distacco dai genitori. Sfiduciato il bambino riprese a tarda sera il cammino verso la città. Egli ha comperato in questi giorni un pacchetto di sigarette che intendeva regalare allo zio, ma invano ha cercato di rintracciarlo, girovagando affamato e intirizzito fino a quando è stato raccolto nel tardo pomeriggio di ieri e amorevolmente assistito in Questura. In tasca aveva un biglietto da mille lire. (Ha ricordato pure di avere un’altra sorella, Jolanda, ventenne, postulante suora nell’Ordine delle Immacolatine di Torino, e colà si faranno le necessarie ricerche. È stata inoltre interessata l’Arma dei carabinieri di Sezzadio da cui dipende la frazione di Castelferro, per avere altre notizie su questo strano ragazzo, che sembra abulico e senza memoria. Anche le Indagini per rintracciare la citata sorella Pierina sono riuscite Infruttuose data la giornata festiva di ieri, ma. saranno riprese oggi presso gli Uffici competenti.
Nel mese d’agosto del ’60, pochi giorni prima del matricidio i giornali tornano a parlare di lui, perché responsabile di un furto:
La Polizia della nostra città ha denunciato a piede libero alla autorità giudiziaria il casalese Arturo Vaula di 21 anni, senza fissa dimora, quale autore di un furto commesso l’11 agosto. Il Vaula si era recato a trovare un suo amico, tale Bruno Ornella, abitante in via Fratelli Costa 3 unitamente all’invalido casalese Angelo Roncarolo di 44 anni. Adocchiata nell’ alloggio una radiolina a transistor di proprietà del Roncarolo, se ne era impadronito allontanandosi poi con il piccolo apparecchio della cui scomparsa il proprietario si accorgeva soltanto un’ora dopo. Il furto veniva denunciato al Commissariato di P.S. Il giorno successivo il casalese Giuseppe Stecchetti, ospite della locale Casa di Riposo, si presentava agli agenti di P.S. dicendo di aver acquistato dal Vaula la radiolina, ma insospettito del prezzo eccezionalmente favorevole richiesto dal venditore (settemila lire) gli era sorto in un secondo tempo qualche dubbio sulla provenienza dell’apparecchio. La radio è stata riconosciuta per quella del Roncarolo ed alla Polizia è stato facile ricostruire il fatto che ha portato alla denuncia del Vaula, il quale, di fronte alla evidenza delle prove a suo carico, si è riconosciuto responsabile del furto.
Il resto è la cronaca del delitto e del processo.
Lo spaventoso delitto del ventenne di Serravalle Scrivia Lo spaventoso delitto del ventenne di Serravalle Scrivia
“La odiavo e l’ho fatta finita,, ha scritto il feroce matricida Poi, forse atterrito dalle stesse sue frasi spietate, ha stracciato la confessione scritta su un pezzo di manifesto cinematografico – Ma è stato l’unico gesto di resipiscenza poiché di fronte ai carabinieri non ha manifestato che gelido cinismo – Stanotte ha dormito tranquillamente benché non fosse più ubriaco come nelle ore dopo il crimine – Oggi la necroscopia stabilirà se la donna morì per la frattura del cranio o per strangolamento.
Nostro servizio particolare Serravalle Scrivia, mart. sera. «Ho ucciso mia madre, una specie dì madre che non si è mai preoccupata dì suo figlio. Mi ha sempre costretto a vivere in riformatori o ad elemosinare un tozzo di pane per sfamarmi. Nutrivo per lei un odio mortale. Ora l’ho fatta finita».
Queste ed altre affermazioni parimenti orrende ‘sono la cinica confessione scritta e firmata da Arturo Vaula, il ventunenne matricida di Serravalle Scrivia. Una confessione scritta subito dopo il crimine, sul retro di un manifesto staccato dalla bacheca murale di un cinema di Serravalle, e quindi (forse perché al rileggerlo l’assassino è rimasto spaventato dalla crudele viltà delle sue frasi), strappato in tanti pezzetti e gettato nella pattumiera. Lo hanno ritrovato, durante il sopraluogo, i carabinieri che, pazientemente, sono riusciti a ricomporlo pezzo per pezzo. Al processo tali imprecazioni blasfeme contribuiranno ad un ritratto morale del giovane matricida che, per essersi visto rifiutare poche migliaia di lire, non ha esitato (dopo aver scolato due bottiglie di marsala) a massacrare la propria madre assistendo poi, con cinica freddezza, per oltre un’ora, alla straziante agonia Arturo Vaula ha infatti uccìso sua madre, Paolina Vaula di 62 anni (il padre è ignoto) nel tardo pomeriggio di domenica, verso le 17,30, dopo che la donna gli aveva negato i pochi risparmi che erano in casa, non più di seimila lire. Per uccidere, Arturo si è servito prima di un matterello trovato in cucina con il quale ha fracassato il cranio alla donna, poi, visto che la morte tardava a giungere, ha stretto il collo di sua madre con un grosso fazzoletto. L’agonia della poveretta è durata oltre un’ora e, impassibile, il matricida (sarà egli stesso a confessarlo ai carabinieri) vi ha assistito, in attesa dell’ultimo respiro. Soltanto allora, spinto il cadavere sotto il letto, ha cercato di rimettere un po’ d’ordine nella stanza e di ripulire il sangue che era schizzato un po’ ovunque. Verso le 19, quindi, Arturo Vaula, apparentemente normale, si è recato all’albergo Sant’Antonio, dove Paolina Vaula prestava servizio come donna di fatica, ad avvertire che la madre era indisposta e non avrebbe potuto tornare al lavoro fino al giorno successivo. Lasciato l’albergo il giovane è entrato nel cinema Italia ed ha assistito alla proiezione del film Le nevi del Kilimangiaro, dopo di che si è spostato in piazza Bonaventura ove è sita la caserma dei carabinieri e dove, da qualche giorno, è installato un baraccone di burattinai; ha assistito anche a questo spettacolo poi ha sostato in alcune osterie. Infine, ormai ubriaco, si è addormentato in un prato; ormai aveva sperperato le poche migliaia di lire tolte dal grembiule della madre assassinata. Ieri mattina alle 7 si è presentato alla proprietaria dell’albergo S. Antonio, signora Emilia Molinero, e consegnando un biglietto ha detto: «Mia madre è ancora ammalata e mi incarica di darle questa lettera con cui la prega di consegnarmi i soldi del suo mensile, perché le servono per acquistare le medicine». La signora Molinero, conoscendo bene i difetti del giovane, ha rifiutato e soltanto allora Arturo Vaula (rimasto senza soldi) deve aver compreso la gravità della sua situazione. Raggiunta Novi Ligure con l’«autostop» si è recato alla caserma dei carabinieri di -Novi Scalo e si è costituito, confessando con distacco, quasi la cosa non lo riguardasse, il suo orrendo crimine. Arturo, figlio naturale di Paolina Vaula (la donna aveva avuto da ragazza altre due figlie di cui una, Jolanda dì 26 anni, è da qualche tempo a Roma presso la sorella colà residente la quale ha dato alla luce un bimbo) ha trascorso gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza passando da un orfanotrofio all’altro e manifestando sempre un carattere violento e nessun amore al lavoro. A diciassette anni, mentre era ospite della Pontificia Opera d’Assistenza dì Casale Monferrato, commise un furto e venne rinchiuso nell’Istituto di rieducazione «Cesare Lombroso» di Torino; di qui venne dimesso nell’aprile scorso, al compimento dei ventun anni. Appena libero, il giovane tornò a Casale, vi rubò una radio portatile e fini in carcere per due o tre mesi. Si trasferì quindi a Genova da dove la questura lo allontanò con foglio di via obbligatorio che i carabinieri gli hanno rinvenuto in tasca. A Serravalle Scrivia Arturo Vaula era giunto il 23 agosto scorso e si era recato presso la madre. Il giorno dopo aveva chiesto aiuto alle autorità locali le quali gli avevano trovato un lavoro presso una ditta di Vignole Borbera, dove egli avrebbe dovuto presentarsi nella mattinata di ieri, lunedì, Poche ore prima, con : snaturata violenza, il giovane aveva commesso il matricidio. Paolina Vaula era una povera donna dallo squallido passato (lo testimoniano le sue tre oscure maternità), e da tempo si guadagnava da vivere con lavori saltuari presso famiglie di Serravalle; ultimamente aveva assunto il posto prima occupato dalla figlia Jolanda presso l’albergo S. Antonio. In casa i soldi erano sempre pochi e più che giustificati erano i suol rifiuti alle continue richieste dello sciagurato figlio che, più di una volta ai rimbrotti materni aveva risposto: «Piuttosto di lavorare vado a rubare, è meno faticoso». L’alloggio di Paolina Vaula è al n. 34 dì via Palestro, in una vecchia casa che da un lato s’affaccia sulla linea ferroviaria in quel punto sopraelevata, e dall’altro sul fiume Scrivia. Si compone di due piccole stanze al plano rialzato: una cucina abbastanza bene arredata ed una povera camera da letto. In questa Arturo, Il matricida, ha compiuto il crimine infierendo senza pietà Ora la salma di Paolina Vaula è stata portata nella camera mortuaria del camposanto di Serravate Scrivia, dove stamane verrà eseguito l’esame necroscopico a cui assisterà il dott Parola, sostituto Procuratore della Repubblica dì Alessandria. L’autopsia sarà compiuta dal prof. Fittipaldl e dovrà accertare se la morte è sopravvenuta per la frattura del cranio oppure per strangolamento: In questo secondo caso sarebbe dimostrato che il matricida ha infierito sulla sua vittima e la sua posizione risulterebbe ulteriormente aggravata. Arturo Vaula, che non ha manifestato finora il minimo segno di pentimento, dopo il sopraluogo nella casa di via Palestro ed un primo interrogatorio è stato tradotto nella serata di ieri ad Alessandria e rinchiuso nelle carceri giudiziarie, dove, a quanto si apprende, ha trascorso una notte tranquilla dormendo profondamente.
Dimorava a Casale il matricida di Serravalle
Pochi giorni prima del delitto rubò una radio a un casalese
Un orribile delitto compiuto negli scorsi giorni a Serravalle Scrivia ha profondamente commosso l’opinione pubblica. Un ragazzo, il ventunenne Arturo Vaula, ha ucciso la propria madre «perché la odiava».
Il matricidio ha avuto a Casale un’eco particolarmente profonda in quanto il Vaula ha soggiornato nella nostra città dall’aprile del 1953
al maggio del 1956, quale ospite dell’Opera Pontificia di assistenza.
La cattiva condotta del Vaula aveva poi costretto i dirigenti del Pio Ente a farlo ricoverare all’Istituto di rieducazione «Cesare Lombroso» di Torino.
Anche l’autorità giudiziaria casalese si era interessata del giovane. Nell’ottobre del 1955 lo aveva denunciato al Tribunale per i minorenni per furto aggravato, e l’11 agosto scorso il Vaula era nuovamente incappato nelle maglie della giustizia per aver rubato una radiolina portatile al casalese Angelo Roncarolo, rivendendola poi ad un ospite della locale Casa di Riposo, ove ha trascorso alcuni anni anche un fratello del matricida. Il Vaula, denunciato a piede libero per trascorsa flagranza, si era recato a Serravalle Scrivia ove ha soppresso freddamente la madre.
Neanche di fronte alle Assise dì Alessandria, Arturo Vaula si è detto pentito
Il P. M. chiede 30 anni di carcere per il matricida di Serravalle Scrivia
“E’ un poltrone, bugiardo e ladro (ha detto il rappresentante della pubblica accusa), un commediante che sa simulare la pazzia,, • Nessuna testimonianza a favore dello sciagurato giovane; soltanto il direttore del “Cesare Lombroso,, difende l’ex corrigendo affermando che sapeva comprendere chi lo comprendeva e che soffriva per la mancanza di ogni affetto”
Alessandria, venerdì sera. cono pentito di quel che ho fatto perché-vado in carcere, non per aver ucciso mia madre»: cosi disse Arturo Vaula, il manovale ventunenne che il 28 agosto 1960 uccise a Serravalle Scrivia la madre Paolina Vaula. Stamane all’udienza davanti alla Corte d’Assise di Alessandria, ove comparso per rispondere di matricidio doppiamente aggravato e di alcuni reati minori, il giovane ha dichiarato di non ricordare nulla del truce delitto compiuto. Di fronte all’ostinato mutismo circa il delitto dell’imputato, un giovane alto, magro, dallo sguardo assente, il dott. Cannata, che presiede la Corte, ha dato la lettura dei lunghi verbali di Interrogatorio resi dall’assassino ai carabinieri all’atto della sua costituzione, il giorno dopo il delitto. A quell’epoca il matricida narrò di aver sempre odiato la madre: «Fin dalla età di 12 anni, allorché mi trovai rinchiuso In un istituto per minorenni e vedevo i miei compagni ricevere la visita dei genitori, io sentivo l’odio divampare in me per l’abbandono in cui ero lasciato e pensavo che un giorno avrei ucciso mia madre. Questa idea mi ha accompagnato negli anni, sebbene mai lo abbia progettato dove e quando avrei potuto attuare tale proposito». La soppressione della genitrice, una donna disfatta dalle fatiche e madre di tre figli sebbene nubile, avvenne in circostanze agghiaccianti, descritte dal giovane assassino con una incredibile freddezza: la sventurata madre, colpita più volte al capo, fu infine strozzata dal Vaula con tanta e tale violenza da riportare il giovane la lussazione di un dito della mano. «Si muoveva ancora — disse il giovane manovale — e cercava di rialzarsi per cui le misi un asciugamano intorno alla bacca per farla finita per sempre e quin di nascosi il suo corpo sotto il letto, “lavando il pavimento dalle, macchie di sangue nel timore che qualcuno entrasse in casa improvvisamente e si avvedesse di quanto era accaduto ».
Un caso di criminalità inumana senza precedenti — lo ha definito il P. M. dott. Prosio, il quale ha bollato con termini di fuoco il comportamento dell’assassino, che avrebbe ucciso la madre perché gli occorrevano soldi per divertirsi e la donna glieli negava. «E’ un poltrone, bugiardo e ladro — ha esclamato il rappresentante della Pubblica Accusa mentre il dott. Santanchè, direttore dell’Istituto di rieducazione Cesare Lombroso» di Torino, in una lettera inviata stamani al difensore dell’imputato, prof. Punzo, ha descritto il matricidio compiuto come la conseguenza di un periodo lungo di abbandono e di solitudine, che ha scatenato in una personalità nevrotica un fatto abnorme. Quando si trovava all’Istituto torinese, prosegue le. lettera, il Vaula ha mantenuto sempre un contegno esemplare e ha saputo comprendere chi lo- comprendeva; solo a tratti la sua personalità si è oscurata specie quando i compagni vantavano le attenzioni e gli affetti del loro familiari. «E’ un commediante che sa simulare la pazzia — ha sostenuto invece il P. M. — un uomo che dopo avere ucciso la madre le sfila dalla tasca del grembiule una banconota da 500 lire per recarsi al cinematografò, dove trascorre la serata, e si costituisce poi ai carabinieri solo allorché comprende che il crimine consumato sta per essere scoperto». Pochi i testimoni chiamati a deporre: l’unico congiunto dell’imputato, la sorella Jolanda, che in istruttoria aveva confermato i sentimenti di odio nutriti dal fratello nei confronti della madre negantegli il suo affetto, non è presente. I carabinieri che hanno condotto le indagini, confermano la dichiarazione resa dall’imputato al momento della sua costituzione. La proprietaria dell’albergo di Serravalle, ove la vittima lavorava come donna di fatica, ricorda che il mattino dopo il delitto Arturo Vaula si presentò a lei per chiedere denaro a nome della madre, a suo dire malata. Il P. M. nella sua requisitoria ha chiesto la condanna dell’imputato, riconosciuto da una perizia psichiatrica seminfermo di mente, a trent’anni di reclusione, di cui ventisei per il matricidio, due per un furto in precedenza commesso dall’imputato a Casale, ai danni d’un invalido, un anno per la tentata truffa nei confronti dell’albergatrice, due anni per il reato di falso in scrittura privata, avendo redatto une lettera al nome della madre, già morta. Ha quindi preso la parola il primo dei due difensori, prof. Punzo. Più tardi parlerà l’altro difensore, avv. Fracchia; quindi la Corte pronuncerà la sentenza.
Giovanni Camagna
GIULIO DE BENEDETTI DIRETTORE RESPONSABILE
Alessandria, 16 giugno. Con una condanna a 23 anni e 6 mesi di reclusione si è concluso dinanzi alla Corte d’assise di Alessandria (pres. dott. Cannata; giudice togato dott. Zeoli; P. M. avv. Prosio) il processo, ultimo della sessione estiva, contro il matricida di Serravalle Scrivia, il giovane Arturo Vaula di 21 anno. Doveva rispondere di avere ucciso la propria madre, di tentata truffa, falso in scrittura privata e furto aggravato. La Corte ha riconosciuto all’imputato il parziale vizio di mente e pertanto, avendolo dichiarato « individuo socialmente pericoloso », ne ha ordinato a pena scontata il ricovero per un periodo minimo di tre anni in una casa di cura. Arturo Vaula aveva ucciso a Serravalle la propria madre, Paolina Vaula, di 61 anno, nel tardo pomeriggio di domenica 29 agosto 1960. Il delitto, scoperto la mattina successiva, dopo che il matricida si era costituito ai carabinieri di Novi Ligure, aveva destato profonda impressione. Inviato al manicomio criminale di Reggio Emilia per essere sottoposto a perizia psichiatrica, il Vaula era stato riconosciuto dal prof. Pompeo Davoll « soggetto frenastenico di medio grado in dipendenza delle sue deficienze morali, etiche ed affettive ». « Sono pentito di quello che ho fatto — aveva dichiarato il giovane quando venne interrogato dal Procu ratore della Repubblica dopo il delitto — perché vado in carcere, non per avere ucciso mia madre. L’ho sempre odiata e ora l’ho fatta finalmente finita». Stamane invece, alla richiesta del Presidente della Corte di raccontare come i fatti si fossero svolti, il giovane ha detto di non ricordare nulla e si è chiuso in un assoluto mutismo, lo sguardo assente. Il dott. Cannata ha allora letto la confessione del giovane, un agghiacciante racconto che contribuisce a dare un ritratto del matricida il quale, bevute due bottiglie di marsala, non aveva esitato a massacrare la propria madre assistendo poi con cinica freddezza alla straziante agonia della povera donna. Giunto a Serravalle alcuni giorni prima, dopo essere stato dimesso al principio di aprile dall’istituto Lombroso di Torino ed avere vagabondato tra Casale e Genova (nella prima città commise un furto ai dan ni d’un paralitico che lo aveva accolto in casa; dalla seconda fu espulso con foglio di via obbligatorio), Arturo venne accolto in casa dalla madre, un modesto alloggio al n. 34 di via Palestro. La Paolina Vaula gli aveva trovato un posto di lavoro ed egli avrebbe dovuto prendere servizio la mattina di lunedi 30 agosto. Il giorno precedente, rimasto solo in casa, scolò il contenuto di due bottiglie di marsala e quindi, seduto nella piccola cucina, pensò che avrebbe ucciso la madre. Così quando la donna rientrò verso le 17,30 e chiese quale fine avesse fatto il marsala, il giovane, afferrato un matterello, colpì al capo la madre. Paolina cadde a terra e mentre tentava di rimettersi in piedi venne colpita da altri tre-quattro colpi inferti con inaudita violenza sempre al capo. «Si muoveva ancora — raccontò Arturo nella sua confessione — e allora cercai di soffocarla legandole attorno alla bocca un grosso asciugamano. Notai però che non era morta e la strinsi con violenza al collo e infine la strangolai con un grosso fazzoletto». Poi il matricida si recò al cinema e il giorno dopo si costituì ai carabinieri di Novi Ligure. Pochi i testimoni chiamati a deporre, nessuno a favore del giovane. E quindi prende la parola il rappresentante della pubblica accusa. «In quella gabbia — dice l’avv. Prosio — è un demonio che s’è macchiato del delitto più orribile e raccapricciante: il matricidio. È un individuo bugiardo, ladro, cattivo, «prepotente, sleale». Dopo avere ricordato che il movente del delitto non è stato tanto l’odio verso la madre quanto il rifiuto da parte di questa a con segnargli altri soldi, l’avv. Prosio chiede che l’imputato venga riconosciuto seminfermo di mente, e come tale condannato per omicidio aggravato, la tentata truffa, il falso e il furto, a 30 anni di reclusione, sia dichiarato socialmente pericoloso e rinchiuso appena scontata’ la pena in una casa di cura per almeno tre anni. È la volta della difesa. Disperata la posizione dei difensori, avvocati Fracchia e Punzo, che, descritto il triste ambiente in cui Arturo Vaula è nato, si battono generosamente perché venga concesso il vizio parziale di mente e le attenuanti generiche. La Corte si ritira. Rimane quindi in camera di consiglio per circa un’ora, uscendone poi con la condanna ricordata. I difensori hanno interposto appello.
f. m.