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Scuola Materna “Maria Divano”: esperimenti di didattica (1878)

1878: PUBBLICI ESPERIMENTI DI PEDAGOGIA E DIDATTICA A SERRAVALLE E A NOVI

DA NOVINOSTRA IN NOVITATE – ANNO IV DICEMBRE 2019 (NUMERO 8)
di Federico Cabella
E’ curioso come talvolta una carta adagiata su un telo steso a terra o, con pi0 accuratezza, su un banchetto, possa metterci in connessione con persone, storie e realtà distanti da noi nel tempo, ma non certamente nello spazio. Ciò è quanto ci è accaduto al ritrovamento di una vecchia carta. esposta su un mercatino di robivecchi, che fa riferimento a un “pubblico esperimento di educazione e d’istruzione dato dai bambini delI’Asilo infantile di Serravalle Scrivia il giorno 3 settembre 1878.
Le informazioni dell’opuscoletto si fermano qua. Al suo interno, diviso in cinque parti, vi sono altrettante preghiere e canzoni, corredate da misteriose annotazioni a piè di pagina che non riescono tuttavia la a chiarire i nostri principali interrogativi: chi è
I’autore che ha dato alle stampe questo breve opuscolo e con quale scopo? In che cosa consisteva il “pubblico esperimento di educazione e d’istruzione”?
Per meglio cercare risposta ai nostri quesiti, riteniamo che sia utile aprire una piccola finestra sulla scuola dell’Italia post-unitaria, quella alla quale appartiene il nostro documento. Una scuola che la
legge Casati (1859) aveva gia reso obbligatoria per due anni, successivamente raddoppiati dalla legge Coppino (1877), appena prima del nostro “esperimento. Da ciò a pensare di rendere effettivo l’obbligo passava, tuttavia, una grande distanza, principalmente perchè il peso economico delle scuole ricadeva interamente sui Comuni che le ospitavano, i quali, oberati dai costi delle altre strutture cittadine, dovevano anche provvedere al mantenimento degli edifici, al reperimento e al pagamento degli insegnanti.
Inoltre, le seppur ancora deboli braccia dei bambini erano un valido aiuto per i genitori nel lavoro dei campi; sarà solamente dal Novecento che andrà sempre più diffondendosi una nuova mentalità per cui mandare i figli a scuola poteva rappresentare per loro un’occasione unica di riscatto e offrire loro migliori condizioni di vita.
Il modello scolastico all’epoca della compilazione del documento dell’Asilo di Serravalle, in pieno Positivismo, è quello educativo liberale Ottocentesco, ispirato dalla tradizione illuministica e napoleonica.
Si pensava. perciò. che tutti dovessero ricevere un minimo di istruzione che avesse un’impostazione tendenzialmente laica. Contestualmente, però, la scuola restava fortemente selettiva, con un accesso differenziato tra figli della buona borghesia, che avrebbero proseguito con gli studi universitari andando ad occupare posizioni di rilievo nell’amministrazione dello Stato e delle attività socio-economiche, e quelli destinati ai lavori più semplici, che non necessitavano di particolari conoscenze teoriche. Anzi, in qualche caso, una loro eccessiva istruzione era vista di cattivo occhio per i pericoli connessi alla diffusione di ideali che minassero le fondamenta della
società di quel periodo, ad esempio quelli socialisti.
Non impossibili, tuttavia rarissimi, i casi in cui le porte degli studi superiori si aprivano alle persone più semplici.
La cultura umanistica occupava ancora un posto centrale; base educativa era il trinomio lezione-ripetizione-voto, all’interno della quale I’insegnante svolgeva un ruolo direttivo: dopo la fase di lettura sul libro egli era colui che spiegava, mentre gli alunni dovevano successivamente ripetere le nuove nozioni acquisite. Modello fondamentale dal quale non si scappava; tuttavia non mancavano sperimentazioni, anche alla luce della nuova sensibilità verso i bambini, che si andava sviluppando in quegli anni.
L’Asilo di Serravalle, in questo senso, si dimostrò all’avanguardia nella pedagogia: erano gli anni immediatamente precedenti alla formulazione del nuovo metodo Montessori, quelli immediatamente successivi all’opera dell’abate Ferrante Aporti. Egli aveva apportato un grande contributo nell’educazione dei bambini in età prescolare: gli istituti da lui fondati, che raccoglievano figli delle famiglie di operai impegnati nelle industrie e che quindi non potevano occuparsi della loro educazione, erano dei veri e propri istituti educativi. Nei quali venivano impartite lezioni su igiene. morale, religione e semplici rudimenti cognitivi, ovvero insegnamenti logico-matematici e linguistici, seguendo il metodo intuitivo o dimostrativo, cioè mostrando oggetti e collegandoli alla nomenclatura. La rimanente parte del tempo (la permanenza giornaliera era di 9 ore) era occupata da esercizi ginnici, giochi, canti e preghiere. Fu un errore di non poco conto che la sopracitata legge Casati trascurasse gli asili infantili, non ritenendoli significativi all’interno del sistema d’istruzione.
Fortunatamente, tuttavia, la lezione dell’Aporti non restò inascoltata e rimasero sparsi sul territorio, in maniera isolata e non organica purtroppo, alcuni centri di eccellenza che si avvalsero di quel metodo e continuarono la sperimentazione nel campo della pedagogia dei bambini. E il caso, evidentemente, dell’Asilo di Serravalle, dove non si rinunciò a questa nuova mentalità nè all’insegnamento di canti e preghiere ai bambini perchè li recitassero di fronte a un pubblico; questo è quanto emerge dal libretto da noi reperito su un banchetto di un mercatino delI’antiquariato.
Una carta che ci mette in connessione, come dicevamo, con un tempo che ormai ci pare molto lontano, ma che forse non lo è così tanto. Il 1878 è un anno di profondi cambiamenti in Italia: muoiono re Vittorio Emanuele ll e papa Pio IX, due personaggi che avevano avuto un ruolo di primo piano nella storia dell’unificazione del nostro paese. A Serravalle si producono esperimenti sulI’educazione dei giovanissimi allievi nell’ottica di un processo di alfabetizzazione e crescita culturale inquadrato in un più vasto movimento d’opinione che voleva portare la nostra nazione nel novero di quelle più civili e sviluppate d’Europa.
L’Asilo, a quel tempo, era un istituto di recente fondazione. Passi fondamentali per la sua nascita furono la creazione di un’associazione di cittadini, nel 1859. per “promuovere I’educazione e I’istruzione dei fanciulli poveri d’ambo i sessi, dando loro, ad un tempo, diurna custodia e gratuito nutrimento” e successivamente, nel 1867, l’approvazione della legge che sopprimeva le corporazioni religiose e disponeva I’incameramento delle loro proprietà, affidandole al “Fondo per il culto”; proprio tale ente, nel marzo 1868. effettuò la consegna formale al Comune di tutti i beni mobili e immobili, tra i quali, appunto, I’ex Convento dei Cappuccini. Secondo una planimetria di qualche anno precedente, esso constava di una cucina, retrocucina, refettorio, scaldatoio e stufa con sottostante cantina, tre stanze, stalla, legnaia e fienile al primo piano; al secondo v’erano invece 27 piccole camere con porticato alI’ingresso e cortile. Attiguo al detto fabbricato si trovava un chiostro, delimitato, su uno dei lati, da una chiesetta composta di un’unica navata con quattro altari muniti di cancelli di legno (uno dei quali in noce). In essa vi erano, secondo la descrizione del verbale dell’atto di consegna, dodici panche, trenta quadri “di nessun valore” (sic!), alcuni dei quali pervenuti alla chiesa collegiata e all’asilo, prati, vigne, orti e bosco recintati da mura. La chiesa fu tenuta aperta e parte dei locali affidati ad alcuni frati rimasti, mentre già nel 1869-70 furono avviati i lavori di adattamento dei locali dell’ex convento all’uso di scuole elementari maschili e femminili nonchè di Asilo Infantile. Un Asilo che, quindi, sin dai primi anni dalla sua fondazione, si caratterizzò per essere un luogo di eccellenza didattica e di sperimentazione. La degna struttura scolastica di un territorio, iI Novese, che già si era mostrato all’avanguardia in questo settore.
Nella vicina Novi Ligure, infatti, negli stessi anni delI’istituzione dell’Asilo e a pochissimi chilometri di distanza, operava il sacerdote Gianfrancesco Capurro.
Egli non solo scrisse una notevole Raccolta di documenti e memorie per servire alla storia della città e provincia di Novi, pubblicata in diversi fascicoli dal 1853 al 1856, ma si segnalò anche per il suo infaticabile interesse verso il sito archeologico di Libarna e per la sua strenua attività di alfabetizzatore a coronamento di un suo più vasto impegno sociale. A lui si deve I’invenzione di un metodo d’insegnamento, proprio ed originale, che si basava sul principio di
associare ogni lettera dell’alfabeto con un’immagine o un oggetto di uso domestico, la cui forma ricordasse quella lettera. Si trattava del cosiddetto “alfabeto figurato”, che rappresentava un’interessante variante al sistema che prevedeva di collegare ogni lettera a una parola che iniziasse con tale suono.
Questa sua felice intuizione, di ovviare alla sbadataggine la quale fa apprendere dei suoni senza che I’occhio li colleghi coi segni, suscitò un vivace dibattito, a livello nazionale fra i pedagogisti delI’epoca, meritando anche gli insigni apprezzamenti di due importanti studiosi della materia, come Raffaello Lambruschini e Vincenzo Troya. E’ il tempo, infatti, del fervore educativo, gli anni in cui iI Regno di Sardegna (e in seguito tutta I’Italia a rimorchio) produce il massimo sforzo per contrastare I’analfabetismo e presentarsi al consesso delle nazioni europee come un interlocutore rispettabile. La percentuale di popolazione in grado di leggere e scrivere passa, in pochi anni, dai 24 punti del 1848 ai 58 del 1871.
Il Capurro puntava sull’efficacia didattica della rappresentazione iconografica, arrivando a comporre un singolare “telegrafo alfabetico” con cui si potevano realizzare tutte le combinazioni possibili di sillabe, parole e numeri. Le lezioni, invece, prevedevano il coinvolgimento degli alunni con esercizi vocali collettivi: le risposte venivano stimolate tramite domande o imbeccate. ll metodo, tuttavia, come riconosceva lo stesso ideatore, poteva risultare a volte un po’ rumoroso anche in considerazione del fatto che le classi erano composte da 70 – 80 alunni, o addirittura 150, talvolta, se si poteva contare sull’ausilio di sotto-maestri.
A riprova del suo attivismo, si consideri la sua forte volontà di promuovere il metodo con pubbliche dimostrazioni: a Vigevano, nel 1856, al Congresso delle Società di Mutuo Soccorso, in qualità di rappresentante di Novi, la sua lezione ricevette il plauso dei convitati.
Ma non si arrestò qui. Si offrì di redigere un progetto per I’istruzione dei figli dei soci (e non solo), specie quelli orfani, in modo che ricevessero un’adeguata istruzione, propose per loro I’acquisto di libri, auspicò maggiore spazio per le scuole tecniche e per i saperi tecnico-scientifici; ideò progetti di “soggiorno-studio”, diremmo estremamente moderni, per i figli dei soci affinchè potessero studiare, ospiti di altri associati, in città dove vi fossero mestieri poco conosciuti in quella d’origine. Insomma, istruzione e formazione, intesi come investimenti da valorizzare, erano al centro del suo progetto, dimostrando in questo modo una lungimiranza che lo rendeva uno dei pionieri di questo
oggi ormai sviluppato settore.
Come tutti i pionieri, tuttavia, incappò nel giudizio spesso superficiale di molti contemporanei che non compresero la portata delle sue idee. A parte I’apprezzamento isolato di qualche accademico, come abbiamo già detto, il Capurro pagò con lo scarso successo del suo metodo il trovarsi in una realtà periferica, fuori dai circuiti ministeriali e universitari.
Molti insegnanti, per giunta e forse in conseguenza di ciò, ritennero addirittura che le sue lezioni fossero ridicole e teatrali. In un certo senso, si potrebbe dire, il metodo mostrava una certa macchinosità per la natura non immediata delle associazioni mentali, tuttavia il sacerdote, in collaborazione con I’allievo Angelo Bovone, non mancò di prendersi qualche rivincita.
La tecnica didattica da lui inventata, applicata agli adulti, ottenne risultati lusinghieri: si diffuse nell’ambito della lotta all’analfabetismo nelI’esercito, con i soldati che riuscivano ad imparare a leggere e scrivere in un mese anzichè in due anni. Ciò è spiegabile forse anche in ragione del diverso modo di apprendere degli adulti, come d’altronde spiega anche I’enorme messe di studi glottodidattici fiorita negli ultimi anni, sull’argomento.
E ancora, oggi che nel mondo globalizzato la nostra realtà si misura con altre, dove la piaga dell’analfabetismo non è affatto debellata, il lungimirante sacerdote novese e il suo metodo andrebbero riscoperti, anche alla luce di un più attento e rinnovato atteggiamento del mondo accademico nei suoi confronti.